Salvini: è un disastro, la beffa polacca si calcola che sia costata alla Lega 260mila voti. Ma nella Lega non hanno il coraggio di sostituirlo. Così è tutto il Centrodestra che va in affanno…

Dopo la figuraccia mondiale in Polonia, il leader del Carroccio non si è più ripreso. I sondaggi danno il suo partito al 16%, sei punti in meno di Fratelli d’Italia. Ma Giorgetti, Zaia e Fedriga ancora non lo detronizzano con un congresso hanno paura di peggiorare la situazione a un anno dalle elezioni politiche… La beffa di Przemyl, proiezioni alla mano, è costata circa 260 mila voti a Matteo Salvini. Una settimana dopo lo stop sarcastico intimato dal sindaco della cittadina polacca che gli ha regalato la maglietta di Putin, il leader della Lega fa i conti con i primi sondaggi: secondo Swg il Carroccio in soli sette giorni ha perso lo 0,8 per cento dei consensi, scendendo dal 17 al 16,2 e smarrendo dunque quel recente trend stabile che l’inizio della guerra aveva confermato. Analisi cominciata il 9 marzo, il giorno della missione ai confini con l’Ucraina, e conclusa il 14. È il punto più basso della parabola dal maggio del 2019: come fa notare Pietro Vento, direttore di Demopolis, la Lega ha dimezzato in meno di tre anni la percentuale conquistata alle Europee. Con tutte le precauzioni che si devono a rilevazioni di questo tipo, è la conferma di un periodo da dimenticare, per il segretario leghista: i numeri confermano la necessità di un low profile che poi è l’atteggiamento che – direttamente o indirettamente – diversi esponenti di punta del partito hanno consigliato. Quel “Matteo fermati un attimo” è stato un bisbiglio che è diventata voce ricorrente, negli ambienti parlamentari, fra deputati e senatori d’un tratto preoccupati per l’iperattivismo del Capitano che, specie in un frangente così delicato, rischia di essere controproducente. E di far pagare un prezzo sempre più salato nelle prossime competizioni elettorali. Di conseguenza Salvini negli ultimi giorni ha diradato al massimo i suoi appuntamenti di lavoro. Salvini, in realtà, ha detto che in Polonia vuole tornare, “ma senza giornalisti”. Il leader prosegue così la sua marcia senza troppo clamore e in un centrodestra a pezzi anche sul fronte interno: su Salvini riecco gli strali di Giorgia Meloni, infuriata per il no in commissione, alla Camera, al progetto di legge sul presidenzialismo, maturato per effetto delle assenze di due deputati di Lega e Forza Italia. L’ultima notizia è un nuovo processo, il 9 giugno, per diffamazione aggravata ai danni di Carola Rackete definita dall’allora ministro dell’Interno con epiteti tipo «criminale tedesca», «ricca tedesca fuorilegge», «ricca e viziata comunista». Non sarà il processo del secolo ma è un’altra storia poco piacevole che conferma nel suo piccolo come ormai Matteo Salvini sia un problema. Per la Lega. Nessuno lì dentro lo dice ad alta voce, perché il solo dirlo equivarrebbe a squadernare il problema e dunque ad aprire un gigantesco problema politico ma da tempo a via Bellerio, e soprattutto nelle sedi della Regione Friuli-Venezia Giulia e in quella del Veneto, la fiducia nell’ex Capitano è calata in modo costante. Se vogliamo fissare una data recente (dunque abbuonando la pazzia del Papeete, agosto 2019) la mente di tutti va al disastro-Quirinale, quando il capo leghista si auto affidò l’incarico di trovare un presidente della Repubblica raccogliendo solo brutte figure: dalle visite nelle case di intellettuali vari tipo Sabino Cassese alla bruciatura rovente, insieme all’amico Giuseppe Conte, di una figura istituzionale come il capo dei servizi segreti Elisabetta Belloni. Dopo è andata sempre peggio e, oggi la Swg dà la Lega al 16,2%, meno 0,8 in una settimana (alle Europee del 2019 aveva ottenuto il 35%, primo partito), in un trend negativo che appare inesorabile parallelo a quella del partner ai tempi del governo gialloverde, il Movimento 5 stelle – e non può essere un caso che le due colonne del populismo cadano assieme. Ma c’è una differenza enorme tra grillini e leghisti. Il M5s cede perché, come è stato scritto tante volte, si è esaurita la sua ragion d’essere: si tratta di un naufragio strategico. Mentre per la Lega, la crisi odierna è imputabile essenzialmente a lui, al leader, alle sue mosse avventate, spregiudicate, sbeffeggiate, restando viva, dietro di lui, una organizzazione almeno al Nord ancora forte, innervata nella società settentrionale con punte significative anche nel centro-Italia (nel Sud, alla fine, non è andata) e delle buone ragioni politiche, la rappresentanza del mondo produttivo del Nord, una persistente tensione all’autonomia regionale, un moderatismo però di movimento abbastanza spregiudicato: insomma i motivi di fondo che giustificarono la nascita della prima Lega. Dopo anni di crescita, oggi è il Fattore “S“ che corrode l’albero leghista. È stato Salvini l’uomo-disastro, come detto, nella vicenda istituzionalmente più importante, quella della elezione del Capo dello Stato, un Salvini che in questo anno ha tentato di tenere i due piedi nella scarpa del governo e in quella dell’opposizione, mal sopportato da Mario Draghi nel primo caso, surclassato da Giorgia Meloni nel secondo. Nella competition con la leader di Fratelli d’Italia ormai non sembra esserci partita: nel sondaggio Swg citato il partito della Meloni non solo è il più votato ma dà alla Lega quasi 6 punti. Il crollo della Lega è ormai un fatto conclamato. Questo consegna a Fratelli d’Italia la leadership del centrodestra, ma al tempo stesso riduce le chance della coalizione di raggiungere una quota di voti sufficiente per vincere e governare. Giorgia Meloni è diventata una erinni quando ha visto che in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio il suo ddl sul presidenzialismo è stato abbattuto dal fuoco amico. Non è passato perché due deputati, uno della Lega, l’altro di Forza Italia, non hanno partecipato alle votazioni. Quando si dice il caso. Ma al di là della vicenda in sé, che comunque non è di poco conto, Meloni solleva ancora una volta un problema, appunto, di coerenza del centrodestra. Coerenza che è mancata a Matteo Salvini, secondo il suo punto di vista, quando nel 2018 strinse l’accordo con Luigi Di Maio alla base del primo governo Conte e di nuovo è venuta meno lo scorso anno, quando sia il capo del Carroccio e sia Silvio Berlusconi si imbarcarono nell’unità nazionale attorno a Mario Draghi… Tutte le riunioni di coalizioni, i comunicati, gli impegni programmatici (il presidenzialismo è un vecchissimo cavallo di battaglia della destra) sono sempre diventati carta straccia. «Poi Salvini si stupisce se perde vagonate di voti!», è il mantra di Meloni. E qui arrivano ad una curvatura veramente esiziale per il centrodestra. Dall’europee del 2019 a oggi la Lega ha perso oltre il 15% La discesa è costante e testarda. Bene, in casa Meloni dovrebbero festeggiare. E lo fanno, in effetti, ma fino a un certo punto, perché nel centrodestra lo scivolamento di Salvini potrebbe essere inarrestabile. Morale della favola (si fa per dire), ora guarda la caduta del “dio leghista”, che però potrebbe rivelarsi un disastro anche per lei. A perdere, dunque, sarebbe tutto il centrodestra. Tenuto conto che FI non è certo in salute. Anzi potrebbe spaccarsi, con una parte già visibilmente attratta dalle sirene centriste. Se Salvini continua a precipitare, Meloni potrebbe trovarsi nella classica situazione della vittoria di Pirro, con in mano un partito primo in classifica sia nel centrodestra sia in assoluto, ma senza una maggioranza in Parlamento che le consenta di formare un governo e di guidarlo. In un quadro – come notava ieri Stefano Folli su Repubblica – che vede svettare FdI e Partito democratico, due partiti che nella delicatissima fase attuale stanno mostrando un profilo adulto mentre gli junior partner come minimo impacciati sulla guerra di Putin – Lega e M5s – annaspano. La terribile figuraccia di Salvini in Polonia non è stata solo penosa in sé ma il simbolo di un crollo d’immagine e, se possiamo dire così, di un modo di quel certo modo di fare politica da commedia all’italiana intriso di superficialità, pelo sullo stomaco, insipienza. E a colmare la clamorosa défaillance d’idee non bastano certo le piroette dell’ultimo minuto per far dimenticare la contiguità tra lui e il Cremlino né quelle – come ha ricordato su Linkiesta Amedeo La Mattina – che lo hanno fatto diventare soi disant un fervido sostenitore delle posizioni di Papa Francesco in un grottesco travestimento da pacifista della domenica… Ora, è ovvio che per rimuovere l’ostacolo Salvini servirebbe un piano politico per sostituirlo, piano che non c’è soprattutto per timore di uno sconquasso troppo pericoloso a un anno dalle elezioni politiche. Ma è anche vero che dentro la Lega non mancano personaggi in grado di incarnare una fase nuova del partito, a partire, anche questo si è scritto tante volte, da Giancarlo Giorgetti per finire a Luca Zaia (che però non ne vuole sapere) a Massimiliano Fedriga, uno che è molto cresciuto nella veste di governatore del Friuli-Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni. Ma occhio anche al ministro Massimo Garavaglia e al capogruppo Riccardo Molinari. L’impressione dopo il misfatto di Przemyśl è che i maggiorenti di via Bellerio tenderanno per il momento, se non a imbrigliare quantomeno a controllare l’ex Capitano tentando di ridurre l’impatto negativo delle sue uscite…

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