Elezioni: al Pd non basterà agitare la paura della destra. Parli chiaro sul futuro italiano, sul sociale come sul lavoro…

Che la partita per il Pd e per il centrosinistra fosse in salita lo si sapeva, ma è indubbio che nelle prime settimane della campagna elettorale, al di là della facile propaganda degli avversari e della cautela con cui vanno sempre presi i sondaggi (e ancor più quelli agostani), qualcosa sembra non aver funzionato e aver reso la sfida ancora più improba. Al Pd non basterà agitare la paura della destra. Parli chiaro sul futuro italiano, sul sociale come sul lavoro. Quel 40% di indecisi potrebbe ascoltare non chi garantisce semplicemente il rispetto di europeismo e atlantismo, ma chi è in grado di offrire la speranza di un Paese più giusto, di un lavoro più dignitoso, di una sanità pubblica che funzioni, di un welfare che non continui a perdere pezzi. Ci sono stati i problemi nella composizione delle liste, peraltro inevitabili in un partito composito e non padronale come il Pd, ci sono state scelte comunicative molto discusse, ma questa è tutta superficie per addetti ai lavori, la questione di fondo è un’altra: la proposta del centrosinistra non sembra finora essersi distanziata molto dal posizionamento tradizionale degli ultimi anni, quello che assicura il Pd e ai suoi più stretti alleati la rappresentanza al massimo di un quarto al massimo dell’elettorato, non oltre. In altre parole, in queste prime settimane di campagna elettorale, i Democratici e Progressisti, nonostante le diverse cose nuove e coraggiose scritte nel loro programma, sono apparsi agli italiani esattamente come loro già li conoscono: quelli responsabili, seri, prudenti, quelli a cui affidarsi quando si teme che le cose possano andare molto peggio, come per esempio nel corso della pandemia, decisamente meno, però, come i portatori di una proposta di cambiamento. Ciò è dipeso dal fatto che i temi su cui più si è incentrata la polarizzazione con la destra e con Meloni sono stati quelli che parlano esattamente alla parte d’Italia preoccupata delle novità che le elezioni possono portare: la caduta del governo Draghi, la collocazione internazionale dell’Italia, il rapporto con l’Europa e la salvaguardia del PNRR, il rischio di un’involuzione illiberale e l’allarme antifascista, la preoccupazione per i diritti civili. Tutte cose giuste e a cui prestare grande attenzione, ma che mobilitano quella parte di elettorato mossa dalla paura della destra, a prescindere da un progetto di trasformazione della società. A ciò si aggiunga che l’appello al voto utile per fermare la vittoria della destra risulta inevitabilmente meno efficace in una situazione in cui il divario tra i due schieramenti appare ampio. In uno scenario in cui c’è un vincitore annunciato, vero o presunto che sia, la polarizzazione in negativo funziona di meno e gli elettori si sentono meno vincolati nell’indirizzare il loro voto. È come se il sistema si ‘proporzionalizzasse’ nel comportamento dei votanti, anche se ovviamente non nella trasformazione dei voti in seggi prodotta dall’assurdo Rosatellum. In questo quadro, l’idea di presentare la lista Pd-Italia democratica e progressista come l’unica vera alternativa credibile alla destra è giusta e non va abbandonata, ma va declinata in modo diverso. Non più solo in negativo, sulla paura di una vittoria di Meloni (che purtroppo, piaccia o no, buona parte del Paese sembra aver già metabolizzato), ma in positivo, sui temi che toccano direttamente la condizione di vita materiale delle persone. Se ci si rivolge solo a chi non ha questo tipo di preoccupazioni economiche stringenti e vota sulla base di temi più identitari e ‘culturali’, è molto difficile ipotizzare qualsiasi tipo di rimonta. E’ difficile riuscire ad “occupare il futuro”.  Serve invece una proposta di cambiamento percepibile, anzitutto da coloro che sono insoddisfatti o sono in sofferenza nella condizione attuale. Si tratta di quella parte di società che è pronta ad ascoltare non chi gli garantisce semplicemente che la collocazione internazionale dell’Italia non cambierà e che gli impegni europei verranno rispettati, ma chi è in grado di offrire la speranza di un Paese più giusto. In questo senso, le parole che Letta ha finalmente pronunciato sulla necessità di superare il Jobs Act sono importanti e potenzialmente potrebbero essere, se non resteranno un’uscita isolata, l’inizio della svolta necessaria per affrontare la fase finale e decisiva della campagna elettorale. Va bene la rivendicazione della lealtà nei confronti di Draghi, va bene la patente di credibilità europea e internazionale del Pd, ma per parlare a quella parte di elettorato popolare che ha abbandonato da tempo il centrosinistra, rendendolo minoritario nel Paese, questo evidentemente non basta. È un elettorato che rimprovera al centrosinistra le scelte fatte nell’ultimo decennio anzitutto sui temi economici e sociali e che non si lascia più mobilitare solo dall’appello contro la destra. Voltare pagina sulla precarizzazione del lavoro, con un’autocritica esplicita rispetto alla storia del Pd, è perciò un passo importante e, insieme, la base di una sfida molto più credibile alla destra, che su questi temi, se incalzata, mostra tutta la fragilità e la contraddittorietà della sua idea di protezione sociale. L’obiettivo deve essere questo, non semplicemente rimarcare la distanza da Renzi e Calenda o fronteggiare la ripresa del M5S. Un finale coraggioso di campagna elettorale, in cui il centrosinistra riconosce i suoi errori passati, mostra di aver capito che il mondo è profondamente cambiato, si rivolge con umiltà e determinazione non solo all’elettorato benestante e benpensante, ma a quelle aree sociali e territoriali con cui da tempo ha perso la connessione, può consegnarci il 25 settembre un risultato meno scontato di quanto sembri oggi. C’è ancora un 40% di indecisi, che può essere strappato all’astensione o alla corsa verso il vincitore annunciato solo con un progetto di cambiamento, non con la paura che le cose peggiorino. In quel 40% di indecisi c’è un pezzo di elettorato che sente di non avere nulla da perdere. È alla radicalità del suo disagio e della sua rabbia che bisogna saper parlare senza demagogia, ma anche senza sensi di superiorità, e con l’autenticità e il coraggio di riconoscere gli errori commessi. Bene o male, il Paese si è fatto un’idea di cosa può aspettarsi da questa destra. Per polarizzare stavolta non è sufficiente lanciare l’allarme sulle conseguenze della sua vittoria. È necessario far capire bene agli indecisi come la sinistra si propone di cambiare l’Italia, non basta semplicemente rivendicare il lavoro di Draghi o garantire il rispetto degli impegni internazionali…

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