Coaching: Pandemia e guerra, quanto pesano sulla nostra psiche e in particolare su quella dei giovani? Aiutarli a ritrovare i loro sogni…

Due anni di pandemia e la situazione dell’attualità, con gli scontri in Ucraina, pesano sulla psiche di noi tutti, ma su quella dei ragazzi in particolare… Aumentano i casi di rabbia, l’incapacità di immaginare un futuro, gli atti di autolesionismo e l’autoisolamento. Le tabelle dei dati sull’ultimo sondaggio dell’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo, in collaborazione con il portale Skuola.net su un campione di 4.935 giovani di età compresa tra gli 8 e i 19 anni (già pubblicate su La Repubblica – Salute – dell’11.3.2022). Prima la pandemia, ora la guerra in Ucraina. I ragazzi non stanno bene. Pensando al conflitto in Ucraina, infatti, il 68% dei giovani si dice estremamente preoccupato e oltre 8 su 10 afferma che questo evento ha un impatto negativo sul proprio umore. Quello che pesa è la non prevedibilità di quello che accadrà nei prossimi mesi. Ogni progetto sembra complicato in un tempo fatto di tensioni che cambiano gli equilibri mondiali. È quanto emerge dal sondaggio richiamato sopra: “La salute mentale dei giovani tra pandemia e guerra”. La pandemia. Tutti noi, ma i giovani in particolare, stanno attraversando un periodo delicatissimo dal punto di vista psicologico e mentale e da mesi gli esperti lo ricordano lanciando appelli. Sono in crescita i disturbi alimentari e i casi di depressione, una tendenza confermata dal sondaggio. “Due anni di pandemia tra Dad, paura dei contagi, incertezze su quello che il futuro avrebbe riservato a familiari, amici, parenti, a cui si aggiungono oggi anche questi ulteriori giorni di tensione a causa di quanto sta succedendo tra Russia e Ucraina. Il peso sulle nostre spalle è tanto. E noi adulti siamo sicuramente provati, ma i ragazzi lo sono ancor di più. E dobbiamo tenerlo in considerazione e intervenire affinché la situazione non peggiori”. Vediamo quindi quali sono i comportamenti che rivelano un profondo disagio del mondo giovanile.

La rabbia. Negli ultimi mesi circa 1 adolescente su 3 ha sentito come emozione dominante la rabbia. E per il 15% è stato un sentimento addirittura fortissimo, quasi irrefrenabile. Il 47% degli intervistati collega la rabbia a quanto sta accadendo all’esterno ma anche a un’insoddisfazione verso se stessi. Il dato è del 50% tra le ragazze tra i 17 e i 19 anni e del 38% tra i coetanei maschi. E’ probabile che le ragazzine riescano a parlare ed esprimere con più facilità le loro emozioni.

“La pandemia e tutte le sue limitazioni, per quanto i giovanissimi le abbiano ben comprese e anche di fatto accettate, non gli hanno permesso di vivere in pieno questi anni. E non vivere appieno fa arrabbiare chiunque, anche gli adulti, ma il vero tema è come i giovani stanno utilizzando questa emozione. È su questo aspetto che dovremmo soffermarci, per aiutarli a usare la rabbia in modo costruttivo”, spiega Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta, e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. che ha promosso il sondaggio in questione.

Gestire sentimenti negativi. Si può fare molto per aiutare i ragazzi a gestire la rabbia che molto spesso parte dalla difficoltà nel gestire la frustrazione. “Un primo consiglio è quello di ricordarci di aver avuto la loro stessa età; a volte ce ne scordiamo ma bisogna mettersi nei loro panni, provare a capire cosa veramente provano, senza giudicare la loro sfera emotiva, il rapporto esclusivo con gli amici e le piccole trasgressioni. Molto importante è inoltre saper attendere, saper rispettare i loro momenti; lasciamo sbollire la rabbia (nostra e loro), e affrontare il discorso più avanti e con calma. La nostra durezza e rigidità molto spesso li blocca, tendono a non aprirsi più per paura di una reazione quasi sempre negativa da parte nostra”, aggiunge Lavenia. Secondo l’esperto è importante anche “insegnare ai ragazzi come trovare una soluzione” ai problemi senza lasciarsi sopraffare dalle sensazioni negative.

Pensare al suicidio. La rabbia accumulata sta prendendo strade pericolose. Per quasi 1 giovane su 2 – ma tra le ragazze tra i 14 e i 19 anni si sfonda abbondantemente quota 50% – nell’ultimo periodo è salita anche la sfiducia mentre è sceso il tono dell’umore. “È preoccupante che il mondo degli adulti ignori quanto sia diffuso il disagio psicologico dei nostri bambini e adolescenti, al punto che circa il 40% dei ragazzi e il 60% delle ragazze coinvolti nella ricerca arrivino ad affermare che nessuno riesca a comprendere il loro stato d’animo. Nell’età della spensieratezza per autonomia, fa rabbrividire il pensiero che 1 su 3 pensi alla morte come una possibile soluzione ai problemi. Per questo bisogna intervenire il prima possibile, per evitare che le emozioni negative prendano il sopravvento” così scrive Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net. Secondo il prof. Lavenia va fatta però una distinzione. “Anche se il pensiero della morte è spesso presente nella mente di molti adolescenti non è necessariamente indice di una patologia, ma spesso è un pensiero ‘utile’ alla crescita, è un modo per accettare ad esempio i propri cambiamenti corporei. C’è quindi una profonda differenza tra il pensare la morte e avere invece un progetto suicidale ben definito”.

Il trauma: È meglio affrontare subito la situazione prima che i ragazzi guardino altrove, in situazioni che potrebbero mettere ulteriormente a rischio il loro equilibrio. “Ansia e depressione stanno aumentando in fretta. Probabilmente si è sottovalutata la loro sofferenza, il trauma legato al coronavirus. La pandemia e le guerre passeranno ma il trauma resta. Vedendoli in casa probabilmente abbiamo pensato che fossero al sicuro e non ci siamo preoccupati di come stessero realmente. Abbiamo avuto paura di farci vedere in difficoltà e ci siamo proposti come forti. E abbiamo perso l’occasione di dimostrare alle nuove generazioni che la sofferenza è un elemento della vita che può essere sperimentato in maniera funzionale, che può essere gestito in modo adattivo e che da questa può nascere un’occasione di crescita e resilienza”. Noi adulti, secondo gli esperti, dovevano fare di più. Non ci siamo dimostrati all’altezza della situazione e oggi i giovani non ci fanno più domande per sapere cosa accade.  E conseguentemente: “cercano e trovano tutte le informazioni online e non sempre su siti istituzionali o da fonti affidabili. Le fonti da loro consultate, infatti, sono le più disparate e certo non le condividono con gli adulti. Perché pensano di avere già tutte le risposte sul loro smartphone. Se il tono dell’umore si abbassa, la rabbia aumenta. Diventa un circolo vizioso, che può avere conseguenze devastanti”, spiega ancora il prof. Lavenia.

In aumento sono i casi di autolesionismo. Da tenere sotto osservazione è anche il dato che registra un aumento dei casi di autolesionismo: oltre 1 su 6 dice che negli ultimi mesi ha provato a farsi del male per sfogare il proprio malessere. Con dei picchi preoccupanti tra gli under16: tra i bambini tra gli 8 e i 13 anni, gli episodi di autolesionismo hanno interessato quasi 1 su 3, oltre 1 su 5 tra i 14 e i 16 anni. E il fenomeno include, nella mente dei ragazzi, anche una narrazione attraente: sempre 1 su 6 – che diventano 1 su 4 se consideriamo i preadolescenti – pensano che sia addirittura bello farsi del male.

“L’autolesionismo esiste da sempre, ma è un fenomeno di cui si parla ancora troppo poco. Questi dati ci dicono che i ragazzi stanno vivendo un grande dolore emotivo ed è talmente insopportabile che per non sentirlo lo fanno passare sulla pelle. “Per non essere più tormentati dal male dentro”, commenta Lavenia. E aggiunge: “Gli stati ansiosi e depressivi, in tutto questo, non aiutano a mettere fine al fenomeno dell’autolesionismo. I giovani vivono da troppo tempo come anestetizzati”. Un tormento interiore che tra i più grandi potrebbe persino sfociare in qualcosa di ulteriormente grave. In generale, a più di un terzo (34%) capita spesso di essere talmente scoraggiato da non aver voglia di vivere. Un dato che si “sgonfia” al crescere dell’età: tra i ragazzi tra i 17-19enni un pensiero del genere si presenta “solo” in un 1 giovane su 5; comunque troppi. E veniamo all’autoisolamento. Sono in aumento anche i casi di autoisolamento. I tanti giovani che decidono di chiudersi nelle loro stanze e rinunciare al mondo esterno, quelli che oggi sono definiti i ragazzi hikikomori. Il 18% del campione, che tra gli under 13 sale addirittura al 33%, afferma che spesso valuta la prospettiva di non voler più uscire di casa. “Tantissimi bambini e ragazzi dichiarano di voler rimanere a casa con il cellulare, nella loro stanza, perché hanno l’idea che quanto stiano vivendo, in quel modo, sia più facile da sopportare. Ma sappiamo tutti che questa è un’illusione e che in realtà hanno bisogno di essere aiutati il prima possibile”, sottolinea ancora il prof.  Lavenia.

Il corpo e l’immagine. Messaggi di malessere che i ragazzi fanno passare dal corpo, un elemento che ha particolare importanza in questa fase della vita. “Il corpo in adolescenza e l’oggetto privilegiato, utilizzato come strumento per sperimentare, per parlare al mondo, per far passare agli altri l’immagine che si vuole dare di se. L’unica cosa chiara in questo periodo transitorio è la certezza del “non essere”, non sono ancora adulti ma non sono nemmeno bambini. Per aiutarli quindi – aggiunge il prof. Lavenia – “dobbiamo renderci conto delle loro angosce e che questo periodo non è sicuramente contraddistinto da spensieratezza ma al contrario da profonda sofferenza. Ed è proprio questa non comprensione da parte di noi adulti che può provocare atteggiamenti arroganti e/o aggressivi, che possono poi sfociare in veri e propri comportamenti antisociali e di difficoltà psicologiche come disturbi alimentari o dell’umore. I ragazzi in questa età stanno attraversando un molto difficile che li porterà a costruire la propria identità e devono avere consapevolezza che noi siamo il loro unico porto sicuro in cui possono sempre fare ritorno, senza essere giudicati”. La richiesta d’aiuto. Per fortuna, però, sono gli stessi giovani a non nascondere di aver bisogno di supporto. Anzi, lo chiedono a gran voce: il 58% andrebbe di corsa dallo psicologo se potesse permetterselo o se le sedute fossero gratuite. Se si chiede alle ragazze tra i 17 e i 19 anni la platea sfiora quota 70%, mentre i coetanei maschi sembrano aver metabolizzato meglio le difficoltà del periodo, visto che “solo” una metà scarsa di loro (48%) si rivolgerebbe immediatamente a uno psicologo se gli venisse offerto. Leggermente più in difficoltà i ragazzi più piccoli: nella fascia 14-16 anni sfrutterebbe l’occasione il 56%; anche qui, però sono le ragazze a mostrarsi più ricettive, con oltre il 60% che parlerebbe volentieri con uno specialista. E il problema sta proprio nel fatto che non tutti gli adolescenti possono accedere a un servizio di supporto psicologico privato e il Servizio Sanitario Nazionale non riesce a rispondere a una domanda sempre più crescente. “Serve una battaglia civile per far comprendere a chi ci governa che mai come in questo momento per poter dare da vedere un futuro ai nostri ragazzi bisogna investire nel loro benessere psicologico. Avere il coraggio d’investire nella salute mentale e in primis in psicologia” – conclude Lavenia.

E’ sempre tempo di Coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento