Guerra: siamo sicuri che gli Usa non stiano facendo un grande errore? Credere che la Nato possa sconfiggere Putin. Certo la Nato ha riequilibrato militarmente il conflitto ma ciò fa si che Putin è pronto a chiamare la mobilitazione generale. Esiste ancora un’alternativa diplomatica al conflitto armato totale?

Se, come ripetuto non più tardi dell’altro ieri dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov, l’esito della guerra dipenderà dai risultati sul campo di battaglia, i segnali per Mosca non sono incoraggianti… Infatti, anche nel Donbass le truppe russe procedono a rilento, mentre l’offensiva militare nella regione di Kharkiv sembrerebbe esser passata direttamente nelle mani del capo di Stato maggiore delle Forze armate, Valery Gerasimov. Perfino il 9 maggio, giorno in cui il Cremlino avrebbe dovuto dichiarare la conclusione (e quindi la vittoria) della così detta “operazione speciale” in Ucraina, potrebbe invece diventare quello in cui Vladimir Putin muoverà “guerra totale” a Kiev. Mosse che confermano che: “i russi, non hanno una superiorità tecnologica e numerica, hanno avuto un handicap militare”. A questo handicap di partenza, oggi, si è aggiunto: “che la Russia si trova di fronte come avversario la Nato”, che ha riequilibrato una situazione militare che per l’Ucraina sembrava in partenza già persa. Per l’analista militare Batacchi: “il vero problema militare dei russi è trovarsi di fronte un nemico ben addestrato, con capacità militari simili alle loro – aviazione a parte – proprio grazie alla Nato”. Per tanto lo zar Putin, sarebbe pronto a dichiarare formalmente “guerra totale a Kiev“ in modo da arruolare più soldati e utilizzare tutte le armi offensive di cui dispone… minacciando (ma non è così automatico che ciò avvenga) l’uso delle armi chimiche e nucleari tattiche… L’intervento dell’ Occidente ha costretto “i russi ad adottare una serie di accorgimenti” e uno dei primi si è visto a inizio aprile, quando è stato necessario chiamare il generale Aleksandr Dvornikov per puntare al Donbass. Forse però neanche “il macellaio”, come lo chiamano dopo la sua esperienza in Cecenia e Siria, è riuscito a dare garanzie sufficienti. “Qualche miglioramento si è visto”, ammette Batacchi, ma niente di significativo. Così, tre settimane dopo tocca a Gerasimov in persona, incaricato dallo stesso Putin di prendere le redini dell’operazione militare. Fonti ucraine – da confermare – lo danno già a Izyum, in quella regione di Kharkiv dove i russi non riescono a mantenere il possesso dei territori occupati. “In concomitanza con i progressi” dell’esercito di Mosca nel Donbass, che per Batacchi si sono verificati grazie alla “maggior collaborazione sul territorio”, nelle ultime due settimane “la Nato ha aumentato il suo supporto all’Ucraina non solo a livello quantitativo ma anche qualitativo”, annullando di fatto la superiorità russa. “Probabilmente”, riflette l’analista militare: “i russi non erano pronti a combattere questo genere di guerra. Negli ultimi vent’anni, non sono stati impegnati in conflitti su larga scala come questo, bensì in scontri ugualmente violenti ma più circoscritti come Cecenia e Georgia”. Neanche il capo di Stato maggiore è esperto di guerre simili, essendo “il grande teorico di quelle ibride”. Gerasimov potrebbe giocare un ruolo simbolico “di vicinanza alle truppe”, a detta di molti sfiduciate dall’andamento della guerra. Una realtà che è impossibile conoscere con certezza ma che Batacchi tende ad escludere visto che comunque “continuano a combattere con grande accanimento, come da loro tradizione”. Per Putin, non si tratta di fare alcuna ammissione di difficoltà né di assumere una totale responsabilità, ma solo far prendere coscienza ai russi che serve fare di più contro l’Ucraina e anche l’Occidente. I problemi che si sono evidenziati Putin tenta di risolverli annunciando la guerra totale a Kiev, sessantasei giorni dopo avergliela già portata in casa. Ammettendo che la Russia è in guerra. Putin potrebbe attivare la legge marziale, richiedere l’aiuto militare degli Stati alleati e, proprio come spiegava Batacchi, proclamare la mobilitazione generale. L’annuncio è atteso per il Giorno della Vittoria sul nazifascismo (9 maggio). Questo dice Batacchi: “potrebbe cambiare gli equilibri. Implicherebbe un conflitto ancor più lungo di quello che già si intravvede” e sarebbe ufficialmente “una guerra per procura in Europa”. D’altronde “gli americani e gli inglesi lo hanno fatto capire apertamente che l’obiettivo è quello di indebolire la Russia e la leadership di Putin… coltivando l’idea di una sua definitiva uscita dalla scena politica e di un conseguente cambio di regime”. A riguardo Charles Kupchan dice chiaramente: “Ma quale cambio di regime? Putin resterà al potere a lungo. Sarà una Guerra fredda 2.0. Per l’esperto del Council on Foreign Relations: “Ora in Ucraina il focus è tutto sulle armi, ma bisognerebbe riaprire il dibattito su come far finire questa guerra”. “Abbiamo bisogno anche di una via diplomatica. Negoziare la pace è possibile, sulla base dell’indipendenza dell’Ucraina e escludendo che aderisca alla Nato. Il grande errore è credere che la Nato sconfiggerà la Russia. Difficile capire cosa significhi: “Sconfiggere la Russia”, dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. Conosco bene il mio Paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della “sconfitta” di Putin”. Si aggiunge a queste chiare considerazioni in un’intervista al Corriere dell’economista Jeffrey Sachs, che fra il 1990 e il 1993 è stato consigliere del Cremlino per la transizione dal comunismo e oggi, oltre a dirigere lo Earth Istitute della Columbia University, lavora nell’Accademia Pontificia su richiesta di papa Francesco. “Alcuni obiettivi russi sono inaccettabili, ma erano all’inizio chiari. Adesso, abbiamo bisogno più che mai di trattare diplomaticamente, per chiarire e dare una reale prospettiva di fine a questo conflitto”. Ma tornando a Charles A. Kupchan che è senior fellow presso il Council on Foreign Relations (CFR) e professore di Affari internazionali alla Georgetown University presso la Walsh School of Foreign Service and Department of Government. In una intervista ampia rilasciata ad Huffpost sulla ‘La Repubblica’, ragiona sulle incognite più grandi aperte dalla guerra russa in Ucraina: i rischi di escalation, i limiti di una retorica romantica della vittoria, l’improbabilità e il salto nel vuoto di un regime change in Russia, le sfide per l’amministrazione Biden e per le democrazie europee. Professor Kupchan, sappiamo come sono andate le cose fin qui: la Russia ha aggredito l’Ucraina, e gli Stati Uniti e i loro alleati stanno aiutando l’Ucraina a difendersi. Ma la guerra, ora, sembra poter cambiare pelle e trasformarsi in un conflitto più ampio tra l’Occidente e la Russia. Quanto lontani siamo da questo punto? Quali sono i rischi che questo avvenga? “Non sappiamo ancora quanto ampia questa guerra può diventare. Sappiamo che ci sono già state alcune espansioni geografiche: l’Ucraina sta portando avanti attacchi sul territorio russo e abbiamo visto delle esplosioni in Moldavia. Almeno a questo punto, non intravediamo una fine ai combattimenti in Ucraina in un tempo che possa definirsi prossimo. I russi sembrano essere determinati a prendere un pezzo più grande di Donbass e connetterlo con la Crimea. Chiudendo all’Ucraina ogni accesso sul Mare Nero. Gli ucraini, con l’aiuto delle armi dei partner Nato, stanno combattendo intensamente e con fervore, dopo aver dimostrato una capacità di resistenza molto superiore rispetto alle aspettative di molti analisti. Per adesso, sembra che i combattimenti continueranno nell’immediato futuro. Questo aumenta i rischi di una escalation che potrebbe verificarsi in forme diverse: i russi che colpiscono il flusso di armi da Polonia, Slovacchia, Romania o altri paesi Nato; Putin che decide di ricorrere ad armi chimiche o addirittura nucleari; la guerra che si amplia dal punto di vista geografico, per via di maggiori sforzi degli ucraini di colpire il territorio russo o per la volontà deliberata dei russi di espandere il conflitto ad altri paesi, membri Nato inclusi. In questo momento, è davvero difficile immaginare quanto a lungo durerà la guerra e fino a che punto potrebbe inasprirsi ed estendersi. Non lo sappiamo, in parte, perché non conosciamo gli obiettivi di guerra né di Putin né di Zelensky. Non sappiamo quanto lontano i russi abbiano intenzione di spingersi, e – assumendo che gli ucraini continuino a difendersi in modo così impressionante – altrettanto non sappiano quali siano i loro obiettivi di guerra: vogliono spingere l’esercito russo fuori dal Donbass? Intendono riprendersi la Crimea? Ad oggi, semplicemente, non lo sappiamo”. Stati Uniti e alleati parlano in modo sempre più aperto dell’obiettivo di “sconfiggere” Putin. Dal punto di vista americano, che caratteristiche dovrebbe avere questa sconfitta? Risponde ancora Kupchan: “Non so cosa significhi sconfiggere Putin. Non so cosa si intenda per vittoria: significa condurre tutte le forze russe fuori dall’Ucraina e tornare all’integrità territoriale del paese, alla sovranità sul Donbass e sulla Crimea? È difficile determinare esattamente quali siano gli obiettivi tanto degli ucraini quanto degli alleati Nato. Penso che sia plausibile che questa guerra possa indebolire il potere di Putin: all’interno della Russia c’è più opposizione di quanto si aspettasse; ci sono proteste pubbliche e prese di posizione contro le azioni russe in Ucraina. L’andamento della guerra sicuramente pone una minaccia alla tenuta del potere putiniano. Detto questo, però Putin ha una presa stretta sulla società, ha stritolato i media indipendenti e penso che il risultato più probabile sia che rimarrà al potere ancora per un tempo abbastanza lungo. Credo che andrebbe data più attenzione alla domanda sul finale (endgame) della guerra: ora il focus è tutto sui mezzi – dare agli ucraini missili Javelin, Stinger, aerei, elicotteri – credo ci dovrebbe essere più dibattito su come questa guerra può finire, quali sono gli obiettivi delle parti e come possiamo arrivare a un cessate il fuoco e a un accordo di pace. Sfortunatamente, questo finale non sembra essere ancora all’orizzonte”. Ultima domanda. Quale pensa che sarà l’impatto di questa guerra sulla vita nelle nostre società democratiche, negli Usa e in Europa? “Credo che la risposta del mondo occidentale sia stata impressionante e che a un certo livello abbia cambiato alcune dinamiche nelle nostre società. Qui negli Stati Uniti c’è un livello di cooperazione bipartisan che raramente abbiamo visto in passato. In Europa stiamo vedendo la mobilitazione della società nell’accogliere milioni di rifugiati, quando solo pochi mesi fa osservavamo la polizia di frontiera polacca respingere i rifugiati al confine bielorusso. C’è sicuramente una forte manifestazione di generosità e solidarietà, ma credo che dobbiamo essere molto cauti nell’assumere che la guerra in Ucraina abbia risolto alcuni problemi delle nostre società. Qui negli Usa viviamo ancora in un paese altamente polarizzato. Mi aspetto che a breve ci sarà un contraccolpo contro la guerra in parte dovuto all’aumento dei prezzi. Idem accadrà in Europa con il perdurare della crisi dei rifugiati ucraini. I dati che abbiamo in mano non sono incoraggianti: Orbán è stato rieletto in mezzo a questa guerra, e anche se Macron ha vinto le elezioni francesi Le Pen ha ottenuto oltre il 40% dei voti, e Macron ha ricevuto la quota più bassa di elettori registrati di ogni vincitore dal 1969. La lezione per me è che tutti noi – americani, italiani, francesi, tedeschi – abbiamo bisogno di lavorare ancora molto a livello interno per mettere a posto le nostre case. Mi preoccupa il fatto che la guerra ha distratto Biden dalla sua agenda domestica: reinvestire sui lavoratori americani, la riforma del sistema elettorale, gli investimenti nella tecnologia verde e nella salute. Questa conversazione, fondamentalmente, è stata spinta ai margini dalla guerra”. Lo stesso sta succedendo qui da voi. Ed è un errore. Un errore che tornerà indietro per morderci. È comprensibile, perché la guerra è una tragedia e un evento geopolitico enorme, ma le nostre società non si possono permettere di veder bloccati gli sforzi di riforma che erano così centrali prima dell’inizio della guerra”. Insomma, è tempo di essere pragmatici anche da questo punto di vista. “Sì. Dobbiamo riuscire a gestire la guerra, continuare a sostenere gli ucraini nella loro difesa dall’aggressione russa, ma allo stesso tempo proseguire con le nostre riforme interne. L’Italia a sua volta è un esempio chiaro. Ora avete un governo centrale stabile ma non è stato facile fare in modo che Mattarella e Draghi restassero al loro posto. E chissà cosa le prossime elezioni potrebbero portare. Bisogna ricominciare a pensare anche a questo”. Già domandiamoci l’Italia davanti alla guerra come si sta comportando? L’Ansa sottolinea in una nota, che per noi la bussola europea è più importante di quella atlantica. Il Governo Draghi deve scegliere. Stiamo con chi – Usa e Regno Unito – ritiene che la guerra debba essere condotta e “vinta” fino al rovesciamento del regime di Putin, oppure con chi – Francia e Germania – ritiene primario il cessate il fuoco e il negoziato? Intendiamoci: in una situazione in cui la guerra rischia di prolungarsi ben oltre le poche settimane immaginate all’inizio e perfino di estendersi, con conseguenze economiche già adesso pesanti e inevitabilmente destinate ad amplificarsi, nessun governo europeo se la passa bene. Anche in Paesi più solidi del nostro e con maggioranze parlamentari più omogenee e fresche di legittimazione elettorale, come nel caso della Germania. E tuttavia la sensazione che la guerra stia determinando, in Italia più che altrove, un logoramento del Governo e uno scompaginamento del quadro politico inizia a esserci tutta. Al punto che anche chi giudica strumentali i tentativi di smarcamento di varie componenti della maggioranza (5 stelle e Lega) non può più ridurre solo all’inaffidabilità di alcuni partiti lo stallo politico e strategico in cui il governo rischia di entrare nelle prossime settimane, sempre più a pochi mesi dalle elezioni politiche…  A riguardo le chiediamo, veramente una sua ultimissima considerazione sul fatto che in Europa finora il sostegno politico e militare all’Ucraina è stato ampiamente condiviso. Mentre si evidenzia sempre più che una minore c’è attorno alla retorica della vittoria su Putin. E che molti vorrebbero che quanto meno si continuasse a tenere sul tavolo la possibilità di dialogo e negoziato. Crede che su questo possano aprirsi delle crepe nel fronte occidentale tra America e Europa? “Penso che per ora Stati Uniti ed Europa siano sulla stessa linea. Credo che nei prossimi mesi, visto il perdurare e l’ampliarsi del conflitto, ad un certo punto, gli stessi Stati Uniti saranno necessariamente più pragmatici e spingeranno anch’essi per portare il conflitto a una fine. Non solo un cessate il fuoco, penso più a un accordo di pace. Questo credo sia lo scenario auspicabile. Perché in assenza di un accordo diplomatico sarebbe molto più difficile considerare la rimozione delle sanzioni economiche. Sarebbe quindi molto più difficile lavorare con la Russia, e potenzialmente anche con la Cina, per andare oltre. Ma, almeno per ora, la diplomazia tra Usa e Russia non sembra molto attiva, anche se ci sono stati alcuni contatti, ad esempio sul nucleare iraniano. I canali di comunicazione sono ancora aperti. Ci sono stati alcuni tentativi: quello del segretario generale delle Nazioni Unite, i negoziati in Turchia, Macron che sta continuando a sostenere la diplomazia. Ma va detto chiaramente: finché non ci sarà un reale equilibrio sul campo di battaglia non ci sarà alcun reale ruolo per la diplomazia”…

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