Life: psiche e coronavirus quali implicazioni? “Pandemic fatigue”, il fenomeno della stanchezza da Covid-19…

“Ci sono immagini e rappresentazioni che hanno la forza di attraversare il tempo. Le mani della Cueva de Las Manos (Caverna delle mani), nella provincia di Santa Cruz, Patagonia Argentina, sono una di queste. Risalgono a 10.000 anni fa. Nessuno è riuscito a dar loro un significato, nessuno è mai riuscito interpretare in modo credibile quale tensione emotiva ci fosse dietro. Quelle mani sono più che mai attuali oggi, nei giorni del Coronavirus: mani che chiedono aiuto, mani che si fanno azione, mani che proteggono, mani che pregano. Mani del passato, mani di oggi, ma sempre e solo mani. Mani uguali. Camminando sul sentiero di questo ragionare, è inevitabile chiedersi come la nostra mente si pone al cospetto dell’aggressione del virus. Ed allora in un momento del nostro quotidiano concediamoci alle parole dell’uomo, ascoltiamo “il soffio” della nostra mente…“

(Giacomo Crosa – Giornalista)

Siamo alle prese con un secondo lockdown e, dopo un’estate meno restrittiva, il Paese si ritrova a dover affrontare nuove chiusure e pesanti limitazioni. L’organismo e la mente reagiscono all’emergenza faticosamente e, spesso, con grande senso di smarrimento. Una condizione fisica e psicologica che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha codificato come “Pandemic Fatigue”, stress da pandemia, una vera e propria sindrome comportamentale causata dall’emergenza, che si manifesta con forte stress emotivo, stanchezza e paura, tutti sintomi che accomagnano anche la cosiddetta nebbia cognitiva post Coronavirus, sviluppata da chi è guarito dall’infezione. Più le notizie che arrivano dai media sono preoccupanti e la percezione che l’emergenza perduri a lungo si intensifica, più lo stress da pandemia aumenta. È fondamentale fare tesoro delle strategie messe in atto durante i periodi di quarantena già vissuti e non esporsi eccessivamente alle notizie negative: informarsi è doveroso, ma senza ossessione. La Pandemic Fatigue, ossia lo stress da pandemia, non è da confondere con la “post Covid fatigue”, cioè quello stato di indolenzimento, stanchezza cronica e smarrimento che colpisce chi ha avuto la malattia… Il primo lockdown aveva costretto la popolazione a rivoluzionare la propria vita lavorativa, sociale, affettiva. Ciascuno è stato chiamato a notevoli sforzi, ma con la speranza di vedere “la luce in fondo al tunnel”: una sorta di meta da raggiungere per potersi riappropriare della propria quotidianità. Ora che le limitazioni e le chiusure sono state di nuovo imposte come unico mezzo per contrastare la pandemia da Covid-19, lo stress torna ad acutizzarsi, più intenso di prima. Questa altalena di decreti e norme restrittive, che cambiano di continuo, genera smarrimento e confusione. Le persone più fragili faticano a tenere il passo, soprattutto emotivo, e subiscono gli effetti psicosociali causati dalla pandemia. Si comincia a pensare che tutto sia inutile, che venga meno la libertà personale, che il contenimento dei contagi impedisca la relazione fra persone, famigliari e amici. Quando non si conosce la fine di una situazione che genera ansia e paura, infatti, lo stress prende il sopravvento. È uno stato d’animo più che normale, causato dal futuro incerto, dagli effetti della quarantena già sperimentata che, per alcuni, è stata traumatica. Ciò che si è già vissuto in precedenza può costituire un fardello deleterio: la perdita del proprio senso di sicurezza, di un lavoro, delle abitudini e, nei casi più delicati, dell’integrità fisica e psichica o magari di un proprio caro. Il rischio, in questo caso, è che il problema diventi parte della vita di tutti i giorni, qualcosa con il quale oramai ci si deve abituare a convivere: lo stress da pandemia dunque, può diventare cronico… Affrontare un’emergenza sanitaria, come quella della pandemia da coronavirus significa entrare in una dimensione psicologica, per molti, del tutto nuova ed inusuale. Da una parte assistiamo a comportamenti dettati dal panico e da paure irrazionali – quali l’accaparramento di generi alimentari o il fuggire verso luoghi lontani – dall’altra ad una sorta di sospensione dove l’atmosfera che si vive è quella molto surreale da “day after”. È come se incombesse sopra di noi una cappa plumbea, funerea, senza speranze. Il nostro ‘Io’ non è più così solido e sicuro come pensavamo: ci troviamo scaraventati verso l’ignoto, in una situazione di solitudine che angoscia ed inquieta anche i più forti e preparati. La precarietà della nostra vita tutto a un tratto ci pone davanti domande a cui non riusciamo a rispondere forse perché ci accorgiamo che è il nostro mondo interno ad essere carente di risorse e nutrimento, che appunto andiamo a cercare all’esterno e svuotando gli scaffali dei supermercati, ci illudiamo di riempire quei vuoti… L’epoca che viviamo è quella che ci ha fatto dimenticare la nostra natura precaria e fallace. L’avvento del virus in questo «Annus horribilis » ha fatto crollare l’illusione che si potesse controllare in modo onnipotente la realtà che così bene la scienza e le tecnologie alimentano: oggi siamo costretti a confrontarci con i nostri limiti. Ci sentiamo dunque smarriti, persi. Qualcuno teorizza (non senza ragione) che viviamo in un’epoca impregnata di narcisismo e perciò ipocondriaca. Infatti una non ottimale sintonizzazione affettiva con le figure di accudimento, la presenza variabile e non troppo stabile di molte di queste, negazioni subite nell’infanzia e, talvolta, frustrazioni vissute come abbandono o paura da parte del bambino, possono causare una scissione ‘verticale’ della personalità tra la grandiosità apertamente manifesta, volta a mostrare a sé stessi e all’altro una visione di sé positiva se non perfetta, e una parte vulnerabile, caratterizzata da bassa autostima, tendenza alla vergogna e appunto, ipocondria… E’ quello che sembra essere alla base dell’acutizzarsi del “conflitto tra generazioni”, che ai nostri giorni coinvolge (nell’allungarsi della vita) ben tre generazioni: figli, padri e nonni. Fino a rinfacciarsi gl’un con gl’altri lo stato attuale e il destino futuro del Pianeta: “ci avete rubato il futuro”. In questo periodo qui in Lombardia, regione in cui sono nato, vivo e lavoro ci siamo trovati a riscoprire la nostra storia, le nostre origini, cercando analogie con le generazioni passate per trovare degli spunti, delle risposte, delle speranze. Vi consiglio una lettura che è davvero illuminante: il capitolo 31 dei Promessi Sposi. Manzoni ci racconta con un piglio da storico acuto, quanto accade nel 1630 a Milano e in Lombardia durante l’epidemia della peste, portata dai “Lanzichenecchi”. Si tratta di una descrizione puntuale ed anche psicologica dei comportamenti umani, quando arrivano eventi spiazzanti come questo. C’è la descrizione di come le masse possano regredire quasi al livello di un’orda primordiale, dove a prevalere sono il giustizialismo, l’individuazione di un capro espiatorio che fa dell’untore la vittima predestinata causa di tutti i mali, la calunnia e l’ingigantimento di una falsa notizia (oggi diremmo fake new), il pretesto per perpetuare atti di sopruso verso persone innocenti. Un’altra forte immagine che sta avendo un grande impatto nella nostra psiche, è quella del Lazzaretto, oggi diremmo dei nostri ospedali ormai saturi, che devono individuare luoghi adatti alla quarantena (nuovi lazzaretti?) dove “parcheggiare” i malati, con tutto quello che può comportare in termini di solitudine, isolamento, angoscia, sensi di colpa… Sono questi i fantasmi che riaffiorano, che pensavamo avere rimosso e che invece si ripresentano con tutta la loro forza dirompente e davvero inquietante. Forse le questioni sottese, i meccanismi di difesa, i comportamenti agiti di allora, sono gli stessi, calati nella nostra realtà moderna. Allora potremmo porci delle domande: chi è l’Altro per ciascuno di noi? E noi chi siamo? Come ci rapportiamo con gli altri? Sappiamo chi siamo come individui e come società? È questo dunque un primo filone su cui ciascuno di noi deve ripartire per riuscire ad iniziare ad elaborare questa vicenda, con tutto quello che di irrisolto ci portiamo dietro. Un altro aspetto riguarda il tema del tempo. Il tempo non lo si può acchiappare, il tempo è come una freccia (fugit irreparabile tempus). Noi non ne siamo padroni, forse perché abituati ad essere immersi nei suoi ritmi per molti divenuti frenetici. In questo periodo ci sentiamo sospesi e forse potremmo iniziare a non subire questo tempo, ma ad accoglierlo, a trasformarlo, a vederlo come una nuova opportunità. Questo anche alla luce dell’ansia crescente che le persone stanno esprimendo, attraverso il continuo rimuginio che invece va stoppato, proprio cercando altre cose da fare, dedicandosi maggiormente ai propri interessi, scoprendo appunto un tempo più rallentato e più consono alla propria persona… Un secondo filone su cui lavorare riguarda il tema delle cure e del modello di sanità che vogliamo avere. Asserire convintamente che il nostro sistema sanitario nazionale è un bene primario e che come tale, non va smantellato, ma salvaguardato e rafforzato, significa mettere mano ad un trend che in questi ultimi anni ha iniziato a dare aree di problematicità, soprattutto laddove politiche regionali (qua in Lombardia, ma anche altrove) troppo interessate all’arrivo dei privati, ha di fatto indebolito e fatto chiudere interi reparti e diminuito posti letto. Credo che su questo tema si aprirà un confronto che sarà molto seguito da tutti poiché rappresenterà per i prossimi anni uno dei punti centrali della nostra convivenza… Volevo concludere con una suggestione che deriva da un’altra lettura, questa volta ambientata a Roma e descritta da Ovidio nelle sue Metamorfosi al libro quindicesimo: quella di Esculapio, dio della medicina. Esculapio è l’adattamento latino (Aesculapius) del nome greco Asklepios, ma si tratta dello stesso dio. Il suo culto fu introdotto a Roma sull’Isola Tiberina nel 291 a.C. La tradizione vuole che in quell’anno la popolazione della città fosse colpita dalla peste. Dopo aver consultato i Libri sibillini, il Senato romano decise di costruire un tempio dedicato al dio, e a questo scopo fu inviata una delegazione ad Epidauro per ottenere la statua del dio. Al ritorno, mentre la barca che trasportava la statua risaliva il Tevere, un serpente, simbolo del dio, sceso dall’imbarcazione, nuotò verso l’isola Tiberina. L’evento fu interpretato come volontà del dio di scegliere il luogo dove sarebbe sorto il suo tempio, che sull’isola fu costruito. Nel ventunesimo secolo sull’isola sorge uno degli ospedali più importanti d’Europa, il San Giovanni Calibita Fatebenefratelli. Lì è nata la mia seconda figlia Francesca. Cosa significa tutto ciò? Nei momenti di maggior difficoltà gli uomini tendono a regredire, proiettando nelle stelle, nella natura, negli Dei le loro richieste e i loro bisogni. Il mondo psichico è fatto di questo immaginario, che si è ben depositato nel nostro Dna psichico e che ben conoscono gli artisti e gli psicologi. Ma, sappiamo anche che possiamo trasformare le nostre paure antiche ed arcaiche in cose meravigliose per noi e per gli altri. Come la nascita di un figlio, che apre ad una nuova vita…  “Il giorno inizia e finisce comunque, senza il nostro consenso. Non siamo padroni del tempo, solo padroni di dargli un senso” (Luigi Augusto Belli). Ricordiamocelo…

Ecco i sintomi della “Pandemic Fatigue”:
Ansia  – Agitazione – Sbalzi di umore – Rabbia – Tristezza – Irrequietezza – Voglia di libertà – Rifiuto delle norme imposte – Rassegnazione – Passività agli eventi – Negazione del problema. I sintomi appena descritti sono quelli più comuni della Pandemic Fatigue: possono variare da persona a persona e possono essere più o meno intensi a seconda delle circostanze. In ogni caso, si tratta di stati d’animo che provocano l’insorgere di disturbi, di lieve o grande entità in base ai casi, quali: tachicardia, insonnia, capogiri, crisi ipertensive, perdita dell’appetito o, al contrario, aumento di peso, caduta dei capelli, coliti.

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