Life 2: oggi il mito del conflitto generazionale e la realtà del conflitto di classe. Generazioni a confronto. I conflitti nel passaggio generazionale…

Nel dibattito in corso da anni sulla necessità di un ritorno ad una cultura del lavoro… come bussola della società italiana orientata dal dettato costituzionale, si parla sempre più di “Generazioni a confronto” o di “Generazioni parallele” e del conflitto che emerge tra vecchie e nuove generazioni. Il conflitto generazionale è sempre esistito. Da sempre i vecchi e i giovani si sono incontrati e scontrati sul posto di lavoro; i primi rivendicando la propria esperienza e conoscenza, i secondi rivendicando la prospettiva innovativa necessaria per andare avanti. Generazioni vecchie e nuove a confronto, laddove la parola generazione non indica solo persone nate nella stessa epoca, ma soprattutto individui con la stessa spinta motivazionale e gli stessi desideri… A guardar bene: il conflitto generazionale nel nostro paese al di là del mito e oltre la realtà di una lotta di classe mai sopita anche nel tempo del populismo, anzi: è nelle famiglie, quasi inesistente. Possiamo parlare di rassegnazione, a tratti di rancore, sicuramento di difficile quando non addirittura di mancato incontro, ma non di un vero e proprio conflitto generazionale. La vecchia generazione non pensa che i giovani potrebbero essere la chiave di volta per il cambiamento o che i giovani potrebbero essere di aiuto nello skill mismatch. Di contro, come spesso accade, i giovani non pensano che dai vecchi ci sia molto da imparare. Molti giovani pensano che i vecchi siano incollati alle loro sedie, e a volte non hanno tutti i torti. Questo giustifica molti under 35 a non fare niente (abbiamo 2 milioni di N.e.e.t.), e ad incolpare i vecchi e lo Stato della disoccupazione giovanile. Ciascuno chiuso nel proprio mondo, queste generazioni viaggiano parallelamente, su binari che non sembrano incontrarsi mai. Società iniqua e poco dinamica, direi immobile: eccola l’Italia di oggi. Siamo il paese più vecchio d’Europa. L’Italia è un paese vecchio la cui età media è 44,7 anni: i giovani sono numericamente pochi. Le notizie degli ultimi giorni dicono che oramai siamo il paese più vecchio d’Europa e che all’appello mancano circa 70.000 studenti rispetto alle iscrizioni a scuola dello scorso anno. I giovani di oggi sono i figli dei figli dei baby boomers ossia di coloro che hanno visto i genitori uscire dalla guerra, rimboccarsi le maniche, ricostruire l’Italia. I giovani sono i figli di coloro che da figli hanno visto sacrifici e dolore per avere un televisore, un frigorifero, una macchina. A loro volta i baby boomers hanno voluto risparmiare questi sacrifici ai propri figli, forse per un eccesso di protezione. I vecchi stanno vivendo un’epoca di cambiamenti. La rivoluzione digitale e tecnologica, quella umana, la internazionalizzazione, così come il confronto con le nuove culture, sono visti come una minaccia. Da una parte i vecchi, col desiderio di tenere immutato lo status quo o con la voglia di uscire dal mercato del lavoro e prendere la pensione (fino a quando si è in tempo). Da una parte i giovani, la loro voglia di farsi strada ma forse anche un rancore non espresso: lo Stato ha aiutato i miei genitori ma oggi non aiuta me. Ed invece la soluzione sta proprio nell’incontro di questi due gruppi. La soluzione sta proprio nel dare ai vecchi la prospettiva che non hanno, e nel dare ai giovani quella saggezza che non hanno ancora maturato. Generazioni che devono incontrarsi: un mentoring necessario per permettere al vecchio paese di innovarsi e ai giovani di entrare nel mercato del lavoro, luogo finora a loro precluso. Quanto potrebbero dare i vecchi in termini di esperienza? E quanto potrebbero dare i giovani, da un punto di vista di tecnologia, innovazione, freschezza ed entusiasmo? L’incontro/scontro tra generazioni è condizione necessaria di qualsiasi società moderna per permettere la continuità ed il ricambio generazionale. In caso contrario, l’Italia sarà destinata a diventare un paese di vecchi, con poche opportunità per i giovani, poca innovazione, luogo per manodopera poco competitiva e di basso costo. Mai come in questi tempi, anche per via della pandemia da Covid-19, i conflitti generazionali sembrano sempre più acuirsi, vale per i normali rapporti famigliari, vale ancora di più per i passaggi generazionali nelle aziende. Io sono stato figlio e sono padre, so di cosa sto parlando, come molti di voi, perché l’ho vissuto da tutte e due i lati del tavolo. Una cosa però rispetto al conflitto generazionale tra me e miei genitori è cambiata oggi: la distanza tra le generazioni, la tecnologia, le opportunità e la sociologia. Mi spiego meglio: fino alla mia generazione, io sono nato negli anni 50/60, non c’era una grande differenza negli stili di vita tra una generazione e l’altra. Certo, c’erano delle innovazioni tecnologiche ma molto lente e raramente ‘disruptive’. I modelli di business sono passati da agricolo a industriale in modo progressivo e la cultura famigliare è sempre stata più o meno la stessa: la famiglia era patriarcale dove i figli, generalmente, una volta smarcati dall’ambiente famigliare, erano in grado di costruire qualcosa di più importante di quello che avevano costruito i loro genitori. E’ stato così per mio bisnonno, mio nonno, per mio papà e per me, rischia di non essere così per i miei figli. A questo proposito vi suggerisco di leggere un interessante saggio scritto da Luca Ricolfi che si intitola “La società signorile di massa” che spiega come, dagli anni 60 si sia innescato il fenomeno che stiamo vivendo adesso di cambiamento epocale dal punto di vista sociologico, pratico e di condizione economica tra le generazioni. Noi figli giudicavamo i nostri genitori e loro cercavano di imporci il loro modello per proteggerci, per non fare i loro stessi errori e generalmente avevano anche ragione, perché avevano esperienza più di noi e il mondo che avremmo trovato noi, era molto simile al loro, certo, macchine un po’ più veloci, televisione a colori rispetto a quelle in bianco nero, discoteche invece che balere, i modelli erano gli stessi. Ora non è più così. Cos’è cambiato rispetto al passato? Negli ultimi venticinque anni, sono accadute più cose a livello tecnologico e di evoluzione, che dall’inizio della storia dell’umanità. Un salto quantico inconcepibile negli anni 80 dello scorso secolo e impensabile ai più a fine anni ‘90. A mio papà se in quegli anni gli avessero raccontato tutto quello che sarebbe successo, tecnologicamente e come stili di vita, negli anni a venire, non ci avrebbe creduto e forse nemmeno io. Noi stessi oggi troveremmo impensabile vivere senza uno smartphone che ci permette di collegarci con il mondo in tempo reale e che solo nel 2006, 14 anni fa, dico quattordici e lo ripeto, solo quattordici anni fa non esisteva. E’ cambiato il mondo e le generazioni si sono allontanate sempre di più, il fossato generazionale è molto più largo e alto che in passato. Oggi, i genitori, spesso, in età avanzata mantengono i figli che non hanno un lavoro fisso, i genitori spesso sono smarriti: tutte le certezze sono saltate. Proprio per questo, alcuni di noi, genitori, diventiamo ancora più paranoici di quello che sono stati i nostri genitori con noi: più duri, più intransigenti, più intolleranti. Il peso della responsabilità nei vostri confronti, figli, spesso è così alto, che il conflitto generazionale non si esaurisce, come succedeva ai nostri tempi, quanto ci si toglieva dalle scatole e si andava a vivere per conto nostro. Oggi, molti trentenni e anche quarantenni, pur avendo un lavoro, trovano più comodo stare dalla mamma che lava, stira e cucina senza imparare mai cosa significa “tirarsi via il dito dal cubo da soli”. Altri sono obbligati a vivere a casa perché non trovando un lavoro stabile non possono permettersi di uscirne. Capiamo che questa è una stortura? A una certa età sono i figli che dovrebbero occuparsi dei genitori e non viceversa: sono saltati tutti gli schemi e noi siamo smarriti, non è il mondo in cui siamo cresciuti e diventati adulti. La vita è diventata, per fortuna, molto più lunga, oggi a 60 anni siamo ancora “giovani”, vent’anni fa venivano considerati anziani, aspettavamo la pensione, ora ci iscriviamo a corsi di arrampicata e facciamo progetti per il futuro. Il mondo è diventato piccolo, la tecnologia aiuta ma noi, genitori, comunque con il tempo rincoglioniamo e diventiamo ancora più intolleranti di quanto non lo fossero i nostri genitori con noi. Voi figli, non dovete per forza capirci, non dovete comprenderci, perché spesso noi stessi non ci capiamo, dovete provare ad accettarci e insistere nel comunicare con noi, perché noi non siamo capaci a farlo, nessuno ce lo ha insegnato, ai nostri tempi non serviva, serviva saper andare di lima bastarda, fare andare il tornio e lavorare come se non ci fosse un domani. Perché spesso, a parte il lavoro, un domani, dal punto di vista culturale e sociale, per molti di noi, non c’era davvero. Noi siamo cresciuti comunicando poco: mio papà con me comunicava poco, non perché non mi volesse bene, ma perché il mondo funzionava così, non è mai venuto a un colloquio a scuola, non si è mai seduto a confrontarsi con me delle mie cose, non mi ha mai detto: “parliamo”. Veniva a vedermi alle partite quando giocavo perché gli piaceva il calcio ma invece di caricarmi mi diceva quanto ero scarso e dove avevo sbagliato, in modo anche molto duro, perché “così si impara, mai fare complimenti”, lui faceva le sue cose io facevo le mie. Ci volevamo bene, ma eravamo fatti così, il mondo funzionava così. Se tu sei un imprenditore della mia generazione e hai dei figli, probabilmente li vedi come degli alieni, in parte da proteggere in parte da cazziare costantemente perché non sono all’altezza di quello che sapevi fare tu alla loro età, ti incuriosiscono ma ti fanno un po’ paura e certamente hai paura per loro e per il loro futuro, non sono dei duri come te. Hanno idee progressiste che noi non capiamo, vogliono fare cose che noi non faremmo mai. Noi, imperatori del nostro piccolo regno che non molleremmo nemmeno da morti, nonostante tutti i proclami che facciamo nel voler far crescere i nostri successori, ci urtiamo quando vengono messi in discussione i nostri metodi e le cose che per noi hanno funzionato, ci urtiamo parecchio. E’ così, e capisco, che anche io sono così: voglio controllare tutto, voglio mettere il becco su tutto, non perché sono cattivo, almeno spero di no, ma perché ci sono già passato e non voglio che i miei eredi facciano gli errori che ho fatto io. Così facendo, spesso, non ci rendiamo conto che invece di farli crescere com’è la nostra intenzione, se ci ostiniamo a volerne fare dei nostri cloni, otteniamo esattamente l’effetto contrario. Con la differenza che loro, non essendo corazzati e duri come noi, rischiano di subirci e diventare degli inetti o, presi da un moto di giusto orgoglio e rivendicazione personale ci manderanno silenziosamente o rumorosamente ‘affanculo’, allargando ancora di più il solco che noi non volevamo creare. Sto scrivendo questo post per un motivo ben preciso: lo farò leggere a una delle mie figlie… (nata che già avevo 50anni) lei è orgogliosamente generazione Zeta, incline a confrontarsi con un’aria di superiorità, forte d’essere poliglotta, neolaureata e tecnologicamente evoluta… convinta che alcuni Blog e in genere il dibattito sui social, mettano finalmente in rilievo la tematica ambientale e le possibili prospettive green del Pianeta, senza veicolare della stessa un’idea ancora mercantile.  L’Ambiente, unico fronte sul quale vale battersi… tutto il resto è conservazione cui noi anziani guardiamo per mantenere il nostro potere… spero che questa sorta di mio coming out possa esserle utile nei momenti di crisi che inevitabilmente ci sono e saranno ancora  tra noi. Hai studiato più di me, hai viaggiato più di me, hai visto posti a 20 anni che io ho visto a 60, vedrai luoghi e cose che io non vedrò mai. Hai fatto esperienze, hai visto culture, hai una cultura che io  non ho, e hai una visione del mondo che io certamente non ho, non perché io sia stupido, ma semplicemente perché sono nato e vissuto in un mondo che ora non c’è più e le opportunità che hai avuto tu, io alla tua età non le avevo. Io non avevo bisogno di life coach, corsi di formazione per crescere professionalmente. Calci nel culo, esperienza sul campo e un indecente inglese maccheronico, mi sono stati sufficienti per creare nella vita e nel lavoro un buon livello… che ha permesso a te di essere un quel che sei… sul piano culturale e della qualità di vita. Lo so che non sarebbe più possibile farlo allo stesso modo nel mondo di oggi, però porta pazienza, cara figlia, se ogni tanto ti sembro un po’ rincoglionito, sono però ancora qui e voglio con tantissima forza e determinazione che tu cresca, forse, no senza forse, mi piacerebbe che lo facessi a modo mio, comprendo che non è possibile, ma aiutami/aiutati anche tu. Altrimenti mi incavolo e urlo… ma sempre con tanto affetto (eheh!). A parte gli scherzi, impariamo, insieme, a migliorare la nostra comunicazione, reciprocamente. La comunicazione è il solvente di quasi tutti i problemi, mettersi uno dalla parte dell’altro lo è ancora di più: non significa dare ragione o piegarsi però se tutte e due le parti in gioco, junior e senior, comprendessero l’importanza del compromesso, i passaggi generazionali sarebbero meno complicati. Un compromesso non è una cosa così brutta: una delle due parti cede qualcosa, o tutte e due, con un compromesso, una delle due parti, o tutte e due, si alzano insoddisfatti… ma il tempo, l’età e l’esperienza però, mi hanno insegnato che il compromesso è la via migliore per trovare incontrarsi e accordarsi. Un accordo alla fine lascia tutte e due le parti pienamente soddisfatte ed è quello a cui ognuno di noi deve tendere, però, soprattutto nelle relazioni personali e nei passaggi generazionali non sempre è possibile stipulare subito degli accordi soddisfacenti. Un compromesso può essere un buon inizio… poi arriverà l’accordo. Questo è il segreto, funziona, è difficile perché bisogna lavorarci tanto, ma funziona. Per il momento è tutto…

E’ sempre tempo di Coaching!

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