Italia: un Paese in agonia. Tutti in zona rossa nei giorni festivi e prefestivi dal 24 dicembre al 6 gennaio. Fallisce anche la strategia dell’Italia a tre colori, mentre avanza la crisi del governo Conte 2…

Dal 24 dicembre al 6 gennaio l’Italia sarà zona rossa nei giorni festivi e prefestivi e zona arancione nei giorni lavorativi, con deroghe agli spostamenti per fare visita a un’altra abitazione. È questa la principale novità annunciata con il nuovo decreto legge (non dpcm) dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Un decreto composto di tre articoli che viene introdotto ad appena due settimane da quello precedente. L’impressione è quella che, un po’ tutti quanti noi, si continui come gli struzzi a mettere la testa sotto la sabbia per non guardare la realtà che ci circonda. «Abbiamo riportato sotto controllo la curva del contagio grazie alla responsabilità dei cittadini. Questo metodo ci ha permesso di evitare il lockdwon generalizzato. Quando siamo partiti con questo nuovo metodo a zone eravamo con l’indice RT a 1,7 e lo abbiamo portato a 0,86. Ma tra i nostri esperti c’è una forte preoccupazione che la curva dei contagi possa subire un’impennata nel periodo natalizio. Dobbiamo intervenire per rafforzare il regime di misure necessarie per affrontare le prossime festività in modo da cautelarci in vista di gennaio» Questo ha detto Conte nella conferenza stampa venerdì sera, tentando ancora una volta di nascondere il pressoché totale fallimento della strategia di un’Italia divisa in zone di tre colori, secondo l’andamento del contagio del virus e della situazione ospedaliera delle varie Regioni. La verità è che la curva dei contagi seppur arrestata nella sua salita, non flette rapidamente come si sperava e il numero dei morti continua ad essere tutti i giorni molto alto; quindi a gennaio potremmo perdere definitivamente il controllo della pandemia e proprio mentre arriverà il primo vaccino. Siamo all’ultima spiaggia. e come tutta Europa ci chiudiamo per 14 giorni in un semi Lockdown bicolore rosso/arancione/rosso, per arrivare al salvifico vaccino.  Il vaccino forse potrà salvarci dal Covid entro il corso del prossimo anno. Ma la domanda principale è ormai chi o cosa potrà salvarci da noi stessi? Chi avrebbe mai immaginato che per rivendicare il diritto allo shopping natalizio avremmo visto assaltare le fermate della metropolitana di P.le Loreto a Milano, scavalcando i tornelli come zombie dalle tombe fuggiti. Probabilmente da tempo eravamo già diventati degli zombie assetati di sangue, che però miracolosamente mantenevano una parvenza, solo una parvenza, di capacità di convivere civilmente con le regole, ma ora ci scopriamo trasformati dal virus, probabilmente la metamorfosi è soprattutto dovuta anche alla dolorosa incapacità della nostra classe politica. Non è un tema nuovo, non è il solito quesito: è nato prima l’uovo o la gallina, ma non si può non chiederci una volta di più, chi o cosa siamo diventati? Cos’è diventato il nostro Bel Paese? Il disastro era annunciato fin dalla prima fase della pandemia: balconi con canti e bandiere, hashtag #andratuttobene e #neusciremomigliori, sono espressioni di un esercizio retorico all’insegna di un motto d’altri tempi duro a morire: “italiani brava gente”. Un modo di essere che avevamo già perso da lungo tempo dentro le vicende politiche e sociali del nostro sempre meno Bel Paese. Un modo di rappresentarci ormai privo di ogni reale significato e verità! Lo vediamo in molte cose che mostrano il nostro “incattivimento” sia individuale che sociale. Dall’inizio della pandemia assistiamo quasi indifferenti a quell’orrendo gioco dello scaricabarile tra Regioni e Stato su di chi debba essere la responsabilità della nostra salute pubblica, affidata ad un disastrato SSN disarticolato in 20 Sanità Regionali. Leggendone i limiti strutturali evidenziati dallo stress pandemico imposto dal virus, in ragione non tanto o non solo degli errori fatti in passato sul settore sanitario, dai pesanti tagli negli investimenti che ne hanno ridotto le potenzialità e capacità d’intervento in ogni luogo del Paese. Ma  invece  leggendolo in ragione delle chiusure e riaperture delle varie attività economiche. Un gioco non nuovo, che occupava pur in altri ambiti, la scena politica italiana da almeno un quarto di secolo. Un tempo che aveva già visto l’indebolimento di ogni sforzo nazionale e di ogni afflato di solidarietà andati persi dentro l’abnormità del nostro debito pubblico. Da ciò trova origine lo scontro secessionista voluto a suo tempo dalla Lega Nord di Bossi nei confronti del Sud con al centro “Roma ladrona”… è guardate che ciò continua anche oggi ad essere il cuore dell’azione della Lega sovranista di Salvini nel tentativo di disarticolare lo Stato centrale e ‘colonizzare’ Regione per Regione tutto il Paese. Perché continuare a non dirlo chiaramente, la Lega è stata vincente e in parte continua ad esserlo, facendo a mezzo con Fratelli d’Italia e quel che resta di Forza Italia delle sue ragioni, che negl’anni hanno inciso profondamente nella cultura degli italiani e sul nostro modo d’essere. Trasformandoci a tal punto che oggi fatichiamo a riconoscerci come un unico popolo e rendendoci altresì irriconoscibili a noi stessi.  Sì! Alla fine: «È colpa nostra – scriveva Michele Ainis qualche giorno fa su “La Repubblica” – Dovremmo smetterla di chiamare Premier il presidente del Consiglio, o Governatori i presidenti delle Giunte regionali. Perché poi loro ci credono, gonfiano i bicipiti, serrano i pugni e la mascella. Ma siamo in Italia, non in Inghilterra, non negli Usa. Le nostre istituzioni non disegnano né un premierato né un sistema di tipo presidenziale. Almeno sulla carta, almeno a leggere le norme scritte nella Carta costituzionale. I comportamenti politici, viceversa, sono spesso di tutt’altro stampo. Di conseguenza, alla Costituzione formale si contrappone una presunta Costituzione materiale. E questo divario tra il diritto e il fatto genera tossine, offusca il sentimento della legalità, rende perennemente instabili i rapporti fra i partiti. Fino a provocare (o minacciare) una crisi di governo, ieri con i pieni poteri chiesti da Salvini, oggi con i superpoteri rinfacciati a Conte». Oggi, Giuseppe Conte è nudo. E con Lui, siamo nudi anche tutti noi. Nel senso che adesso tocca a Lui convincere la sua maggioranza di essere l’uomo che può ancora condurre il Paese alla vittoria sul virus con una efficace e veloce campagna di vaccinazione e guidare la ricostruzione italiana grazie all’uso intelligente dei miliardi del NextGenerationEu.  Ma come oggettivamente non vedere, che sulla pandemia è un disastro (più di 68mila morti di Covid, un record in Europa) Tg3 - Posts | Facebooke sulle idee per il rilancio economico e sociale del Paese non si muove foglia. Nudo vuol dire anche che non è più coperto con la “trapunta” cucita al largo del Nazareno che finora lo aveva avvolto in una sorta di intangibilità politica («perché altrimenti arriva Salvini», il refrain). Ormai, fra il Presidente del Consiglio e l’ex segretario Matteo Renzi, il Pd di Nicola Zingaretti si mantiene equidistante, così la ‘barricata’ messa su in fretta e furia a suo tempo non può più reggere per molto. La fronda più critica dei dem ha preparato un documento “le cose da fare” di 25 punti per un nuovo programma di governo: riforma del fisco, economia green, scuola e l’accesso al Meccanismo Europeo di Stabilità. Il Pd si è accorto dei disastri di Conte e dei partner 5stelle e ora sembra deciso a imporre la sua agenda politica. Forse esagera strumentalmente nella percentuale ma Renzi non ha torto quando dice che «il 99% dei parlamentari del Pd è d’accordo» con il merito delle questioni contenute nella sua lettera al presidente del Consiglio. Come Andrea Orlando, tutti i dem a parole criticano «il modo di fare» del loro ex segretario attraverso gli ultimatum – ma quasi sicuramente ne invidiano la capacità e la libertà di movimento – e però ritengono che ora «Conte deve fare delle scelte precise». Da Graziano Delrio allo stesso Dario Franceschini le lamentele sono tante, il primo critica la distanza che c’è fra Conte e il Paese reale a partire dalla costruzione del Piano per il NextGenerationEu, mentre il secondo è ormai avversario permanente del Presidente del Consiglio a partire dalle regole sull’imminente Natale. Messe insieme tutte le varie questioni, significa più o meno che tutta l’agenda del governo va ridiscussa. A questo si deve aggiungere l’ira del Nazareno per la pretesa di Conte di appropriarsi del dossier sui servizi segreti e la cybersicurezza. «Spetta a noi», ha rivendicato Enrico Borghi, uomo forte del settore chiosando: «Certo questa cosa di Conte sui servizi è inquietante». Ma poi la sostanza è un’altra. E cioè che il Pd ha capito che Renzi fa sul serio. Fino a qualche giorno fa non era così chiaro, specie dopo averlo un po’ mollato a se stesso. Invece il rilancio renziano per esempio sul Meccanismo Europeo di Stabilità – tema divisivo per eccellenza – ha acceso i sensori del Nazareno. Dove per l’appunto si era già predisposto il citato documento di ben 25 punti (Mes compreso) come contributo per una rinnovata azione del governo. Naturalmente la cosa è stata mediaticamente sovrastata dall’offensiva spregiudicata “strillata” nell’intervista al Pais, del leader di Italia viva. Il “vagone critico” del partito di Zingaretti si è così gioco forza dovuto agganciare alla locomotiva renziana, mettendo agli atti nero su bianco in cosa debba consistere il famoso cambio di passo del Presidente del Consiglio, cioè Mes, riforma fiscale, economia green, scuola: un programma di governo da rifare completamente, insomma. Una convergenza necessaria tra due forze della maggioranza. E infatti i contiani dem, che sono poi alcuni ministri, stanno perdendo terreno, accusati di gestire il loro potere senza intesa col Partito: a quanto pare, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri era a conoscenza del famigerato Recovery Plan quello ormai da riscrivere, e sembra che i big del Pd si siano molto risentiti. Adesso il punto è esattamente quello posto da Renzi nell’ennesima intervista al Corriere della Sera: «Tocca al gruppo dirigente del Pd decidere se fare sul serio o no». L’ultimatum si allarga quindi da Conte ai dem. Così, se Conte è nudo – come ha scritto un autorevole giornalista – di certo Zingaretti è senza cappotto, mentre fuori è tempo di neve. Già. non bisogna mai scordarsi che Renzi resta un “rottamatore” …un “Cicero pro domo sua”. Con l’arrivo della Befana, vedremo se nella calza troveremo oltre al vaccino anti virus un Conte ter debitamente “rimpastato” o che altro… nel frattempo con l’Italia in rosso: Buon Natale e Felice Anno Nuovo!

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