Quirinale: …in molti non vogliono Draghi al Colle… anche le parole di D’Alema sono un invito (implicito) perché resti al governo. Cresce l’opzione per una rielezione di Sergio Mattarella…

Draghi? “Continua a essere la soluzione più probabile anche se la sua candidatura ha molti punti deboli”… e in molti non lo vogliono al Colle. Berlusconi? “È riuscito a congelare il quadro politico e in fondo ha creato l’alibi perfetto per Pd e M5S”. Gli altri possibili nomi per una scelta comune a tutti i partiti “Cartabia, Amato e soprattutto il bis di Mattarella, che rimane sul tavolo, nonostante la contrarietà del Presidente per una sua riconferma”. La situazione è sempre più confusa: e un po’ a sorpresa per la seconda volta D’Alema interviene nel dibattito politico e dice di vedere «un unico disegno chiaro, quello della destra di Giorgia Meloni: eleggere il Premier Draghi con buona pace del folle tentativo di Berlusconi di assaltare il Quirinale», mentre – e qui non c’è sorpresa – su cosa vuole il centrosinistra dice sconsolato: «Non è chiaro, non riesco a capirlo», e in effetti è ancora un mistero cosa davvero desideri Enrico Letta, il quale probabilmente si limiterà mettere il cappello su qualunque soluzione che non sia il Cavaliere, un’eventualità che altrimenti terremoterebbe il sistema politico e il suo stesso partito… Ma torniamo a D’Alema: coerente con un’impostazione un po’ anni Settanta, torna a ribadire che «è impressionante che il “draghismo”, cioè uno stato di eccezione, venga eletto a nuovo modello democratico», come se Mario Draghi fosse un Quisling messo lì da Goldman Sachs e non invece dal Parlamento italiano su impulso di Sergio Mattarella. Se non esattamente un usurpatore, almeno un estraneo alla normale lotta politica e dunque un’espressione di non-democrazia. Può darsi che le ben note teorie di Giorgio Agamben sullo stato d’eccezione, filtrate attraverso la terribile realtà della pandemia, inducano a far coincidere la situazione presente con la figura di Mario Draghi, come se, anche a pandemia finita, egli fosse di per se stesso un politico autoritario o perlomeno a-democratico: tesi ardita di cui ovviamente non solo non v’è prova ma nemmeno il sospetto. Fatto sta che per D’Alema, e per tutti i sostenitori di un “ritorno alla democrazia”, il premier attuale va più o meno abbattuto, come diceva la sinistra extraparlamentare dello Stato borghese «che si abbatte e non si cambia», e dunque è impensabile mandarlo (e per 7 anni!) al Quirinale. Però bisogna tenerselo un altro anno a Palazzo Chigi – il leader Maximo ne è consapevole – perché ben difficilmente un leader diverso da Super Mario potrebbe mantenere unita una maggioranza così larga, che non presenta allo stato dei fatti reali alternative, tra l’altro scongiurando così le urne (ai dalemiani serve tempo per trovare casa dopo il riconosciuto «fallimento» di Articolo Uno). Un anno ancora di Draghi con un programma rinnovato, impegno sul Pnrr e con una legge elettorale proporzionale: detta così, è il contrario di quel lungo governo balneare che probabilmente si avrebbe senza Mario a Palazzo Chigi: e anche questo ha un senso. A parte il riflesso ideologico anni ’70, l’analisi dell’ex leader dei Democratici di sinistra coglie un punto, che i suoi alleati dovrebbero condividere: il lavoro del presidente del Consiglio non è esaurito e deve continuare almeno un anno. Anche perché per il Quirinale anche a lui mancano i voti… L’ “agenda D’Alema” una volta tanto potrebbe diventare quella del centrosinistra allargato. In una interessante intervista al manifesto l’ex leader dei Ds snocciola alcune cose ragionevolmente praticabili su Quirinale e dintorni. È probabile che il ragionamento dalemiano riscuota un notevole consenso nel Pd, più per la sua pars costruens che su quella ideologica ma non stiamo qui a sottilizzare, frenando e correggendo chi come Roberto Speranza non sembra escludere il trasloco di Draghi al Colle… Se questo è vero, c’è da immaginare che il gruppo di sinistra-centro che guida il partito di Letta non sarà facilmente disposto a scrivere il nome di Super Mario sulla scheda. C’è anzitutto una questione delicatissima di legittimazione del capo dello Stato, con una platea di grandi elettori verosimilmente ridotta dal Covid, che suggerirebbe dunque di evitare qualunque candidatura di parte, anche per scongiurare il rischio che quelle assenze si rivelino determinanti (non vorrei proprio vedere il prossimo capo dello stato sospeso da un’ordinanza del Tar). C’è poi il fatto che la composizione del prossimo parlamento, e della successiva platea dei grandi elettori, sarà molto diversa, per l’entrata in vigore della sciagurata riforma costituzionale sul taglio dei seggi. Per questi motivi, dunque, sembrerebbe molto ragionevole una scelta che avesse anche il significato di una proroga, dovuta a una condizione di oggettiva emergenza, lasciando in qualche misura il futuro impregiudicato, e che dunque, pur senza porre alcun limite al mandato presidenziale (ci mancherebbe), desse un segnale di tregua, aprendo una fase di decantazione che consentisse poi a un nuovo parlamento, quando verrà il momento, di scegliere serenamente il successore di Mattarella… Il che, unito al terrore dei parlamentari di tutti i partiti di scivolare verso le urne una volta caduto il governo Draghi, e al fatto che né Conte né Salvini desiderano al Quirinale un uomo che preferisce avere rapporti con Di Maio e Giorgetti, tutto questo fa sorgere spontanea una domanda: chi glielo dice al Presidente del Consiglio che non ha i numeri? A Berlusconi lo ha già detto ieri uno dei suoi amici di sempre, Gianni Letta. E alle ragioni già spiegate in altri post su questo Blog augurandosi che il parlamento decida di rieleggere Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, così da garantire il massimo della continuità e della stabilità possibili al governo di Mario Draghi, se ne sono aggiunte alcune, non secondarie, in questi ultimi giorni. Anche perché l’elezione del capo dello Stato è il momento più solenne, la più sacra delle liturgie repubblicane. E un parlamento i cui membri ritengono opportuno postare sui social network i propri selfie da una camera ardente, come hanno fatto in tanti ieri, accompagnando all’immagine del proprio volto compunto accanto alla bara qualche parola di ricordo per David Sassoli, è evidentemente un Parlamento che ha perso qualunque idea di decoro istituzionale…

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