Governo: le forzature pericolose della Lega nella maggioranza. Cosa c’è in gioco?

Scrive Maurizio Guandalini, giornalista, editorialista di Metro nonché saggista: “Ha ragione Salvini, Draghi si può criticare!” Certamente si… ma agli italiani già vien da ridere… la politica dei partiti comincia a discutere pure Draghi? Ma come, non era una manna arrivata dal cielo? Un Premier soprattutto autorevole sulle piazze estere, un lato positivo forse impalpabile all’istante, ma così necessario per un Paese che è impoverito dal Covid, mai così tanto dal 2005: un milione di persone in povertà assoluta in più, in tutto 5,6 milioni, cioè il 9,4% della popolazione. Un Paese che in Europa ha il più alto tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si formano. Solo il 53,1% delle donne sono impiegate, molto al di sotto del 67,4% della media europea. Siamo il Paese fragile delle frane e delle alluvioni, con il 12,6% della popolazione che vive in zone con elevata pericolosità. Siamo il Paese che inquina, con le emissioni che sono rimaste le stesse dal 2019 in poi, risalite dopo il calo del 2008-2014. Ancora il Paese che ha 3,5 milioni di dipendenti pubblici, ma solo il 2,9% con meno di 30 anni. E il Recovery affronta queste questioni, in alcuni casi indica delle direzioni di marcia, in altri dettagli e tempistiche. Ma soprattutto Draghi offre a noi elettori la possibilità di essere al centro dell’agone politico non come semplici numeri di voti.  Ma quali persone, con le proprie esigenze di vita… legate di questi tempi soprattutto al funzionamento della campagna vaccinale e alla presentazione di un Recovery Plan, che ci porti a casa dall’Europa 200 e passa miliardi; per ricostruire economicamente un Paese pieno di debiti e costretto a farne ulteriori… ma questa volta la spesa deve essere “buona”, cioè in nuovi investimenti, che producano più ricchezza rispetto a quelli attuali. Si avvicinano le elezioni Amministrative. E’ possibile che sia già iniziato il solito gioco: “avanti un altro!” disbrigando così uno alla volta i concorrenti alla leadership Salviniana? Vedere Salvini protestare perché Palazzo Chigi ha mantenuto il coprifuoco alle 22 invece che alle 23, lascia stupefatti.  E’ un po’ troppo presto, per dover registrare i primi smarcamenti all’interno della maggioranza senza aspettare nemmeno che il Paese sia stato messo in sicurezza e questo è alquanto preoccupante. Denota una visione ombelicale nella quale si mescolano i calcoli politici personali e le pulsioni caratteriali di Matteo Salvini. Ma il saldo sembrerebbe comunque in perdita. Così segnalano i sondaggi e per un aspirante Premier è un atteggiamento populista che lascia sempre più perplessi…  Infatti, non si può pretendere di imporre a tutti una propria agenda. Né mettersi con un piede fuori dalla maggioranza, attento però a non lasciarla e anzi accusando gli alleati del momento di volerlo fare. Salvini deve scegliere se stare “al governo o all’opposizione”. È giusto, naturalmente. Ma il tema del sì o no al coprifuoco è inadatto a fissare una discriminante così netta e quindi a diventare una bandiera politica degli uni o degli altri. In altre parole, la questione del coprifuoco non può essere che un aspetto, nemmeno il più importante, della campagna anti-Covid su cui Draghi e il governo hanno impegnato le loro energie. Viceversa, il tema dirimente riguarda il Pnrr, il gigantesco piano di ripresa economica che costituisce la vera ragione per cui è nato l’attuale esecutivo tecnico-politico. Per meglio dire, è l’autentico motivo per cui si è andati al di là delle vecchie formule politiche – come sottolineato dal presidente Mattarella – e si è scelta la strada dell’unità nazionale, sia pure senza Fratelli d’Italia e un segmento dell’estrema sinistra. La sfida per il sistema politico nel suo insieme consiste dunque nel non disperdere l’occasione unica di rinnovamento costituito dagli investimenti del Pnrr. Sono dinamiche che il Paese ha già vissuto, nel passato e soprattutto negli ultimi anni di dominio e di fallimento populista… C’è da dubitare che perseverare con questa miscela quasi quotidiana di minacce e rassicurazioni possa oggi portare più voti. Forse basterebbe ricordarsi della fine dell’altro Matteo. Certamente, invece, porta incertezza, divisione e danni a un’Italia affamata di certezze e voglia di ripresa. Vedere il leader Matteo Salvini alla testa della protesta di Regioni e Comuni della Lega perché Palazzo Chigi ha mantenuto il coprifuoco alle dieci di sera invece di spostarlo alle undici, lascia storditi e stupefatti! Anche perché appena la settimana scorsa lo stesso Salvini aveva esultato per le riaperture decise dal governo. Se le era intestate, con l’aria di chi si schermisce solo per sottolineare ulteriormente la propria vittoria. E su Mario Draghi aveva speso parole di stima e quasi di gratitudine. Di colpo, invece, è tornato a scartare, appoggiandosi come braccio armato anche alla Conferenza delle Regioni guidata oggi del leghista friulano Massimiliano Fedriga suo fedele seguace… Salvini, sicuramente soffre la sua concorrente di destra, Giorgia Meloni, che ha ironizzato su quel successo leghista sostenendo che sarebbe poca cosa e bisognerebbe riaprire di più e subito. Ma la leader di Fratelli d’Italia è all’opposizione e questo in democrazia fa la differenza. Per la Lega è diverso. Ha Ministri e Sottosegretari. Si vanta di essere «il partito maggiore», seppure nei sondaggi e in fase calante. Giura col suo Capo di essere «il più leale alleato di Draghi». Esclude di volere uscire dalla maggioranza, additando come eventuali sabotatori M5S e Pd. Rivendica di avere avuto con il Premier sei telefonate nella sola giornata di mercoledì: conversazioni «amichevoli, franche e leali». Il problema è che mentre fa affermazioni così impegnative, Salvini piccona Palazzo Chigi. Rimprovera il Governo assieme a Fedriga di avere disatteso gli impegni con le Regioni. Scolpisce un «siamo leali ma non fessi» che dovrebbe essere la spiegazione e l’alibi per l’astensione sull’ora del «coprifuoco». Dietro si intravede la pressione della lobby degli enti locali: un grumo di interessi particolari che cerca a intermittenza di scaricare sullo Stato centrale le inadempienze e gli errori collezionati nei lunghi mesi della pandemia. Riemerge, potenziato dalla collocazione bifronte di Salvini, il tentativo maldestro dei poteri periferici (Regioni e grandi Comuni) di tamponare la propria impopolarità. Viene utilizzato lo scontento comprensibile di chi, vedendo il proprio lavoro a rischio, sottovaluta i costi già sperimentati di una risalita dei contagi. Ma aizzare le Regioni e l’Opinione Pubblica contro «Roma» è una manovra particolarmente riprovevole in una fase nella quale si compie il massimo sforzo per voltare pagina con le vaccinazioni. Sia chiaro: l’eterogeneità della coalizione guidata dall’ex presidente della Banca Centrale Europea è un fatto. Pensare che un governo in cui convivono grillini, dem e leghisti possa conciliare all’infinito obiettivi elettorali, inclinazioni culturali e interessi economici divergenti sarebbe da illusi. Ma che appena due mesi dopo la sua formazione l’esecutivo venga bersagliato dall’interno testimonia non solo scarsa consapevolezza del momento che l’Italia sta vivendo. Dimostra anche la miopia strategica di chi ritiene di potersi comportare come nel passato, a prescindere dalla fase nuova che si è aperta. Tentazioni che peraltro non riguardano solo la Lega… E’ un gioco pericoloso! E’ appena iniziato un derby tra Governo Draghi e Salvini e i suoi. Insomma, proviamo a ricapitolare questa storia in cui un’oretta di coprifuoco è diventata una specie di linea del Piave. Dopo aver spiegato che il provvedimento sulle aperture graduali di pochi giorni fa era una sua grande vittoria, Salvini si astiene sulla vittoria, dando ordine – proprio così: ordine – di non votarlo in nome di quell’oretta in più cui simbolicamente ha ancorato il destino dei ristoratori. Un evidente segnale tutto politico all’esterno, perché il suo sbandierato successo non è stato percepito come tale da quelle inquiete categorie che hanno occupato la A1, o che si sono incatenate a Sarzana, il cui urlo di dolore ha le sembianze di voti alla Meloni che, avanti di questo passo, di qui a tre mesi rischia di scavalcare la Lega nei sondaggi. Al tempo stesso è un evidente segnale all’interno, a quella delegazione di governo leghista, considerata troppo arrendevole. L’uomo, si sa è sospettoso, teme trame, non si fida di Giorgetti e Garavaglia, vede rosso su Zaia cui ha preferito il più malleabile Fedriga a capo della Conferenza Stato Regioni. E con una certa brutalità ha fatto capire non solo che comanda lui, ma che la parola degli altri non vale nulla, punto. A proposito di Conferenza Stato Regioni, dopo il coprifuoco, arriva come casus belli anche la scuola. Mai si era vista una convocazione ad horas per commentare, anzi per attaccare un decreto del governo, che non ribalta gli accordi presi ma cerca solo di aprire (non di chiudere) le scuole un po’ di più dal 60 al 70% in presenza, già del dieci per cento in più. È evidente la politicizzazione dell’organismo, impressa proprio dal neo – presidente Fedriga che, in verità ha trovato terreno fertile tra tutti i governatori piuttosto inclini, per ragioni di consenso, a tenere chiuse le scuole preferendo aprire i ristoranti, perché l’apertura delle scuole è un rischio che fa perdere voti, mentre i voti dei ristoratori si perdono se sono chiusi. Un paese che sembra affrontare le novità mondiali dell’economia con una centralità economica retta dalla Ristorazione… è questo il settore portante della nostra economia… è questa la nostra prospettiva economica che offriamo alla Next Generation EU? La cronaca dell’attivismo di Salvini, tornato battagliero anche nella postura, loquace al punto da trasformare la sua giornata in una diretta facebook senza soluzione di continuità, potrebbe proseguire con la richiesta di dimissioni di una sottosegretaria pentastellata, rea di un’intervista troppo provocatoria o citando una serie di dichiarazioni che neanche Salvini stesse all’opposizione, secondo quella dinamica già sperimentata (in modo catastrofico) nel Conte 1: “il governo non come luogo per cercare la sintesi, in nome di una comune assunzione di responsabilità, ma come terreno di una campagna elettorale permanente in cui contano solo le proprie bandiere”. E, quando non vengono piantate, l’alleato di governo diventa un avversario, comunque si chiami, da dare in pasto alla delusione rispetto alle aspettative suscitate. Sgomberiamo il campo da un riflesso condizionato, sin dai tempi del Papeete. Salvini non vuole uscire, almeno per ora, dal governo, anche perché il voto non è nelle sue disponibilità. Sarebbe lapidato da quel blocco produttivo che ce lo ha spinto e non è disposto a perdere l’occasione della gestione del Recovery. Quindi semplicemente, andrà avanti così. Ma è un gioco assai pericoloso, destinato a diventare più spericolato mano a mano che si avvicina il turno di amministrative che vale quanto un’elezione politica. Perché è vero che Salvini è Salvini… l’uomo dei pieni poteri, un uomo solo al comando… con il sogno di una Lega egemone se non addirittura partito unico… con la sua provocazione a freddo sul coprifuoco. Ma è anche vero che, con assoluta lucidità, anche gli altri hanno deciso di provocarlo, nella speranza che, prima o poi, tolga il disturbo, andandosene dal governo e, poiché non si può votare, a quel punto nasce una più potabile “maggioranza Ursula” con quel pezzo di Forza Italia che ci sta: a occhio, quella rappresentata dagli attuali ministri azzurri. Se, armato di taccuino, il cronista rivolge a chiunque del Pd la domanda “ma Salvini vuole uscire?”, la risposta da annotare è “magari”. Ecco: fare in modo che sia costretto a rompere, sulla base del calcolo che, conoscendo il soggetto, non riuscirà a reggere a lungo questo assetto: questa è la linea che si confronta dentro all’attuale maggioranza, quanto realistica o illusoria sia, si vedrà presto…

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