Governo: Renzi e Italia Viva la crisi sono riusciti a spiegarla agli italiani? Quali i principali perché…

La chiamano “crisi al buio”. Significa che i principali motivi di questa crisi e i suoi possibili sbocchi sono oscuri, volutamente nascosti alla luce… in sostanza non si vuole chiarire (all’opinione pubblica) i principali perché della crisi di governo… lo scorso 13 gennaio Matteo Renzi, ex primo ministro, ex segretario del Partito Democratico e attuale leader di Italia Viva, ha quindi annunciato il ritiro della sua delegazione dal governo e nello specifico hanno rassegnato le dimissioni la ministra della Famiglia e delle Pari opportunità, Elena Bonetti, e quella delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, oltre al sottosegretario Ivan Scalfarotto. La decisione di Italia Viva di far mancare il proprio sostegno al governo Conte 2, visti i numeri risicati della maggioranza al Senato, ha aperto a una grave “crisi politica” lasciando il dubbio che lo stesso governo potesse cadere e soprattutto se il prossimo governo sarà ancora condotto nel ruolo di Primo Ministro da Giuseppe Conte.  A prescindere dall’appartenenza politica e dalla simpatia o antipatia che si può, legittimamente, provare per Matteo Renzi, la domanda a cui provare a rispondere è: ha funzionato la comunicazione dei motivi di questa decisione? Il quesito riguarda soprattutto Matteo Renzi e il suo partito, ma più in generale riguarda direttamente la nostra idea di politica… Partiamo dalle ragioni della crisi: i rappresentanti di Italia Viva hanno detto di non essere soddisfatti della gestione del paese nell’ultimo periodo, e spiegando più nel dettaglio i motivi hanno citato soprattutto due fattori: l’alto numero di morti a causa della pandemia da Covid in corso, e le conseguenze della stessa crisi sanitaria sull’economia del paese. Ecco il primo problema comunicativo: queste sono sicuramente ragioni comprensibili e “di cui si può discutere”, ma le “vere ragioni”, stando al resto della maggioranza e dell’opposizione sarebbero altre. Alcune di queste altre ragioni in realtà si conoscono, e sono anch’esse come le prime due piuttosto chiare: c’è disaccordo nella maggioranza su come gestire i fondi europei del Recovery Fund, c’è un forte disaccordo di Italia Viva sull’opinione del resto della maggioranza di non accedere al credito del MES, infine c’è un terzo disaccordo, sebbene meno esplicito, ed è quello sulla delega ai servizi segreti mantenuta dal premier in carica Giuseppe Conte… ma adesso affidata a Pietro Benassi, ma il leader di Italia viva proprio ieri aggiunge alle sue richieste anche il cambio del sottosegretario ai Servizi Segreti appena nominato da Conte… Se queste sono le ragioni della crisi, e sono sostanziali e comprensibili, allora perché il sentimento generale sembra essere più che altro di spaesamento? La prima risposta è che Renzi e i suoi parlamentari probabilmente non hanno saputo tener conto di quanto, durante una crisi pandemica, spaventa la sola prospettiva di andare a votare, e di quanto possa apparire “irresponsabile” l’aprire a questa possibilità, un po’ come se la situazione straordinaria in cui siamo, quella pandemica, rendesse l’attuale governo impossibile da mettere in dubbio. Italia Viva, da parte sua, dice che l’intenzione non era quella di andare alle urne, ma la sola possibilità, comunicativamente parlando, ha “irrigidito” l’opinione pubblica in questo senso. Un’altra cosa forse assai più importante che non ha funzionato nella comunicazione di Italia Viva sono i non detti: una crisi di governo è un accadimento assolutamente in linea con le procedure democratiche, eppure per funzionare necessita di carte coperte. Ma lasciare dei punti poco chiari, in un momento politico di grande tensione e fortissima necessità di trasparenza politica (si pensi al vaccino, alle tasse e ai criteri con cui sta funzionando il welfare straordinario), rischia di far interpretare le proprie mosse politiche solo come “giochi di potere”. Ecco detto, in modo semplice, di questa mossa politica di Italia Viva, non è stato chiaro e ha di conseguenza alimentato lo scetticismo generale: ma cosa si aspettava veramente di ottenere Renzi? Forse un rimpasto sostanzioso? Oppure un governo senza Conte? O magari entrambe le cose con in più un cambio sostanziale della linea politica governativa? Questo non è stato esplicitato, ed è ovvio che non lo sia stato: in politica si cercano e trovano compromessi senza stabilire obiettivi tassativi. Eppure senza un obiettivo chiaro ed esplicitato, Italia Viva, si è fatta, volente o nolente, portatrice di un messaggio di “instabilità”. Renzi è apparso colui che per delle ragioni, anche comprensibili, è disposto a fare un passo verso un territorio sconosciuto. In altre parole, si sa come si apre una crisi al buio, ma non si sa mai prima come la si chiuderà (di solito non lo sa nemmeno chi l’apre). Da queste ragioni nascono le due narrative contrapposte per interpretare questa crisi. La prima: secondo le parole di Matteo Renzi è una questione di coerenza politica. La differenza tra Italia Viva e il resto della compagine di governo secondo il Senatore è soprattutto qualitativa: da una parte c’è chi è disposto a cambiare maggioranza tre volte, a fare un governo con Renata Polverini (che ha una storia notoriamente di destra) e con un’ex collaboratrice di Berlusconi (ci si riferisce a Mariarosaria Rossi di Forza Italia), dall’altra invece c’è: “chi per difendere i propri ideali lascia il posto”. Su questo ultimo punto, cioè la capacità di lasciare le poltrone, Renzi ha insistito molto. Lo ha fatto anche da ospite del programma di Lucia Annunziata, ½ h in più, sottolineando come fossero decenni che dei ministri non decidevano di dimettersi perdendo il posto. Al punto di vista renziano va contrapposto quello del resto della maggioranza, secondo cui Renzi ha “puntato la pistola alla tempia al resto del governo” (lo ha detto Pierluigi Bersani a La7) e in generale ha voluto ritirare la sua parte politica dal governo per un suo nuovo protagonismo politico. Naturalmente entrambe le narrazioni possono avere una certa presa, almeno sugli elettorati più schierati; nonostante ciò, comunicativamente rimangono entrambe monche: per usare categorie sentimentali c’è chi lascia e chi viene lasciato, e chi lascia può essere sempre accusato di crudeltà, mentre chi viene lasciato di ingenuità… Le categorie più consone per leggere questa crisi da parte di buona parte dell’elettorato, però, sono quelle della purezza: da una parte c’è chi ha tradito, dall’altra chi è stato tradito. E la sanzione morale si abbatte sui primi. Questa visione della politica in base alla purezza morale dei suoi personaggi in Italia ha una lunga storia, è legata al malaffare reale e a quello percepito, in ogni caso comunicativamente ha un peso rilevante. Questa purezza è quella tipica di un periodo politico populista e che vuole l’“onestà” tassativamente al centro dell’operato politico, a prescindere da meccanismi e procedure democratiche e la loro legittimità. Renzi potrebbe aver sottovalutato questo punto, oppure aver consapevolmente scelto di imporsi scombinando gli equilibri di governo. Il risultato di questa scelta, comunque la si pensi, è che in tanti tralasciano le ragioni esplicitate da Renzi e dai parlamentari di Italia Viva, e dichiarano di non capire le ragioni della crisi. Il problema della “coerenza” in politica è più vecchio di Renzi e nella comunicazione politica attuale l’essere percepiti come “coerenti” è sinonimo di rettitudine morale e affidabilità, ed è anche per questo che le forze populiste, che si propongono come dure, pure e idealiste, usano molte delle loro energie per apparire in questo modo – tanto da proporre il vincolo di mandato. L’organizzazione della macchina politica e amministrativa, però, di fatto consente questo tipo di purismo solo in fase di campagna elettorale, dopo le elezioni la realtà politica obbliga necessariamente a dei compromessi, ed è per questo che il Movimento 5 Stelle si è prima alleato con la destra di Salvini, e poi col Partito Democratico, che fino a poco tempo prima era etichettato come “Partito di Bibbiano”. Il punto è semplice: per governare servono accordi e gli accordi li fanno i parlamentari. Matteo Renzi nella sua conferenza stampa alla Camera ha sottolineato più volte questo punto: “noi abbiamo detto: risolviamo i problemi che sono aperti, questa è la politica. Pensare di risolverli con un tweet, con un post, con una storia su Instagram è populismo!”. Aggiungendo subito dopo “e la politica richiede il rispetto delle regole, delle forme democratiche, delle liturgie”. Questo discorso è diametralmente opposto con il sentimento popolare che preferisce una comunicazione trasparente, un legame indissolubile tra volontà dei votanti e scelte degli eletti, e una priorità della comunicazione (quindi dei social), piuttosto che delle forme democratiche. Il problema della personalizzazione. Ogni comunicazione, di qualunque tipo essa sia, funziona all’interno di un contesto comunicativo. Ed è qui che la comunicazione dell’operazione politica di Renzi è rimasta inceppata: Matteo Renzi ha cercato di non personalizzare questa crisi politica, ha provato a comunicare ragioni, fatti, mancanze della gestione sanitaria e incoerenze del governo Conte. Ma la memoria degli elettori e degli osservatori politici vede in Renzi colui che personalizzò il referendum costituzionale del 2016, colui che mise sé stesso sul piatto di quell’operazione politica. C’è di più, Renzi ha un ruolo politico preciso nella percezione pubblica, ed è quello di riformatore astuto e dalle azioni dirompenti e inaspettate. Da questo ruolo è tardi per uscire. Renzi aveva già contribuito a far finire un governo, cioè quello di Enrico Letta nel 2014. Nel 2019 invece contribuì a farne nascere uno osteggiato da molti altri, cioè l’attuale governo Conte. La mossa dello scorso 13 gennaio non può che inserirsi in questo filone, come un ennesimo capitolo di una stessa storia: Renzi fa nascere e cadere governi, questo nonostante disponga di un consenso elettorale limitato. Questa discrepanza percepita tra potere e consenso (Conte ne ha acquisito molto)  causa, a molti, una forte insofferenza… Rimane un punto fermo nell’analizzare la parabola comunicativa di Matteo Renzi e di Italia Viva: se piace o non piace è tutta questione di prospettiva. Nell’estate del 2019, il suo appoggio al governo Conte venne salutato da molti come un’intelligente mossa per disinnescare il potere politico di Matteo Salvini, facendolo passare dal chiedere i pieni poteri a un ruolo di opposizione. Questa volta la mossa di Renzi, altrettanto inaspettata, non ha destabilizzato Salvini, ma Conte, ed ecco che i tanti sostenitori di Conte vedono male la decisione renziana. Ma se da una parte il senatore di Scandicci viene accusato di incoerenza… va notato come oggi al PD, si potrebbero muovere più die tutte  una critica speculari. Ad esempio: Bersani nel 2013 si dimise da segretario del PD proprio per non fare un governo con Berlusconi, oggi invece il Pd di Zingaretti mentre non vorrebbe nella realtà più fare un governo con Renzi, sarebbe probabilmente disposto a farne uno con Berlusconi… Conclusioni: Renzi dovrebbe aver ormai capito che qualsiasi cosa dica e faccia non ha più alcuna credibilità politica, perché tutto viene ricondotto al suo spropositato sentimento rispetto a un suo personale (ipertrofico) desiderio di poter comandare. Nella testa dell’Opinione Pubblica italiana, lui rappresenta il vero modello dell’”uomo solo al comando”, capace di tutto senza guardare in faccia nessuno, uno capace di dire; “niente prigionieri!” E oggi, in più, ci si incomincia anche ad interrogare su quali siano (al di là dei numeri elettorali assegnategli dai sondaggi)  “poteri e interessi economici” realmente rappresenti da Renzi e Italia viva qui in Italia e più in generale a livello internazionale. La sua recente performance (in piena crisi di governo) in Arabia Saudita, viene letta con la lente d’ingrandimento che mette a fuoco, gli specifici interessi economici e politici nella prospettiva dell’incarico di Segretario Generale della Nato. Incarico cui Renzi, si dice, aspirerebbe in un prossimo suo vicino futuro… Altrettanto vale per la delega ai servizi d’Intelligence… Alla fine, ma non per importanza il Recovery Plan, con la lettura della ripartizione tra poteri e interessi vecchi e nuovi della nostra ‘esausta’ economia così come vengono chiesti da Italia viva. Una ripartizione tra le altrettanto vecchie e nuove élite nostrane e internazionali che disegna la prospettiva futura del Paese e la sua collocazione nello scacchiere globale.   Sì, l’élite, sapete quei gruppi di persone, spesso minoranze, ma in possesso di notevole autorità, potere e influenza sociale e politica… Tutti noi dovremmo guardare alla nostra realtà politica in un modo effettivamente più  reale, che spesso per non dire sempre, va ormai ben oltre gli stereotipi delle leadership messe in campo… e guardano alla politica per quel che oggi è realmente e non intesa (come avviene da noi) un semplice show…  un vero e proprio spettacolo d’intrattenimento…

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