Italia: tra la pandemia e la guerra in Ucraina, ci allontaniamo ancor di più dall’Europa e da una vera ripresa economica. L’Inghilterra e l’America vedono il nostro continente come suddito…

Nel breve periodo, intercorso tra l’inizio dell’uscita dalla pandemia e l’inizio della guerra, sembrava che si fosse quasi tornati alla “normalità” pre-pandemia. Ma la situazione pre-Covid non era affatto normale e il nostro sviluppo economico e sociale era già molto carente, se non addirittura assente. L’Italia è l’unico paese fra i 35 membri dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) il cui salario medio in termini reali sia diminuito fra il 1990 e il 2020. È anche l’unico paese dell’Unione Europea, tranne la Grecia, il cui Pil sia ancora inferiore al valore del 2008. Mentre il tasso di occupazione nel 2019 era il 63,5%, ovvero, il più basso dell’intera Unione Europea. Cosa succederà ora all’economia Europea 3 italiana con la guerra? È MOLTO DIFFICILE azzardare previsioni su cosa succederà alla nostra economia. Troppe le variabili esogene (sulle quali cioè gli operatori economici italiani, compreso il governo, non hanno un effettivo controllo) che possono influire su di essa. Se alla fine scoppierà una guerra atomica, ipotesi che in molti tendono ad escludere ma forse lo fanno con troppa leggerezza e più per scaramanzia che non per altro… è possibile che non si potrà più parlare né di Europa né d’Italia né meno che meno di economia e di sviluppo. Infatti, viste le pressioni che Regno Unito e USA continuano a fare sul ruolo della Nato con le forniture crescenti di armi all’Ucraina con l’obiettivo di sconfiggere Putin e la Russia… anche solo se la guerra durerà a lungo il sistema dei mercati mondiali, finanziari e no, risulterà sconvolto; e se la guerra finirà presto (ipotesi sempre più improbabile) gli esiti saranno molto diversi a seconda se le sanzioni resteranno in vigore, e quali, di come sarà aumentata la spesa militare, di come verrà redistribuito il potere in Italia fra Usa, Ue e governo nazionale, e così via. D’altronde a Biden e Jhonson l’Europa in genere, più che un valente alleato atlantico, vedono il nostro continente come un remissivo suddito cui dare, più che indirizzi politici, semplici ordini… Mi permetto di ricordare che normalmente alla fine di una guerra di una certa rilevanza e di una certa durata la situazione che si viene a creare è di solito non solo imprevista ma imprevedibile all’inizio della medesima, almeno in epoca moderna. Questo è certamente vero per le due guerre mondiali, ma anche per l’Iraq uscito dalla guerra contro l’Iran, e per la guerra civile della ex-Jugoslavia, e si potrebbero fare altri esempi… Ciò che invece si può vedere sono il passato e il presente; e molto spesso i media preferiscono non vederli. Nel breve periodo intercorso fra la (presunta) fine dell’emergenza da Covid e l’inizio della guerra, la versione ufficiale (per intenderci: del governo) era che si era (quasi) tornati alla situazione pre-pandemia e quindi che l’Italia avrebbe ripreso il suo normale sviluppo. Ma la situazione pre-covid, come già accennato, non era normale, e lo sviluppo economico era per l’appunto, molto carente se non assente. Cominciamo proprio dalla situazione in essere. L’Italia dicevamo, è l’unico paese fra i 35 membri dell’Ocse il cui salario medio in termini reali sia diminuito fra il 1990 e il 2020, come riferito dall’ultimo rapporto Censis. Fatto 100 il valore del 1990, nel 2020 in Italia avevamo 97,1, in Francia 131,1, in Germania 133,7. È anche l’unico paese dell’Unione Europea, tranne la Grecia, il cui Pil sia ancora inferiore al valore del 2008 e alle dissennate politiche successive. Il tasso di occupazione (le persone occupate in percentuale sulla popolazione in età lavorativa) nel 2019 era il 63,5%, il più basso dell’intera Unione Europea la cui media era il 72,7%. Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, il numero di occupati in Italia a marzo 2022 è superiore di 81mila unità su febbraio e di 804mila su marzo 2021. In Italia gli addetti alla pubblica amministrazione in senso stretto nel 2019 erano 1.278.000, contro i 2.120.000 del Regno Unito e i 2.448.000 della Francia, paesi che hanno solo il 10% circa di abitanti in più, il che è alla base della notoria inefficienza della amministrazione italiana. (Uso perlopiù i dati del 2019, onde non considerare i cambiamenti eccezionali e auspicabilmente transitori dovuti all’epidemia). E si potrebbero citare molti altri indicatori a suffragio delle conclusioni che seguono. L’Italia sta quindi, allontanandosi dall’Europa sviluppata. Nel 1995 il Pil pro capite a parità di potere d’acquisto (tenendo cioè conto dei prezzi interni dei vari paesi) era superiore a quelli del Regno Unito (+10,7%) e della Francia (+6.1%), e prossimo a quello della Germania (+5,6%); nel 2019 invece, era inferiore a quelli della Francia (-10,8%) e del Regno Unito (-8,3%) e lontanissimo da quello della Germania (-22,1%). Si tratta di differenze talmente alte da avere ormai un effetto qualitativo: in termini molto semplici, gli italiani un quarto di secolo fa stavano grosso modo “bene come gli altri se non meglio”; adesso sono del 10-20% circa più indietro e soprattutto, come vedremo, si prevede ufficialmente che questa differenza aumenterà. Anche prima del Covid e quindi a maggior ragione dopo di esso (sperando di essere davvero dopo) e dopo la fine della guerra (sperando che il dopo arrivi presto) l’Italia aveva e avrà bisogno di specifiche politiche di sviluppo, com’è tipico delle regioni arretrate di uno Stato sviluppato (e questa assimilazione a una regione di uno Stato più vasto è in buona parte un paragone, ma in buona parte corrisponde anche alla realtà dell’Italia in Europa). Come sappiamo, fino allo scoppio dell’epidemia i paesi e i poteri forti europei erano assolutamente contrati a politiche siffatte, in ciò aiutati dai ‘rigoristi’ italiani (anche questo termine è un po’ più di una semplice etichetta): ve la ricordate la cagnara sul Mes (Meccanismo europeo di stabilità)? Questa è la situazione di partenza; e il Pnrr, che pure andrà rivisto e probabilmente ridimensionato, non l’avrebbe poi mutata di molto, troppo il ritardo sulle riforme interne, rinviate per 25/30anni dalla politica nostrana. Abbiamo già visto che il ritorno alla situazione pre-Covid sarebbe stato un traguardo molto limitato. Ma anche gli obbiettivi del Pnrr lo sono (o lo erano). Alla fine del 2021 la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, che teneva conto del Pnrr ma non ancora ovviamente della guerra, prevedeva che il Pil sarebbe cresciuto complessivamente, in termini reali, del 5,2% fra il 2019 e il 2024, quindi superando solo dell’1,2% il valore del 2007, il massimo storico e facendo ulteriormente aumentare il divario con le economie più forti, dato che la crescita media dell’area euro è prevista al 7,05% (e quindi intorno al 7,5% se si esclude l’Italia). È facile prevedere che la guerra (anche se non assumerà la dimensione globale convenzionale o atomica che sia) renderà comunque questa situazione ancora peggiore, anche se è molto difficile fare previsioni precise; ma si può fare un certo affidamento sul fatto che questo peggioramento implicherà almeno una crescita sensibilmente minore del Pil e un livello significativo di inflazione. La spinta all’inflazione viene dai costi, e questo significa, come l’esperienza ci insegna, che il tentativo di rallentarla riducendo la domanda porterebbe quasi sicuramente alla stagflazione, cioè alla compresenza di inflazione e ristagno. Tutto ciò in assenza di opportune politiche emergenziali. Che dovrebbero essere le stesse che si dovevano fare prima del Covid, e che l’Europa allora osteggiava: rilancio del settore pubblico, protezione sociale universale, alleggerimento dell’onere del debito. Ci sono segnali che indicano che l’Europa sembra essere orientata a rivedere le politiche estremiste in auge fino al 2018; ma questi segnali indicano più una estrema confusione che un cambiamento vero di rotta. Quindi possiamo azzardarci a suggerire i tre scenari che seguono, sono molto generici, ma con l’avvertenza che nessuna previsione è possibile se la guerra dovesse continuare a lungo potremmo considerarli possibili. In effetti lo stato del mondo nel 1918 e nel 1945 non solo non era prevedibile nel 1914 e nel 1939, a dire il vero, non era nemmeno concepibile. Cosa segnano quindi le lancette dell’economia europea e italiana? In primo luogo, è possibile che l’Europa tenti di ritornare alle politiche pre-Covid come scritte nel bronzo del Patto di Stabilità. In tal caso l’Italia si troverà molto probabilmente di fronte a una scelta tragica, rompere con l’Europa o avviarsi su un sentiero di declino paragonabile a quello percorso dalla Grecia. In secondo luogo, è possibile che l’Europa decida di non decidere, adottando un patto di stabilità attenuato e opportuni accordi sottobanco. Infine, è possibile che l’Europa adotti la politica giusta: neutralizzazione del debito tramite la Bce e sussidi alla crescita e alla protezione sociale. Personalmente ritengo il terzo scenario auspicabile ma estremamente improbabile visto il permanere di profonde differenze economiche tra gli stati che compongono l’UE e che accentuano le già tante divisioni. A meno che l’Europa non sappia darsi una prospettiva precisa oggi appena abbozzata: “Contro Putin e sovranisti, non resta che un’Europa federale come Draghi e Macron hanno più volte nei mesi scorsi accennato nei loro discorsi… Elisabetta Gualmini su Huffpost scive: “La minaccia esterna non è mai stata così forte, gli ostacoli non mancano e i precedenti non fanno ben sperare. Ma l’asse Roma-Parigi può spingere senza ambiguità e troppi zig zag verso una Europa più robusta, portandosi sulle spalle il cambiamento necessario. Con una maggioranza extralarge, il Parlamento europeo ha dato il via libera alle Conclusioni sulla Conferenza sul futuro dell’Europa. Con tanto di applauso liberatorio. I deputati europei hanno osato là dove non era pensabile osare a inizio legislatura, lanciando una vera e propria Convenzione, la procedura che consente di cambiare davvero i Trattati dell’Unione e portare a casa tutti quegli obiettivi che sinora sono rimasti imbullonati allo stadio di semplici auspici”. Al momento è il secondo scenario quello più plausibile, ma le conseguenze potranno essere molto gravi anche a seguito di esso. Infatti, la riduzione degli acquisti di titoli da parte della Bce, inevitabile in questo scenario, porterebbe per ciò stesso l’economia italiana in una situazione insostenibile e quindi nuovamente alla scelta tragica di cui sopra. Cosa verrà deciso (ripeto, sempre che la guerra non cambi del tutto i dati su cui devono basarsi le decisioni e le previsioni) dipenderà in ultima analisi dagli equilibri politici interni (che pensate di una Meloni primo ministro? Si è candidata ufficialmente nella Convention di FdI qualche giorno fa a Milano). Personalmente vedo buio! Dipenderà altresì o per meglio dire soprattutto, dai paesi cosiddetti frugali. In presenza di difficoltà e di fronte al dato oggettivo di un’Europa che comunque faticosamente cresce mentre l’Italia continua a non esserne capace. È prevedibile che l’idea di aiutare l’Italia (e la Grecia, e la Spagna) diventi ancora più impopolare in questi paesi, e quindi che le politiche di austerità diventino al contrario sempre più popolari. Queste politiche hanno avuto, hanno e nel caso avranno il favore di molti nel nostro paese: infatti, sono in molti a preferire che lo Stato funzioni male e che il lavoro costi il meno possibile e sia il meno protetto possibile (in Italia nel 2017 ci sono stati 484 incidenti fatali sul lavoro, contro i 340 della Germania e i 280 del Regno Unito, paesi in cui il numero di lavoratori è molto più elevato; ed è di questi giorni qui da noi, lo sciopero degli ispettori del lavoro, che denunciano le carenze croniche di organici e di adeguate competenze)). Prepariamoci ancora a una stagione, o anche più, di difficoltà economiche e anche politiche; in cui ancora una volta un riformismo istituzionale, economico e sociale incapace di fare le necessarie riforme interne, ammesso e non concesso che si possa parlare ancora di una presenza significativa nel nostro paese di forze politiche che guardano ad un ammodernamento delle nostre istituzioni pubbliche e del nostro sistema economico produttivo, che sviluppi la società italiana e ne valorizzi un ruolo internazionale in Europa e nel Mondo… prendendo coscienza, una volta per tutte,  che se ciò non avverrà, probabilmente la strada per la Destra  risulterà praticamente spianata…

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