L’insoddisfazione verso il governo è diffusa e si tocca con mano. Il turbolento passaggio della manovra governativa al Senato – mettiamola così, per carità di patria – pone la maggioranza davanti allo specchio della sua stessa vergogna. Tant’è che il Premier Giuseppe Conte passa da essere l’avvocato del popolo ad essere l’avvocato del Governo. Un abilissimo difensore per la coalizione, non certo il vero nuovo premier. Una prova: nonostante la meticolosa preparazione e l’attenzione quasi maniacale nel maneggiare i diversi argomenti, per correggere il tiro su questioni che più sensibili non si può: “Rimpasto di governo? Il discorso esula dalla sensibilità del premier, semmai l’esigenza maturerà in seno a una delle forze politiche, verrà comunicata all’altra, io ne verrò eventualmente messo a parte se fosse un’istanza condivisa e se ci fosse una soluzione prospettata, auspico che sia condivisa e che non destabilizzi l’esperienza di governo”. Così il premier Giuseppe Conte, nella conferenza stampa di fine anno non esclude il rimpasto e anche ‘un tagliando’ al contratto di governo tra M5s e Lega, precisando che al momento il cambio di ministri è “un periodo ipotetico del quarto grado”. Sta il fatto che, dietro tutto questo “garbo” o pseudo tale dialettico continui il braccio di ferro per riequilibrare i rapporti tra le due forze di governo. Tutto è buono per la propaganda compresa la violenza negli stadi. Salvini: “Sbagliato chiudere lo stadio”. Dice il ministro dell’Interno parlando degli scontri a Milano prima di Inter-Napoli che hanno portato a un ultrà morto, quattro accoltellati e alla decisione di giocare due partite a porte chiuse a San Siro e vietare almeno la prima trasferta dei tifosi, per l’Inter a Empoli. Quel che è certo è che la legge degli ultrà ha una regola: accettare la “sconfitta”: chi cade in guerra, durante gli scontri, è un eroe e come tale va ricordato. E Belardinelli – scrive Matteo Pinci – sarà ricordato negli stadi dai “rivali”, napoletani compresi. Due dei tre arrestati – ricordano – Sandro de Riccardis e Massimo Pisa – fanno parte di Lealtà Azione, gruppo di estrema destra, ma si lavora per identificare i leader incappucciati. Il leader della Lega, però, vuole dialogare con le tifoserie organizzate. Per lui, spiega Paolo Berizzi, il ruolo istituzionale è un abito da indossare e dismettere in nome della caccia permanente al consenso più miope. Agitazioni anche sul fronte economico: con la manovra, arrivano più tasse per tutti, tanto che in tre anni è prevista una stangata da 13 miliardi. Saranno colpite soprattutto le imprese, le assicurazioni e le banche che scaricheranno l’aumento dei costi sulla clientela. Nuove difficoltà in vista, infine, per il ministro Tria, che torna in bilico: la Lega punta alle Infrastrutture ma è il Tesoro – il vero obiettivo dell’eventuale rimpasto. Di Maio spera in un passo indietro volontario, della Lega, mentre il suo leader non fa le barricate per via XX Settembre: preferirebbe “conquistare” il ministero di Toninelli. Ma a queste “ipotesi” ecco poi fare a Conte durante le tre ore di conferenza stampa l’ennesima gaffe sulle pensioni: “I pensionati oggi scendono in campo – ha detto l’ex professore dell’università di Firenze – ma li ricordo silenti (ricorda male) quando fu approvata la legge Fornero”. Il tema è il raffreddamento delle indicizzazioni di quelle che superano il migliaio e mezzo di euro, la citazione sfoderata non è delle migliori: “Parliamo di qualche euro al mese, forse non se ne accorgerebbe nemmeno l’avaro di Moliere”. Certo che bollare , sia pur con “garbo”, come avari qualche milione di pensionati italiani non sembra una mossa un gran che indovinata. Ed ecco Il suo staff correre ai ripari: “Faceva riferimento alle sigle che rappresentano i pensionati, non ai pensionati stessi”. Spudorati!! Si un governo di spudorati mentitori… Tutto ciò pone anche l’opposizione davanti a un bivio. O giocare la vecchia partita della rivincita o tentare di giocare una partita nuova (possibilmente anche con figure nuove). Certo, quel misto di arroganza e di insipienza di cui i “padroni del balcone” hanno dato prova induce a molte tentazioni. Prima tra tutte, proprio quella di rispondere pan per focaccia, opponendo rancore a rancore e magari arrivando perfino a celebrare un nuovo “V day” a parti rovesciate. Ce n’è di che. La maggioranza ha disatteso tutte le sue promesse e tutti i suoi doveri, ha dato prova di una preoccupante incultura istituzionale, ha messo a nudo la pochezza e la doppiezza del suo gruppo dirigente. Le promesse elettorali si rivelano per quello che sono: fumo negli occhi. E il dileggio del Parlamento ha raggiunto vette mai viste prima d’ora. Tutto questo e altro ancora rende quasi irresistibile per i cultori della politica d’una volta la tentazione di confidare che stia per cominciare il girone di ritorno. Dunque, sarebbe finalmente arrivato il momento di inchiodare i novelli demagoghi al vuoto della loro stessa incapacità e restituire loro i colpi bassi di una propaganda elettorale facile e comoda, tutta giocata su impegni disattesi, elettori truffati e dilettanti allo sbaraglio. Tutto questo si può capire e perfino condividere. Ma la situazione è tale che forse più di tanto non funzionerebbe… Forza Italia e PD, tuttavia, sembrano non interessarsene, preferendo concentrarsi su congressi e patetiche campagne acquisti. O sulle risse in aula con lancio di documenti e urla da “mercato delle vacche”. Il risultato? Un Paese sempre più rassegnato ed esasperato. Sono incazzati i giovani, studenti e ricercatori, e sono incazzati pure gli anziani, sia per i tagli alle pensioni d’oro (misura dovuta per equità, ma attuata senza alcun criterio e con un metodo che aprirà un contenzioso anticostituzionale con ciò che poi ne conseguirà); ma soprattutto come già accennato nei confronti delle normali pensioni (1500 euro in su) per l’ennesimo blocco della rivalutazione all’inflazione che è già ferma da più anni. È incazzata la Confindustria, sono incazzati gli Artigiani, e anche i Sindacati dei Lavoratori. Sono incazzati quelli del “partito del Pil” e delle infrastrutture sempre e comunque, e sono incazzati i No Tap, i No Tav, i No Ilva. Sono incazzati pure gli ambientalisti, per la proroga di 15 anni agli stabilimenti balneari, senza adeguamento dei canoni e controlli, ma anche i produttori di automobili per l’ecotassa sulle utilitarie. Sono incazzati i tassisti e pure gli Ncc. Sono incazzati gli scienziati, i professori, i burocrati, i preti, i medici, che hanno protestato i giorni scorsi a Roma. Sono incazzati gli elettori dei Cinque Stelle, perlomeno quelli che commentano sui social, per la resa senza condizione a Juncker e Moscovici e sono incazzati gli elettori leghisti delle valli lombardo-venete, che mal sopportano l’alleanza col meridionalismo dei Cinque Stelle. Altro che luna di miele, insomma. Roba che in condizioni normali, in un Paese normale, la maggioranza sarebbe in crisi nera, o comunque in forte difficoltà. Del resto erano proprio quelli del Pd, Renzi in primis, che il 5 marzo dicevano che l’onere di governare era la principale causa della loro sconfitta. E le opposizioni dovrebbero crescere quasi per inerzia, senza particolari sforzi. Eppure – super media dei sondaggi elettorali del 21 dicembre alla mano – Lega e Cinque Stelle assieme sommano ancora un consenso pari al 57,4%, con la Lega al 31,4 e i Cinque Stelle al 26 punti in più rispetto alle percentuali raccolte alle elezioni politiche. mentre il Pd è al 16,7% ha perso quasi altri due punti dopo il minimo storico del 4 marzo, e Forza Italia ne ha persi altri 5 e traccheggia attorno al 9%. «Non si può aspettare il congresso del Pd per fare opposizione», ha tuonato Emma Bonino dopo il suo accorato intervento alla Camera, quello in cui ha accusato Lega e Movimento Cinque Stelle in difesa del Parlamento «esautorato, umiliato e ridotto alla farsa», a oggi è quella della Bonino la più incisiva e sincera giaculatoria contro lo strapotere di Lega e Cinque Stelle. Il resto? A destra il deserto, se si eccettua qualche rimbrotto comportamentale di Mara Carfagna a Matteo Salvini, che è bastato a farne un’icona di resistenza, e dei patetici tentativi di campagna acquisti tra i Cinque Stelle di Silvio Berlusconi, ormai ridotto a caricatura di se stesso. In compagnia di una Giorgia Meloni e del suo residuale partitino F.lli d’Italia. Nulla in confronto allo psicodramma in atto a sinistra, dove davvero si fa fatica a capire se ci siano o se ci facciano… se davvero credano che il mondo ruoti attorno all’uscita di Renzi, o al ritorno di D’Alema. O che l’opposizione si faccia a suon di video con le faccette buffe, ironizzando sull’ignoranza istituzionale di chi li ha asfaltati e, se si votasse adesso, li asfalterebbe di nuovo. O ancora, che si creda che si possa abbassare la serranda per ancora qualche mese, in attesa dell’esito di un congresso “fantasma” che ha più d’un anno di ritardo. Mentre si guardi all’estero alla ricerca di figure carismatiche da idolatrare e di cui copiare le forme di rappresentanza e gli indirizzi politici: Pedro Sanchez, Alexandria Ocasio-Cortez, Emmanuel Macron, i verdi tedeschi e persino Ciudadanos, che nel frattempo si allea con quel che rimane dei franchisti. Semmai, chi si oppone al nuovo corso politico avrebbe ora il dovere di mettere in campo idee, progetti e persone che non suonino come l’inno di una rivincita ma invece appunto come l’annuncio di una sfida tutta nuova, rivolta alle prospettive di un paese che non può restare fermo al punto in cui si trova oggi, ma forse non vuole neppure tornare al punto in cui si trovava appena ieri o ieri l’altro. L’opposizione (o meglio, le opposizioni) al governo gialloverde hanno molte frecce al loro arco. Tanto più dopo quello che s’è visto in questi ultimi giorni. Ma devono saperle indirizzare per il verso giusto. Spogliarle di quel risentimento umanamente comprensibile che tutti proviamo; di quel fastidio che ci assale nel vedere insediata nei palazzi del governo una banda -anzi due bande- gonfie di furore e di incompetenza; di quel senso di supremazia che anche all’ultimo di noi deriva dall’aver letto almeno qualche libro in più dei due o tre ignorantoni che reggono attualmente le sorti del paese. E rivestirle semmai di nuove, inedite e sorprendenti intenzioni per il futuro di questo paese. Invece, è un dramma, che l’opposizione finisca per attaccare gli avversari politici usando i loro stessi argomenti – “Non state rimpatriando i clandestini”, “Riempirete le strade di stranieri”, “Vi siete fatti dettare la manovra dall’Europa” -, senza nemmeno provare a cambiare la cornice della narrazione. Certo i nostri piccoli Robespierre, con il loro “terrore da operetta”, non dureranno probabilmente a lungo. Ma è sicuramente difficile pensare che dopo di loro torni: “Maria Antonietta. Ma anche che arrivi Napoleone”. Il risultato è questo. Quello di un governo che, in assenza di avversari, si fa l’opposizione da solo, monopolizza il dibattito e si palleggia il consenso tra gialli e verdi. Mentre fuori, nel Paese sempre più a “testa in giù”, la delusione e rabbia non trovano alcun ancoraggio, né tantomeno alternative politiche, e se ne stanno alla deriva, senza nessuna direzione, senza alcuno scopo, destinate ad arenarsi appena cala il vento. O a tracimare nella violenza e nell’eversione, se il vento si alza un po’ troppo (come con tutta probabilità è credibile che possa accadere nel 2019). A questo, in fondo, serve l’opposizione. A evitare che l’insoddisfazione diventi rassegnazione o l’esasperazione. In questo momento, non lo sta facendo. E se non lo fa, non serve a nulla…
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