Governo: assistiamo al cortocircuito sovranista. Giorgia Meloni inguaiata dagli alleati di governo e dagli amici sovranisti europei. Così, le promesse del governo di destra-centro si stanno sbriciolando di fronte alla cruda realtà dei fatti…

Il ministro dell’Economia Giorgetti ha illustrato la manovra economica del governo Meloni… reduce anche lui dalla sua prima trasferta europea, parla della legge di Bilancio in Parlamento. Flat tax per gli autonomi e interventi per il costo della vita. Ma anche un riassetto degli oneri legati all’energia. E occhio alle pensioni… La manovra economica italiana è entrata così nel vivo, dopo un primo assaggio da parte dell’Europa, con la trasferta a Bruxelles del Ministro Giorgetti. Il quale, ha esordito alla Camera in occasione dell’audizione in commissioni congiunte proprio sulla legge di Bilancio che sta prendendo corpo e forma. Una manovra condizionata dall’inflazione: 32 i miliardi di gittata. 9 miliardi subito, già decisi dal Cdm della settimana scorsa con un nuovo “decreto aiuti” e altri 22-23 miliardi per il prossimo anno, anche grazie a un disavanzo gonfiato ancora un po’ al 4,5%. Il baricentro il controllo dell’inflazione. Giorgetti ha fornito a Senatori e Deputati riunitisi il perimetro della prima finanziaria targata Meloni: “In considerazione dell’incertezza del quadro economico di riferimento, il governo è intenzionato a destinare le risorse disponibili per il 2023 (circa 21 miliardi) al contrasto della crisi energetica, favorendo al contempo politiche di contenimento dei consumi e di risparmio energetico”, ha messo in chiaro Giorgetti. “In particolare si prevede il rinnovo per i primi mesi del 2023 delle misure relative ai crediti di imposta in favore delle imprese per l’acquisto di energia e gas, al contenimento degli oneri generali di sistema per le utenze di energia elettrica e gas, al taglio al 5 per cento dell’Iva sui consumi di gas e alla proroga delle agevolazioni tariffarie per i consumi elettrici e di gas in favore degli utenti domestici economicamente svantaggiati”.  Flat Tax. Altro caposaldo della manovra, la tassa piatta sui redditi da lavoro autonomo. La Lega la voleva fino a 100 mila euro ma con ogni probabilità il tetto scenderà a 85 mila euro. La flat tax, in ogni caso, arriverà, anche in forma incrementale, agganciata cioè all’ipotetico aumento del reddito, anno su anno. “In vista della manovra sono allo studio misure che riguardano l’estensione della soglia di ricavi e compensi che consente ai soggetti titolari di partita Iva di aderire al regime forfettario e un regime sostitutivo opzionale, cosiddetta flat tax incrementale, per i contribuenti titolari di redditi da lavoro o di impresa non aderenti al regime forfettario”.  Questi contribuenti, ha aggiunto il Ministro: “potranno assoggettare ad aliquota del 15% una quota dell’incremento di reddito registrato nel 2022 rispetto al maggiore tra i medesimi redditi dichiarati e assoggettati all’Irpef nei tre anni d’imposta precedenti”. Il titolo della manovra potrebbe essere: “tra prudenza e realismo”. Il responsabile di Via XX Settembre ha poi ribadito quello che la legge di Bilancio dovrà essere poco fantasiosa e tanto prudente quanto realista. Nell’ambito della manovra: “le ulteriori risorse che potranno essere individuate nell’ambito dei saldi programmatici saranno dedicate ad interventi che diano dei primi segnali rispetto agli impegni formulati nel programma di governo ma l’impianto della manovra di bilancio sarà in ogni caso caratterizzato da realismo e responsabilità, sia nei confronti dei cittadini sia di quanti investono nel debito italiano”. Famiglie e Imprese prima di tutto. Giorgetti ha poi confermato la cosiddetta pace fiscale per i contribuenti con debiti con il fisco e il taglio di alcuni oneri in bolletta. “Un orientamento di politica fiscale selettivo, con priorità ben definite in un quadro di prudenza volto a favorire la discesa del debito, che dipenderà anzitutto da una crescita economica più sostenuta, obiettivo dell’azione del governo anche attraverso lo strumento del Pnrr”. E ancora: “le difficoltà che abbiamo affrontato nel corso degli ultimi anni hanno dimostrato che l’Italia ha una capacità di adattamento e di ripresa notevole. Il governo intende sostenerne i sacrifici, con un approccio prudente e responsabile che permetta al contempo di migliorare le prospettive economiche del nostro Paese e garantire la sostenibilità della finanza pubblica”. Nell’ambito della manovra economica: “completeranno il pacchetto delle misure tributarie interventi di tregua fiscale che saranno un utile sostegno alla liquidità nell’attuale contesto di crisi energetica e tensioni inflazionistiche”. E sono: “allo studio interventi per predisporre uno strumento che renda possibile la rateizzazione degli oneri per l’energia elettrica”. Infine, occhio alla spesa per le pensioni.  Non è finita. Giorgetti ha affrontato anche il tema dell’aumento della spesa pensionistica, visto che gli assegni vanno puntualmente agganciati all’inflazione. “Ogni adeguamento previsto degli assegni pensionistici si trascina negli anni successivi aggiungendosi ai nuovi incrementi per adeguamento all’inflazione prevista in ciascun anno. Se pertanto consideriamo il periodo 2022-2025, la spesa per pensioni assorbirà risorse per oltre 50 miliardi. Le nuove stime di inflazione  determinano infatti una diversa ipotesi di indicizzazione, che comporta maggiori oneri per 7,1 miliardi nel 2024 e 5,6 miliardi nel  2025”. Tutto qui? Pare proprio di sì, quindi quali considerazioni si possono fare?  Il quadro economico obbliga l’esecutivo a tenere nel cassetto alcune misure sbandierate in campagna elettorale, e l’incidente diplomatico con la Francia ricorda a Giorgia Meloni che gonfiare il petto in politica estera le servirà a ben poco… A poco meno di un mese dal suo insediamento l’unica vera buona notizia per Giorgia Meloni è la liberazione della blogger Alessia Piperno che era stata arrestata in Iran. Per il resto tante nubi nere su Palazzo Chigi… Intanto l’incontro con i sindacati non è andato bene e il ministro dell’Economia, che come detto, intende procedere con un «approccio prudente e responsabile», non lascia spazio a risposte soddisfacenti per le organizzazioni sindacali, ne per le tante promesse elettorali che non potranno essere soddisfatte.  Se poi alza lo sguardo oltre i nostri confini, la premier si trova ‘stritolata’ da una serie di questioni. La riforma del Patto di stabilità vedrà l’Italia costretta a firmare piani di rientro del debito più lunghi nel tempo, ma vincolati a controlli rigidi e a tagliole simili a quelle previste per il Pnrr: niente soldi europei se non si rispettano gli accordi presi a Bruxelles. Il sovranismo sembrerebbe quindi destinato a sbriciolarsi di fronte alla cruda realtà dei fatti e dei dati. Ancora peggio se si guarda alla Francia. La stretta di mano tra Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron qualche settimana fa a Roma, in occasione di un incontro della comunità di Sant’Egidio, faceva sperare in un’intesa, comunque a un nuovo clima con Parigi. Una speranza che sembrava consolidata dopo il colloquio tra i due a Sharm el-Sheik. E invece tutto si è complicato con la rotta della nave Ong Ocean Viking. Sembrava che il porto di Marsiglia fosse disponibile per lo sbarco dei 243 migranti e la premier aveva esultato per questa apertura considerata l’effetto positivo della linea dura del nostro governo. «L’aria è cambiata», si era affrettato sbracciandosi a dire il solito Matteo Salvini. Il successivo irrigidimento dell’Eliseo, e la stessa reazione di Bruxelles, ha fatto crollare il “castello” costruito sul blocco dei porti per le Ong: una porta in faccia dell’Esecutivo francese che ha definito «inaccettabile il comportamento italiano». Facendo pure pesare, con poca classe, la circostanza che l’Italia è la prima beneficiaria della solidarietà finanziaria nell’Unione europea. Il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha fatto presente che la nave era nell’area di ricerca italiana: «La Francia si rammarica profondamente che l’Italia non abbia deciso di comportarsi da Stato europeo responsabile». Un vero incidente diplomatico mentre continuano a sbarcare a Lampedusa centinaia di migranti, ma Parigi alla fine assegna alla Ocean Viking il porto di Tolosa «a titolo eccezionale», come sottolinea Darmanin. E infatti Parigi sospende il trasferimento concordato prima dell’estate di 3500 rifugiati e chiede all’Unione europea di prendere provvedimenti contro l’Italia. Le conseguenze della rottura potrebbero averne ulteriori nel gioco delle alleanze europee e sui dossier aperti in cui l’Italia ha un disperato bisogno di alleati. È una brutta storia di sovranismi che si intrecciano, di paure per la reazione delle opinioni pubbliche nazionali. Non è un caso che a soffiare sul fuoco sia arrivata puntualmente Marine Le Pen, che accusa Macron di «lassismo» per aver concesso il porto di Tolosa. «Con questa decisione non potrà più far credere a nessuno che intende porre fine all’immigrazione massiccia e all’anarchia», sostiene la leader del Rassemblement National, l’amica di Salvini con cui condivide il gruppo parlamentare di Strasburgo. Le risposte italiane dal ministro Antonio Tajani al ministro Matteo Piantedosi («la reazione francese è sproporzionata e incomprensibile») chiudono il cerchio di fuoco attorno al nostro Paese. È il cortocircuito dei sovranisti ognuno in casa propria. È l’effetto anche della difficoltà del governo italiano di gestire il fenomeno migratorio rispetto alle promesse elettorali. Affondano tutti i ‘blocchi navali’ e rimaniamo soli in mezzo al mare a gestire l’arrivo di migranti che non si ferma. L’altra brutta notizia viene dagli Stati Uniti. I Repubblicani non sfondano alle elezioni di midterm, Donald Trump, l’altro (ex) amico populista degli italiani al potere, è spompato, affossa i suoi candidati. Meloni, quando non contava niente, faceva la fila alle convention americane dove tutti aspettavano il messia dalla zazzera dorata. Ora meglio evitarlo, meglio tenere buoni rapporti con il vecchio Joe Biden, che tutto sommato regge la botta al Senato e alla Camera. Meloni ha bisogno di Biden, è meglio stare alla larga da Donald e dai suoi filamenti putiniani, in mezzo a una guerra arrivata a una svolta (il ritorno da Kherson da parte dei russi) grazie all’irriducibile resistenza ucraina e alle armi occidentali. Meloni deve solo sperare che tra due anni non rivinca il palazzinaro golpista, sarebbe imbarazzante, ma un altro repubblicano. Sempre che nel frattempo il governo Meloni regga, ma al momento nonostante tutto sembrerebbe che può dormire sogni tranquilli, visto che dal caos dell’opposizione non potrà mai nascere una “stella danzante”… Però Salvini, va detto, non è l’unico sabotatore. L’altra è stata Marine Le Pen. Il presidente francese, volendo, poteva infischiarsene di Matteo; non però di Le Pen che passa il tempo a rubargli i voti. Per non prestarle il fianco, Macron bullizza i migranti. Ne consegue che, volendo ammorbidire il presidente francese, Giorgia avrebbe dovuto contare sulla complicità di Marine. Come con Salvini, sarebbe bastato che Le Pen tenesse la bocca chiusa. Purtroppo, quella, invece di reggere il sacco all’amica italiana, s’è lanciata contro l’inquilino dell’Eliseo trattandolo come se avesse svenduto l’onore della nazione. Per farla breve: la sovranista francese con l’altro leader della destra francese  Éric Zemmour ha complicato la vita alla sovranista italiana. Dopodiché, senza un briciolo d’imbarazzo, la leader del Rassemblement National ha twittato che pure lei avrebbe respinto i migranti, pure lei li avrebbe ributtati in mare come Meloni, dunque s’intendono a meraviglia. Il paradosso è che, per dirottare i migranti altrove (non importa dove) Meloni dovrebbe far leva sulla solidarietà europea; ma gli unici che potrebbero darle retta sono i leader moderati o della sinistra; i quali la vedono come il fumo negli occhi, ma sarebbero perfino disponibili a mostrarsi caritatevoli di fronte a un dramma umanitario di tale portata; a patto di non venire politicamente aggrediti da quelli come Meloni, oltretutto per aver fatto un favore a Meloni stessa. Emblematico il caso spagnolo, dove il governo del socialista Pedro Sánchez nega una mano all’Italia per timore degli ex-franchisti di Vox, quelli che sempre invitano Giorgia a sfogarsi nei loro comizi. Tra l’altro non ci sono solo i migranti. Siamo un Paese sommerso dai “buffi” che dovrà farne altri per finanziare i bonus, i super-bonus, la tassa piatta, la pace fiscale, i condoni, i ristori, quota 41 per le pensioni e l’interminabile lista di promesse dei nuovi padroni d’Italia. Farsi degli amici in Europa sarebbe essenziale per battere la cassa a Bruxelles. Dunque, provando a metterci nei panni di Giorgia Meloni, viene da domandarsi: perché, invece di litigare con Macron che sarebbe il nostro naturale alleato contro i “frugali”, lei non fa due chiacchiere con i suoi amici di destra? Cosa aspetta a chiamarli per un bel chiarimento, per spiegare il nostro interesse sovrano e reclamare un briciolo di rispetto? Potrebbe incontrarli uno per uno, compatibilmente con i suoi impegni. Oppure, per guadagnare tempo, riunirli in teleconferenza: dalla francese Le Pen allo spagnolo Abascal, dall’ungherese Orbán al polacco Morawiecki, tutti quanti insieme per concordare una via d’uscita sull’immigrazione che convenga all’Italia. In caso contrario loro continueranno a intimidire i leader moderati, a sabotare le intese sui migranti, a tenere atteggiamenti un po’ razzisti verso noi cicale con le mani bucate, a complicarci la vita dicendo sistematicamente “no” su tutta la linea. Come minimo Meloni dovrebbe farlo presente con la franca spontaneità di cui è capace, al limite alzando la voce perché un vero patriota non guarda in faccia nessuno, patrioti compresi. Avrebbe una carta da spendere: al Palazzo Chigi non c’è più l’ambiguo Giuseppe Conte e neppure quel tecnocrate di Mario Draghi. “Finalmente tocca a noi”, potrebbe rivolgersi Meloni ai suoi sodali aggiungendo: “State attenti a non farmi fallire, perché se avessi successo vi spianerei la strada; invece, un fiasco della sottoscritta travolgerebbe tutti; aiutiamoci dunque a vicenda; tra sovranisti facciamo un patto di mutuo soccorso”. Un tentativo del genere Meloni dovrebbe farlo. Sarebbe a costo zero. È singolare che non ci abbia ancora provato. Non si ha notizia di chiarimenti in corso né con Le Pen né con gli altri. Vai a capire che cosa aspetta. Forse Giorgia è troppo affannata a cercare alleanze in Europa; oppure teme che, alla richiesta di accogliere una manciata di profughi, i presunti amici le riderebbero in faccia; direbbero “non eri tu quella dei blocchi navali, che voleva dar fuoco ai barconi? Ricacciali in mare senza tante storie”. Insomma, non vuole rischiare un dialogo tra sordi. Col risultato che soli eravamo e soli rimaniamo. Ora, appare sempre più chiaro che, se non si tira fuori l’immigrazione dal ring delle opposte fazioni non cominceremo mai a lavorare su soluzioni ragionevoli ed efficaci. La questione delle navi Ong è solo una piccola parte del problema (circa il 16 per cento degli arrivi, secondo i dati del ministero nel 2022): il resto dei migranti prende altre strade per arrivare in Europa e il flusso sarà un dato costante per i prossimi anni. Non c’è alcuna ragione perché le cose vadano diversamente, non si può parlare di una fase d’emergenza. E allora dovremmo mettere in fila le soluzioni razionali, sia immediate che di prospettiva. Intanto un punto ineludibile: gli immigrati che partono dal Nord Africa e dalle altre aree del mondo vogliono arrivare in larghissima maggioranza nei diversi Stati europei, non solo in Italia. La questione della difesa dei confini non può che essere un problema comune dell’Unione, non italiano o greco o maltese. I meccanismi di distribuzione dei migranti e di accoglienza devono perciò essere obbligatori e automatici, non volontari. Il nostro governo deve rivendicarlo con Francia e Germania ma anche con i premier di Ungheria e Polonia che si sono sempre opposti. In secondo luogo, va favorita in ogni modo l’immigrazione legale, legandola alle necessità del Paese e gestendola con gli Stati d’origine e le nostre ambasciate. Più c’è un canale legale efficace più si può pretendere il rispetto delle regole e fare barriera contro l’immigrazione illegale. Infine, un piano straordinario (anche questo europeo) per fare crescere economicamente i Paesi di provenienza e stabilizzarli. Insomma, tornare a fare «grande» politica e non perdersi nelle baruffe quotidiane che non servono a niente…  In estrema sintesi: il nuovo governo Meloni in realtà è già vecchio. Una premier che ama più il passato remoto, che non il presente e ha uno sguardo corto sul futuro. Esterna con disprezzo quello che pensa del Paese, definito: “Repubblica delle Banane dove prospera il lassismo e l’illegalità” Ma con Lei: “la pacchia è finita anche per l’Europa”. La rottura con la Francia sugli immigrati portati dalle Ong, mostra quanto Salvini renda fragile una politica di governo tesa ad accreditare l’Italia nel consesso europeo e atlantico come un partner affidabile, D’altronde  …il popolo l’ha votata dice lei, per fare dell’Italia una Nazione integerrima, all’insegna dello slogan d’eccellenza della Destra: “Dio, Patria e Famiglia”…

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