Ritornando sul tema del vivere il presente… rendendoci conto di quanto questi sia oggi alquanto confuso… Esistono una infinità di aforismi in merito alle dinamiche psicologiche legate al tempo. Quella del tempo è una tematica, che ha incuriosito gli studiosi di tutti i tempi, da Eraclito ai moderni teorici di fisica quantistica. Sant’Agostino, in merito al tempo sosteneva di sapere cos’è ma che non era in grado di spiegarlo. Oggi, capita spesso, rispetto alle dimenticanze del passato e alle incertezze del futuro, di sentirsi suggerire: “Vivi il presente!” A voler ben ascoltare è sicuramente un giusto consiglio perché: “Vivere il presente è l’unico luogo in cui veramente viviamo”. Recentemente, alcuni studiosi tendono a sottolineare una cosa abbastanza curiosa, forse difficile da comprendere e cioè che il tempo non si muove in avanti, ma piuttosto è sempre presente. Viene spiegata come un problema legato alla percezione. Noi percepiamo che il tempo scorre ma in realtà è sempre lì, semplicemente è… Dunque, ammettendo sia vera questa ipotesi, tutti i possibili eventi sono già presenti e noi dobbiamo solo scoprirli e viverli. La teoria dei mondi paralleli della fisica quantistica? No! Almeno su questo non facciamo confusione. Se così fosse, noi avremmo la possibilità di scegliere quale presente vivere …invece, non è così! In attesa di ulteriori scoperte restiamo a ragionare con ciò che la nostra quotidianità, da sempre, ci vede coinvolti, ovvero, il passato c’era, il presente c’è, il futuro ci sarà. In ambito psicologico, queste tre istanze suggeriscono alcune riflessioni: Ad esempio, le persone depresse vivono prevalentemente nel passato, mentre chi è ansioso, nel futuro, dal momento che non fanno altro che pensare a tutte le possibili disavventure che potrebbero accadere. Solo chi sta bene con se stesso, vive nell’unico posto reale: il presente. Il passato e il futuro, ma più in generale, la nozione del tempo, come ho già detto altrove, non sono altro che illusione. Sono solo convenzioni dell’Io, che ORA, non esistono. Quindi, le persone depresse e quelle ansiose, vivono cristallizzati su tempi (passato e futuro) che non esistono, sono bloccati in una realtà che non esiste, che non c’è, da cui si evince, che pure le idee correlate sono da considerare per quello che sono, ovvero anche loro false. Ma è proprio così? Facciamo alcune considerazioni tutt’altro che dialettiche ma molto concrete e pragmatiche. Il passato: ciò che noi viviamo nel presente, una volta vissuto, diviene passato e lentamente sbiadisce nel presente sempre pieno di cose nuove e diverse. Non possiamo cambiarlo (quante volte ci capita di dire: quando vorrei poter cambiare questa o quella cosa?), non possiamo cancellarlo. Il futuro: non c’è, non esiste ancora. È solo meta delle fantasie, oppure di desideri o di obiettivi da perseguire o di imprevisti. Insomma, come ho detto sopra, sono due entità temporali che non esistono. Esiste solo il presente, dal momento che è il solo ‘luogo’ ove viviamo e agiamo. E’ l’unico momento reale. E’ l’unico momento dove possiamo realizzare tutti i nostri desideri. Se condividiamo, proviamo a rivederci in tutti quei momenti ove abbiamo perso l’opportunità di essere pienamente vivi, solo perché ci trastullavamo impiegando i nostri pensieri in due tempi inesistenti: per l’appunto, il presente e il futuro. Però non dobbiamo demonizzare e scartare a priori questi due momenti, anche se non esistono. Il nostro presente, dal momento che siamo autoconsapevoli, deve essere vissuto in modo utile e quindi è giusto, prima di agire, prevedere (futuro) il risultato delle nostre azioni, facendo tesoro delle nostre esperienze (passato). Visto che siamo consapevoli (coscienza) possiamo scorrere lungo l’arco temporale del tempo (passato, presente e futuro) a nostro piacimento. Non siamo obbligati a muoverci soltanto lungo il divenire, ma possiamo collegare cose diverse, accadute in passato e con essi, agire nel presente. Come abbiamo detto, l’uomo possiede il dono della consapevolezza ma spesso la usa molto male, dal momento che riempie il presente di nostalgia, ricordi e rimpianti. Sempre l’auto-consapevolezza, esercitata dalla coscienza, non fa altro che riempire la scatola vuota del futuro (che non esiste) di cose spesso solo brutte, cioè ci cose che potrebbero accadere (potrebbero) ma che spesso non accadono. Ogni volta che pensiamo ad un possibile esito di una nostra azione, solo una poi si realizza e non le mille altre ipotizzate; tutto questo ammettendo che poi si passi all’azione; azione che spesso, almeno negli stati ansiosi oppure ossessivi, non avviene quasi mai. Le nostre preoccupazioni in merito al passato e al futuro ci impediscono di essere sensibili al flusso costante del presente finendo così per vivere un presente alquanto “confuso”. Oggi poi rispetto alle “presenti” incertezze della vita quotidiana: attraversata dal vento forte della crisi economica, dall’imigrazioni bibliche d’intere popolazioni, spinte dalla povertà frutto delle calamità naturali e dai conflitti in corso, che ridisegnano gran parte della geografia del Mondo… dalla paura tragica indotta dal terrorismo internazionale o locale che siano… la “confusione” del presente diventa totale. Quando la coscienza non c’era o ce n’era pochissima, l’uomo non viveva di rimpianti ma di ‘cose da fare’. Quindi è un po’ come dire che la felicità sta nell’azione, come diceva tra l’altro Fichte, anche se tale felicità non sarà mai totalmente raggiungibile, perché, usando il linguaggio del filosofo, è impossibile liberarsi totalmente dal ‘non-Io (la natura, l’inconscio); è un obiettivo che non sarà mai totalmente conseguibile da un essere così imperfetto e finito come è l’uomo. Infatti dopo ogni vittoria sul non-IO (inconscio) subito dopo si presentano altre difficoltà e così via, la lotta continua fino alla morte, dal momento che la completa indipendenza del soggetto sull’oggetto è un ideale. Il processo di individuazione, come ci dice Jung, è costante per tutto l’arco temporale della nostra vita. Cosa ci rimane allora? Dal momento che possediamo solo il presente, facciamo come chi possiede un terreno: definiamone i confini. Quali sono? Facciamo tesoro della realtà che sperimentiamo. Cosa sperimentiamo? Se devo leggere il giornale, il mio presente è fatto di uno ‘sfogliare’ le pagine, è fatto di lettura di fatti’. Il confine quindi è dato da un inizio (acquisto del giornale) e una fine (fine lettura). Quindi mi dedico ad altro e anche quell’altro ha un inizio e una fine. Ecco quali sono i confini. I nostri pensieri, così disciplinati, non vanno altrove. Non impazziscono stando dove c’è il nulla, il non-Io. Se avevamo un lavoro ed ora non c’è più, un’amicizia, un amore, un esame andato male, etc. impariamo a delimitarli e non collochiamoli oltre quei confini; delimitiamoli come esperienze, magari anche traumatiche. Le esperienze, anche quelle traumatiche sono ‘oggetti’ da usare a nostro beneficio e non per affossare il futuro (se mi ha lasciato, allora tutti gli altri mi lasceranno e quindi meglio stare soli; e via dicendo). Insomma, Hic et nunc, che poi è ciò che conta. Le nostre emozioni, le nostre sensazioni, il nostro respiro; tutto il resto è solo inganno…
“E’ sempre tempo di Coaching!”
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