Politica: Francia e Italia, simili ma così diverse. Marin Le Pen si smarca da Meloni e ribadisce la sua vicinanza a Salvini. La riforma delle pensioni voluta dal Presidente Macron ha scatenato una massiccia ondata di proteste. E Lui “boccheggia” sempre più. Le piazze sono piene, le strade invase, lo spazio pubblico è un grande rituale che crea effervescenza collettiva, solidarietà, identità. Una protesta così è oggi impensabile in Italia…

La brillante intervista a Marine Le Pen raccolta da Anais Ginori (la Repubblica) contiene più di un messaggio. Il primo, come è evidente, è rivolto all’Italia. La leader dell’estrema destra francese spezza una lancia — e non è la prima volta — in favore dell’amico Matteo Salvini e al tempo stesso prende le distanze da Giorgia Meloni, con la quale i rapporti sono sempre stati pessimi. Salvini se ne compiace e del resto poche ore prima sorrideva soddisfatto ai fotografi in compagnia di Jordan Bardella, il volto mediatico del Rassemblement. Sfortunatamente il terreno scelto da Marine per ribadire la sua simpatia verso il capo della Lega è il più scivoloso: la critica alla Nato, che in questo momento significa esprimere vicinanza a Putin. Non a caso il partito lepenista esprime forti pulsioni filorusse. Vale a dire “no” alle armi all’Ucraina e il solito repertorio degli argomenti anti Zelensky. Anche Salvini, come è ben noto, coltiva una speciale relazione con l’autocrate russo. Quindi che i due s’intendano non è strano. E non è nemmeno una novità. Il problema è solo uno, ma significativo: il Rassemblement lepenista è all’opposizione, Salvini invece è nel governo, con responsabilità di vicepremier. Il “no alla Nato”, che Marine Le Pen sbandiera a suggello del patto tra le due formazioni filorusse, dovrebbe essere motivo d’imbarazzo per il leghista. Ma la risposta sarà la solita: la Lega va giudicata per il voto che esprime in Parlamento, dove non è mai mancata la lealtà al governo Meloni. In realtà la faccenda è più complicata: le due maggiori forze amiche di Putin dell’Europa occidentale hanno scelto questo momento per ribadire la loro sintonia. Sperano di mettere in difficoltà proprio la premier Meloni, ma è il contrario. Da tempo la presidente del Consiglio ha fatto la sua scelta atlantica: l’unica possibile per lei, con la guerra in corso, se vuole rendere credibile l’opzione “conservatrice” nel prossimo Parlamento europeo. Salvini invece guarda al cabotaggio domestico e si sforza di guadagnare consensi ovunque riesca a trovarli. E qui c’è il secondo aspetto, il messaggio implicito nell’intervista alla Le Pen. Una questione tutta interna al dibattito francese. Con il paese ancora in fiamme, Macron sta cercando temi in grado di colpire l’opinione pubblica, ma anche di distrarla. Li ha trovati nel repertorio di un certo tardo gollismo, per cui tornando dalla Cina ha rivendicato “l’autonomia” francese (ed europea) dagli Stati Uniti e ha fatto capire che non varrebbe la pena di morire per Taiwan. Frasi in cui vari osservatori hanno colto un eccesso di ambiguità, figlio della debolezza del presidente in patria. Tuttavia, il calcolo sembra essere più sottile. Dopo settimane passate sulla difensiva, Macron tenta una sortita: vuole contrattaccare il fronte destra-sinistra che si è saldato nelle piazze. Marine Le Pen e Melénchon, capo della sinistra radicale, non dicono sempre le stesse cose, è logico, ma sulla politica estera il loro populismo si assomiglia. L’antipatia verso Stati Uniti e Alleanza Atlantica, il mito dell’ “autonomia”, il sogno di una “terza forte” neutrale tra Ovest ed Est… sono tutti argomenti che uniscono gli oppositori dell’Eliseo e fanno presa sui contestatori. Macron cerca di smontare il loro gioco. A sua volta ha ripreso i vecchi temi cari al generale De Gaulle, l’uomo che fermò il Sessantotto con la marcia della “maggioranza silenziosa”. Ovviamente li ha attualizzati, e adesso spera di aver messo un po’ di scompiglio negli ambienti dell’elettorato lepenista, da un lato, e massimalista, dall’altro. Una mossa spregiudicata, ma il presidente ha bisogno di risalire la china con ogni mezzo. Marine ha capito l’operazione e risponde con le stesse armi, accentuando il suo “no alla Nato” e cercando la solidarietà dell’amico italiano. È una Francia inquieta. Non che da noi gli attacchi agli interessi materiali di chi sta peggio manchino, anzi. Lo smantellamento del reddito di cittadinanza, il via libera all’evasione fiscale di sopravvivenza, la riforma Irpef, il de-finanziamento della sanità pubblica e l’autonomia differenziata, rappresentano un’erosione delle condizioni materiali perfino più marcata di quella prevista dalla riforma Macron. La reazione delle piazze francesi è dovuta a due elementi cruciali, assenti in Italia. Il primo riguarda l’incapacità di reazione alle violazioni della cosiddetta «economia morale». Con questo concetto, lo storico E.P. Thompson, nel suo lavoro sulle rivolte inglesi del 18° secolo, spiegò le azioni di protesta collettiva circa la distribuzione di generi di prima necessità andando oltre gli interessi materiali. Oltre a questi, che svolgevano certamente un ruolo, la veemenza e la pervasività delle proteste erano da ricondurre alle violazioni da parte delle élite dei loro obblighi verso la collettività. Contava quindi il senso di giustizia verso tali obblighi e il senso morale che pervadeva la vita quotidiana delle classi popolari. La riforma Macron è profondamente ingiusta, come hanno ben spiegato in molti cronisti. La riforma lede dei basilari principi di giustizia sociale: il suo peso sarà assorbito dai lavoratori con titolo di studio più basso e che hanno quindi iniziato a lavorare prima. Si tratta di persone con un’aspettativa di vita più bassa e, per questo, la riforma aumenterà le diseguaglianze sociali. Inoltre, essa si inserisce in un contesto di sostanziale tenuta del sistema pensionistico e non trova quindi giustificazioni contabili. Quanto al peggioramento del rapporto deficit/pil seguito alle spese per contrastare l’emergenza Covid-19, non si vede perché questo debba essere coperto colpendo categorie non certo privilegiate, invece che tramite un prelievo fiscale su chi sta molto meglio. La violazione dell’economia morale – del senso di giustizia e di ciò che viene percepito come obbligo verso la collettività – è in Italia molto meno rilevante. Gli italiani si caratterizzano per il combinato disposto di bassa fiducia verso le istituzioni, scarsa fiducia interpersonale e una più elevata fiducia verso le «cerchie a corto raggio», tipicamente quelle famigliari e parentali. È, questa, la condizione peggiore per l’azione collettiva. Nel nostro Paese è più facile indignarsi per un brutto voto dato ai propri figli, che per lo smantellamento della scuola pubblica. L’idea di «mio figlio a scuola» e quella relativa a «la scuola di mio figlio», seguono percorsi separati. La seconda condizione è complementare alla prima e riguarda l’indebolimento delle organizzazioni di rappresentanza, il cui ruolo è proprio quello di dare forma all’azione collettiva anche in presenza di queste debolezze strutturali. Storicamente è stato così: la presenza di un sindacato forte e di un partito comunista forte ha permesso di «riempire le piazze» anche in presenza di questi limiti nella capacità di protesta collettiva degli italiani, per default impegnati a difendere il ‘particulare’. Oggi, le piazze sono vuote perché la rappresentanza sociale e quella politica sono deboli. Quanto alle organizzazioni sindacali, manca oggi in Italia un sindacato aduso al conflitto sociale e con capacità di rappresentanza ampia e trasversale dei lavoratori. Stefano Ungaro ricorda impietosamente che circa la metà degli iscritti Cgil sono pensionati, contro il 20% della Cgt. Quanto alla rappresentanza politica, Melénchon è stato votato al primo turno delle presidenziali da più del 20% dei francesi, con una sovra-rappresentazione nella fascia di età 18-34 anni. La “France Insoumise” sta giustamente cavalcando le proteste di piazza contro la riforma Macron, in ossequio all’idea liberale che la democrazia non si esaurisce nel momento del voto. Decidere per il popolo e governare con il popolo sono due operazioni non perfettamente sovrapponibili. Nulla di tutto ciò è presente in Italia. Gli italiani hanno «rinunciato a pensare di poter essere loro lo Stato», scriveva Fabrizio Tonello sul Manifesto lo scorso 5 aprile. La mancanza di capacità mobilitante delle organizzazioni di rappresentanza, tanto sociali che politiche, non contrasta la tendenza di lungo periodo degli italiani a difendere l’utile delle loro «cerchie strette», i loro interessi corporativi. Per questo, per ora, le nostre piazze rimangono vuote…

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