Nella guerriglia tattica che precede l’elezione del nuovo presidente della Repubblica tutti sono soliti dissimulare interessi particolari e strategie di parte dietro formule alte, generali e pensose. Sono le regole del gioco. C’è però, in questa edizione speciale del risiko Quirinale 2022, almeno una posizione la cui logica non regge nemmeno al più superficiale degli esami: quella di chi invoca stabilità e continuità dell’azione di governo – ovviamente con l’obiettivo di motivare l’ostilità all’elezione di Mario Draghi al Quirinale – e intanto lavora a sabotare l’una e l’altra. Emerge così la frattura nella maggioranza… Infatti, non sarebbe consentito, insomma, fare come la Lega, che ieri è stato il principale ostacolo all’introduzione del Super Green Pass per tutti i lavoratori, costringendo Draghi a ripiegare su un provvedimento comunque radicale, che istituisce l’obbligo vaccinale per chi ha più di 50 anni, ma meno esteso di quello che il presidente del Consiglio aveva in testa e, soprattutto, di quello che richiederebbe una situazione dove i contagi quotidiani si contano ormai in centinaia di migliaia al giorno e i morti sono di nuovo molti. Numeri dietro i quali ci sono persone, famiglie in lacrime, perdite. La Lega è riuscita anche a fermare il varo del Super Green Pass per alcune categorie commerciali e di servizi alla persona, fornendo di fatto l’ennesima scappatoia a quella minoranza di lavoratori e di cittadini che si sottrae alla vaccinazione, molti dei quali hanno fin qui sfidato il governo a optare per l’obbligo, accusandolo di ipocrisia e mancanza di coraggio, salvo cercare nuove scuse ora che l’esecutivo si è risolto a farlo. Ecco che così l’unità nazionale appare ormai logorata e nell’Esecutivo viene meno il minimo collante, reso efficace dalla credibilità del presidente del Consiglio. Nonostante la rabberciata unanimità raggiunta in Consiglio dei ministri, la giornata di ieri lascerà il segno: nel senso che la maggioranza di ‘quasi unità nazionale’ è finita, almeno per come l’abbiamo conosciuta in questi mesi. Magari può tirare avanti ancora un po’, per mancanza di alternative e soprattutto di idee. Ma è venuto meno quel minimo collante, reso efficace dalla credibilità del presidente del Consiglio, che finora l’aveva giustificata. Ieri sono saltate sia le certezze sia le illusioni. Da un lato Draghi ha ottenuto, tra luci e ombre, il risultato rigorista a cui puntava; dall’altro, Giorgetti – il moderato Giorgetti – è tornato nei territori leghisti. E non è una metafora, perché il ministro dello Sviluppo, finora grande alleato di Draghi, è partito per Varese e non ha partecipato né alla cosiddetta “cabina di regia” né al successivo Cdm. È il segnale che la Lega non crede più alle ragioni per cui un anno fa è nato l’esecutivo d’emergenza. Per dirlo ha scelto la politica sanitaria anti-Covid del premier e di Speranza. Salvini e i suoi, in apparenza di nuovo compatti, cercano di girare al largo, nel tentativo di non perdere il contatto con quella parte dell’elettorato del nord che è scettico – a dir poco – circa la vaccinazione obbligatoria e si sente smarrito nei meandri del Green Pass. Di fatto Salvini e Giorgetti pensano al loro mondo, anche se per ora non ritengono di aprire una formale crisi del governo. Ma siamo ormai su quel crinale… Si è spezzato quel filo per cui ognuno rinunciava a qualcosa e tutti insieme concorrevano allo sforzo collettivo la cui sintesi era Draghi. Così la destra, che finge di essere unita nel sostenere le ambizioni di Berlusconi e in realtà è divisa in tre spezzoni, cerca di darsi un orizzonte, ma non è in grado di indicare quale. E il centrosinistra non sta molto meglio: il Pd è il paladino dell’obbligo vaccinale e delle scelte di Draghi, ma il suo confuso alleato, il M5S, non segue la stessa linea. Qualcuno, certo esagerando, si spinge a dire che sta rinascendo lo spirito “giallo-verde”, l’attrazione reciproca tra leghisti e grillini. Non siamo a questo, tuttavia il tessuto connettivo dell’esecutivo si sta lacerando sempre più. E qui l’intreccio con il rebus Quirinale è oggettivo. Lo scrivevo qualche giorno fa in un altro post: “Draghi come Monti!” I Governi tecnici o pseudo tali, da noi, durano poco. Comunque, non certo più a lungo di quelli politici… un anno o poco più. La maggioranza si frantuma perché le prospettive di Draghi e dei partiti si stanno divaricando. Salvini l’aveva fatto capire un paio di settimane fa: “Se il premier vuole proiettarsi verso la presidenza della Repubblica – aveva detto all’incirca, io non intendo continuare a sacrificarmi governando con il Pd”. Sottinteso: lasciando a Giorgia Meloni gli spazi dell’opposizione. Come spesso accade, i fatti accelerano. Draghi è ancora a Palazzo Chigi e forse è destinato a restarci, ma una parte della maggioranza si sente già affrancata dai vincoli. Per cui, ecco la contraddizione. Se l’unità nazionale deve durare fino al ’23, c’è bisogno di un nuovo cemento in grado di ridefinire il patto sulle cose concrete da fare. Ma solo Draghi può mediarlo fino a indurre i partiti a sottoscriverlo. Per farlo, egli dovrebbe rinunciare all’idea del Quirinale e impegnarsi a fondo nella guida del governo. In caso contrario, è irrealistico che possa riuscirci domani una figura “x”, priva di peso politico, chiamata a surrogare le funzioni del premier. Meglio non dimenticare che la legislatura è ormai senza baricentro e l’ingovernabilità del Parlamento incombe. Orbene vediamo di capire qualcosa nel merito delle decisioni assunte ieri “all’unanimità” dal Consiglio dei Ministri. Il governo Draghi ha varato il nuovo decreto: obbligo di vaccino per gli over 50, che potranno recarsi sul posto di lavoro solo se immunizzati o guariti dal Covid, e novità sul Green pass. Per la terza volta in tre settimane il nostro Paese vede allungarsi la lista delle attività e dei luoghi per il cui accesso è necessaria la certificazione verde. Stavolta le maggiori novità riguardano il pass base, ovvero quello ottenibile mediante vaccinazione, guarigione o semplice tampone negativo (antigenico o molecolare). Ma cosa hanno stabilito nel complesso gli ultimi decreti e quali sono i luoghi/le attività a cui si potrà accedere grazie alla propria certificazione? Facciamo un punto. Dove è necessario il Green pass base? In base al nuovo decreto del governo, cambiano le regole per accedere a diverse tipologie di attività aperte al pubblico. Dal 1° febbraio al 15 giugno saranno infatti tenuti a esibire all’ingresso il Green pass base, dimostrando quindi di essere in possesso almeno di tampone negativo, i clienti di: servizi bancari e finanziari; negozi e centri commerciali (ad eccezione di quelli “necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie delle persone”); uffici pubblici (per esempio quelli di Comuni, Province, Regioni); servizi pubblici (come Poste, Inps, ecc). A partire dal 20 gennaio, sempre fino al 15 giugno, il pass base sarà necessario anche per accedere ai servizi di cura alla persona, ovvero per i clienti di: barbieri; parrucchieri; estetisti; centri estetici. Dove è necessario il Super green pass? Già ai sensi del decreto entrato in vigore il 31 dicembre, a partire 10 gennaio chi il Super green pass (che si distingue da quello base perché ottenibile solo attraverso vaccinazione) sarà necessario per utilizzare: mezzi di trasporto, che siano a lunga percorrenza (aerei, treni, navi, pullman) ma locali, dai bus alle metropolitane. Inoltre, il Green pass “rafforzato” sarà richiesto per frequentare: spettacoli che si svolgono all’aperto e al chiuso in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo (e locali assimilati); eventi e competizioni sportive che si svolgono al chiuso o all’aperto; alberghi e strutture ricettive; feste conseguenti a cerimonie civili o religiose; sagre e fiere; centri congressi; ristoranti e bar al chiuso e all’aperto; impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici; piscine, centri natatori, sport di squadra e centri benessere anche all’aperto; centri culturali, centri sociali o ricreativi per le attività all’aperto. Ci sono luoghi in cui rimarrà consentito l’accesso a chi è sprovvisto di Green pass (anche base)? Per i soggetti non vaccinati, che non possono avere certificazione derivante da guarigione e non eseguono neanche tampone, dovrebbero rimanere escluse dall’obbligo di presentazione della certificazione le attività che forniscono beni “necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie delle persone”, come supermercati e farmacie. Col nuovo decreto a partire dal 15 febbraio i lavoratori pubblici e privati – compresi quelli in ambito giudiziario e i magistrati – che hanno compiuto i 50 anni, dovranno esibire al lavoro il Super Green pass, che si ottiene con il vaccino o con la guarigione dal Covid. Le verifiche spetteranno ai datori di lavoro e chi non ha il super pass sarà considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione, “con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro e senza conseguenze disciplinari”, ma con la sospensione dello stipendio e di qualunque “altro compenso o emolumento comunque denominato”. Chi entra in un luogo di lavoro e non ha la certificazione verde incorre in una sanzione erogata dal prefetto che va da 600 a 1.500 euro. Le imprese potranno però sostituire chi non ha il Green pass rafforzato. La sostituzione rimane di dieci giorni rinnovabili fino al 31 marzo 2022. Torna l’invito allo smart working: i ministri Brunetta e Orlando hanno firmato la circolare nella quale si sensibilizzano le amministrazioni pubbliche e i datori di lavoro privati a utilizzare pienamente lo strumento. Con l’ultimo decreto il governo modifica anche la gestione dei casi Covid a scuola. In quelle dell’infanzia, con un positivo si va in quarantena per 10 giorni mentre alle elementari, con un caso si applica la sorveglianza con test al primo e dopo cinque giorni mentre con 2 casi si rimane a casa per 10 giorni. Alle scuole medie e alle superiori, invece, con due casi si resta in classe (con l’auto sorveglianza e utilizzo della Ffp2), con tre casi vanno in Dad per 10 giorni solo i non vaccinati e chi si è vaccinato da più di quattro mesi, mentre solo con 4 casi resta a casa tutta la classe. Stadi al 50% della capienza, per ora si esclude il “porte chiuse”. Rimane invariata la riduzione al 50% della capienza degli stadi e al 35% negli impianti sportivi: la misura, già approvata nel decreto della scorsa settimana, scatta oggi. Almeno per il momento non è previsto un ulteriore taglio delle capienze né un ritorno delle competizioni a porte chiuse. Intanto sul regolare svolgimento del campionato iniziano a pesare i crescenti casi di positività riscontrati negli ultimi giorni tra i calciatori, con conseguenti quarantene e rinvio delle partite… Ecco tutto e scusate se è poco… alla Babele Covid si aggiunge la Babele della politica italiana… uscirne vivi è l’impresa che ci attende… Buona Fortuna a tutti!
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