Quirinale: la salita di Draghi al Colle è alquanto ripida. Siamo ancora nella fase in cui Salvini sta cercando di archiviare la candidatura di Berlusconi. Proporre Draghi al Quirinale vuol dire avere anche una proposta pronta per il governo. Molte le divisioni interne nel Pd e nel M5s sul suo nome. Si compatteranno solo sull’esigenza di non anticipare la fine della legislatura…

Altro che soluzione politica in progressiva composizione, la strada che conduce al Quirinale è ancora lunga e piena di ostacoli. Per iniziare a intravedere un barlume di luce bisognerà attendere ancora, almeno fin quando Silvio Berlusconi non renderà note le sue intenzioni, se proseguire sottotraccia, andare alla conta in aula oppure rinunciare ed eventualmente a quali condizioni e con quali modalità… A quel punto e non prima il quadro inizierà, seppur solo relativamente, a chiarirsi e quindi, tutti gli scenari tratteggiati dai quotidiani, rimangono ancora sul tavolo. Persino le elezioni anticipate, in assoluto certo non è l’ipotesi più probabile, ma comunque possibile specie nel caso in cui si scivolasse per inerzia, senza una precisa regia politica, verso l’elezione al Colle dell’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma il piano non è ancora inesorabilmente inclinato a favore di Draghi. Le trattative sono in stallo. Anche se Draghi non si ferma. Infatti, continuano i colloqui riservati del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi: Draghi è attento a quanto succede nei partiti in vista del voto per scegliere il presidente della Repubblica, perché se la maggioranza dovesse spaccarsi le ripercussioni per il governo sarebbero inevitabili e le preoccupazioni per Covid e Pnrr aumenterebbero di molto. Siamo ancora lontani dalle battute conclusive, anche se siamo arrivati a un punto importante della vicenda. Quella in cui Matteo Salvini prova ad archiviare la candidatura di Silvio Berlusconi. Che il leader della Lega affermi di avere la responsabilità di proporre un nome condiviso e convincente, sembra confermare chiaramente questa interpretazione. E Berlusconi cosa farà? La questione è esattamente questa: cosa deciderà di fare il presidente di Forza Italia. Se sceglierà autonomamente di ritirarsi, se al contrario insisterà e, soprattutto, come si porrà rispetto al piano B che Salvini si è incaricato di proporre. Tuttavia, non facciamola troppo semplice. Se anche Berlusconi decidesse di fare un passo indietro, e non è affatto scontato che ciò accada, bisognerebbe comunque trovare una possibile sintesi su un nome alternativo condiviso. Con Forza Italia e pure con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Le ipotesi che circolano in questi giorni non sembrano rappresentare una buona base di partenza. Infatti, i nomi citati in queste ore dai quotidiani vedi: Marcello Pera, Maria Elisabetta Casellati o Letizia Moratti, non sono nomi che Berlusconi possa facilmente appoggiare. Immagino che Berlusconi possa avere più di qualche remora, che possa di fatto, considerare la sua candidatura più forte. È probabile che accetti di ritirarsi solo di fronte a un nome che lui stesso ritenga di peso uguale al suo. Un nome non necessariamente di centrodestra. Infatti, la soluzione di centrodestra è tecnicamente possibile, ma sicuramente non semplice. Il problema sta appunto nella difficoltà di individuare una soluzione unitaria, ma anche per ragioni di carattere puramente numerico. Il centrodestra oggi può contare su 418 parlamentari cui aggiungere i 33 delegati regionali. Dunque, 451 grandi elettori. Per arrivare alla maggioranza assoluta di 505 richiesta dalla quarta votazione in poi ne mancano circa una sparecchi, anche laddove riuscissero ad accordarsi con Matteo Renzi e Italia Viva che possono vantare 45 tra deputati e senatori. Il tutto, ovviamente, al netto dei franchi tiratori. Una strada che appare quindi chiaramente in salita. Senza contare il bivio cui il centrodestra si troverebbe di fronte nel caso in cui Berlusconi decidesse di fare un passo indietro. Occorrerebbe da un lato fare l’accordo con Enrico Letta e tutto il centrosinistra, dall’altro soltanto con Italia Viva e con pezzi di gruppo misto o del Pd. Già Letta e Salvini. Abbiamo trovato i due kingmaker di questa elezione… ma forse sarebbe meglio ancora dire aspiranti kingmaker. Infatti, il vero kingmager si vede alla fine, è tale solo se è in grado di far passare il proprio nome o, comunque, di mettere la trattativa sul binario più giusto. E al momento, ci sono ancora diversi passaggi intermedi da svolgere: stavolta la partita è più complicata perché inevitabilmente si estende pure a Palazzo Chigi. Questo è l’aspetto che complica maggiormente la candidatura di Draghi. Proporre Draghi vuol dire avere una proposta pronta anche per il governo. E non è semplice, per niente. A maggior ragione in un anno elettorale nel quale ciascun partito avrà naturalmente l’esigenza di distinguersi dagli altri e di disegnare meglio il proprio profilo identitario. E i margini per un governo diverso dall’attuale sono molto, molto ristretti. Non sarà affatto facile arrivarci, soprattutto nel caso in cui si propenda per un governo politico. Secondo quale formula nascerebbe? Chi lo potrebbe guidare? E quali partiti alla fine ne farebbero parte? Domande fondamentali, che però rimangono al momento ancora senza risposta. È qui la vera questione… Il tema è assolutamente questo, soprattutto di fronte a un Parlamento che non vuole in alcun modo le urne. A meno che i leader, Salvini in testa, non decidano che si possa anticipare il voto. Non è eccessivo dire dunque che l’eventuale voto a favore di Draghi da parte dei parlamentari in realtà riguarderebbe due nomi. Appunto, quello del Presidente del Consiglio per il Quirinale e quello del suo successore per Palazzo Chigi. In quel caso servirebbero due soluzioni politiche: una per il Colle e l’altra per l’esecutivo. Sempreché si riesca a trovare la formula politica, che vuol dire non solo il nome del successore di Draghi ma anche il necessario equilibrio tra i partiti che sosterrebbero il nascente esecutivo. Altrimenti, se venisse eletto Draghi al Quirinale ma non si trovasse questo equilibrio tra le forze politiche, non si potrebbe escludere alcuna possibilità. Neppure quella di un ritorno alle urne. Quindi dobbiamo veramente aspettarci che la soluzione arrivi dal centrodestra? Io direi ancora che non è scontato che sia così, semplicemente al momento il centrodestra sta rivendicando il diritto di assumere l’iniziativa. È come se si fossero auto-attribuiti il ruolo di guida di questa elezione. Ma ciò non significa che ne siano capaci, che ci riusciranno. Dall’altra parte, invece, sembra che abbiano completamente abdicato a questo ruolo. Ad esempio, i cinquestelle, che appaiono fortemente divisi al loro interno cosa, veramente vogliono? Personalmente, non sono così convinto che al momento del voto i cinquestelle si facciano trovare ancora spaccati al loro interno. Questo discorso ha un senso se parliamo della linea politica del Movimento, ma in questo caso è diverso. In fondo, il mastice che li tiene e, credo, li terrà uniti è l’esigenza condivisa di far proseguire la legislatura. Ciò significa che alla fine il movimento rimarrà unito in questo frangente. Finiranno per compattarsi sulla soluzione maggiormente in grado di garantirgli la prosecuzione della legislatura. Non è un caso, da questo punto di vista, che l’unico nome finora uscito dall’universo dei cinquestelle sia quello di Sergio Mattarella. In assoluto, l’opzione che consentirebbe di più di mantenere l’attuale status quo e di rinviare pertanto il problema al prossimo Parlamento. E nemmeno il Pd, anche alla luce della direzione di domenica scorsa, può dirsi ufficialmente considerato a favore di Draghi. Anzi, ci sono diverse correnti del Pd contrarie a uno scenario di questo tipo. Mentre Enrico Letta mi pare che sia intento a tenere saldamente nelle sue mani il pallino delle trattative con l’altra parte. Il vero rischio che corre è di essere scavalcato o addirittura escluso. La sconfitta per Letta sarebbe un Capo dello Stato scelto dal centrodestra insieme a Matteo Renzi e a qualche corrente del partito non allineata alle sue indicazioni. Ergo, deve fare di tutto per rimanere in partita. Con un nome trasversale come potrebbero essere quelli di Draghi o Giuliano Amato oppure oppure con un nome di centrodestra diverso da Berlusconi… Anche se questa seconda ipotesi pare alquanto complicata, non credo che Letta possa spingersi là dove è già arrivato Renzi, che ha aperto alla possibilità di votare un nome di centrodestra diverso da Berlusconi. Il leader di Italia Viva ha buon gioco nel farlo, visto che deve rivendicare la sua centralità nel panorama politico: come in quest’anno ha continuato a ripetere di aver portato Draghi a Palazzo Chigi, allo stesso modo vuole poter dimostrare il suo peso decisivo una volta che sarà stato eletto il nuovo Capo dello Stato. Letta, potrà uscire vincente solo se riuscirà a chiudere un accordo su un nome che non sia smaccatamente di centrodestra, ma più trasversale. Come quelli citati. Personalmente, penso ad Amato. Nome che è da considerare in partita. Non è un caso che sia stato uno dei candidati del centrodestra già ai tempi di Giorgio Napolitano e Mattarella: un nome al tempo sostenuto soprattutto dai berlusconiani, ma ovviamente visto con favore pure nel Partito Democratico. Può essere certamente una soluzione per il Colle… confermando Draghi a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura…

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