PD: Letta… deve evitare di essere un altro Segretario solo, dentro un partito che è ancora alla ricerca di un senso di se stesso e di una precisa identità politica…

Lo scorso 14 marzo Letta rientrato da Parigi diventava il nuovo segretario democratico sostituendo Zingaretti che si era dimesso “vergognandosi” del partito, impegnato in un continuo “corpo a corpo” tra correnti… Letta doveva aprire porta e finestre del Nazareno facendo entrare aria ma soprattutto gente nuova, con competenze specifiche verso i giovani (il voto ai 16enni), le donne, le differenze di genere, lo ius soli, i diritti civili in generale. Come sta andando? Sono trascorsi solo poco più di 60 giorni, ma la ‘solitudine’ di Enrico Letta, a due mesi dalla sua elezione, già spunta e appare nell’ulteriore scontro con i residui del renzismo. E’ un dato piuttosto insolito per un leader “nuovo” che soprattutto all’inizio normalmente dovrebbe attirare persone e forze verso di sé, attratti dalle linee di un programma di rinnovamento della linea politica e dello stesso personale politico. Invece, in questi due mesi nel Pd, c’è stato: primo uno strano silenzio dei big del partito. Come uno scarico liberatorio di responsabilità dopo il confuso biennio zingarettiano. O forse solo il segno di una attesa silenziosa dei primi risultati, o forse dei primi inciampi. L’impressione di questi primi 60 giorni è sembrato di un Segretario che pareva dire nella disattenzione dei suoi, nei silenziosi moniti non pronunciati ma sottintesi. Come se “predicasse nel deserto”. Sarebbe sbagliato dire che siamo già giunti alla partita di caccia al segretario. ma diciamola bene, già si aspettano le elezioni del Sindaco di Roma e di altre città Torino, Napoli. Togliamo qualsiasi velo: la vita interna del Partito democratico appare ancora alquanto opaca …”gelatinosa”, direbbe Antonio Gramsci. Non esattamente segnata da una rinnovata solidarietà al capo venuto da Parigi, come invece, era legittimo attendersi insieme a un maggiore e complessivo entusiasmo… Alla fine Letta è stato costretto (ho forse ha preferito) finora rivolgersi al corpo tradizionale del partito. D’altronde il “pasticciaccio” di Roma con la Raggi che si ricandida e Calenda che concorre da solo,  è esemplare da questo punto di vista. Chi si è alzato a parlare per sostenere il Segretario nel momento della sua prima, grossa difficoltà? Ma anche nelle riunioni (a porte chiuse), quindi posso sbagliarmi, non è che si sviluppi quella discussione attorno alla proposta del leader capace di rafforzarne l’impatto mediatico… anzi, come il Segretario propone una tassa sulla successione dei grandi patrimoni per costruire una “dote” per i 18enni indigenti, all’interno del Pd si riaccendono le “voci contrarie” di Marcucci ex capo gruppo al Senato (guarda un po’ proprio lui, futuro erede di un grande patrimonio di famiglia legata all’attività alberghiera) di Lotti ex Ministro (messo sotto scacco dalla indagine giudiziaria legata al Magistrato Palamara) che si lamentano di un plus di “socialismo” ovvero del tratto (secondo loro) di  sinistra della proposta stessa. Vero che tre grossi calibri come Dario Franceschini, Lorenzo Guerini e Andrea Orlando sono impegnati al governo; vero che i vicesegretari Irene Tinagli e Giuseppe Provenzano forse non hanno ancora preso bene le misure del ruolo; vero che le due capigruppo Debora Serracchiani e Simona Malpezzi hanno il loro bel da fare in Parlamento con la maggioranza dei gruppi che hanno per la maggior parte il marchio di ex-renziani; vero che la sinistra di Goffredo Bettini è ancora alla ricerca di una strategia dopo il fallimento del ‘contismo’ e le convulsioni continue dei cinquestelle. L’effetto è che a Letta resta sostanzialmente il suo cerchio magico: Francesco Boccia su tutti e a Marco Meloni lo staff, con in più forse Paola De Micheli. Errore bleu, se si continuasse così: la storia insegna che la chiusura nei rispettivi cerchi magici è l’anticamera del disastro. Le correnti vivono e lottano e anche aumentano con la neonata corrente “prossima” dell’ex segretario Zingaretti sostenitore convinto di Letta e altrettanto per una maggiore identità di sinistra del Partito democratico. D’altronde non si può pretendere la piattezza sovietica in un partito che si chiama democratico. Subito si riapre la critica che certe proposte sarebbero fuori tempo e possono disturbare Draghi impegnato nel governo di una fine emergenza sanitaria di Coronavirus e dalla necessità di un rilancio economico del Paese con l’utilizzo pieno del Recovery Plan… Quindi Letta non è ancora riuscito (a dire il vero, non ne ha avuto nemmeno il tempo), di aprire la porta e le finestre del Nazareno con aria fresca e gente nuova, il questionario nei circoli, l’enfasi sul tesseramento, la web radio ‘Immagina’, pure ottime iniziative, però troppo rivolte solo all’interno. Tutto è rimandato all’autunno con le famose Agorà che dovrebbero finalmente dare un profilo nuovo a un partito troppo asfittico e molto  attardato nei giochi interni. Da questo punto di vista, nella relazione alla Direzione di qualche giorno fa, Letta ha un po’ corretto il tiro restituendo centralità al discorso dell’autonomia del Partito democratico rispetto all’assillo delle alleanze… ridimensionando anche la funzione del Movimento 5 stelle che come già accennato è sempre più preda delle proprie convulsioni disgregatrici, con Conte che non riesce a prenderne la leadership. Già, le alleanze, un capitolo al cui attivo Letta può legittimamente ascrivere il solo Articolo Uno di Bersani dato l’allargamento del solco con quel che resta dei così detti riformisti liberaldemocratici di Azione di Calenda e Italia viva di Renzi. Ma era inevitabile che ridimensionasse la questione M5s, dopo lo schiaffo di Conte su Roma. Ma non si capisce ancora dove porterà il décalage che vedeva Conte leader federatore, poi alleato principale, ora alleato fra altri. Né si capisce però bene ancora quale sia l’agenda politica del Pd che pure giura di volersi muovere nel solco del programma di Draghi, ma avverte già la paura di essere poco rilevante, proprio perché l’azione del presidente del Consiglio sovrasta tutto e tutti, democratici compresi; ed ecco perché Letta cerca uno spazio nella continua contrapposizione a Matteo Salvini. E’ vitale per evitare il rischio di finire alla fine subalterni al capo leghista e al suo attivismo propagandistico di una perenne campagna elettorale. Insomma, la collocazione del Pd solo in teoria dovrebbe essere abbastanza comoda dentro le linee di questo Governo Draghi, invece si rivela in ogni momento alquanto precaria: vedasi lo scontro del Ministro del Lavoro Orlando con Confindustria e Lega sulla ulteriore proroga del blocco dei licenziamenti e le vicende del decreto “semplificazioni” sulle questioni del massimo ribasso e dell’allargamento dei subappalti. E’ come se la ricerca di un senso di se stessi o meglio di una identità di partito unito e in marcia verso obiettivi precisi rimanesse ancora un problema appeso o meglio completamente aperto. Enrico Letta, bisogna dirlo, si muove molto e con generosità: ma sembra che si sia passati da “un uomo solo al comando” all’ennesimo un “uomo isolato al comando”. Certo che 2 mesi son pochi… ma ancora senza alcun “eco vincente” (l’abilità di Salvini è straordinaria a riguardo …nell’intestarsi le riaperture volute da Draghi, come fossero da lui volute e imposte… continuando a criticare spietatamente la cautela ragionata del Ministro Speranza e del Pd, che frenerebbero Draghi, rispetto alla agognata “libertà” chiesta dal popolo. A riguardo il silenzio del gruppo dirigente del Pd, soprattutto di quei dirigenti e capo correnti che sono al governo, non aiuta di certo il Segretario a far sentire che è il Pd, la vera architrave, sulla quale si regge il Governo Draghi, come in passato fu per il Governo Conte 2.  Personalmente, me lo auguro, perché penso che di un partito capace di imporre un principio di equità nella distribuzione delle risorse e una maggiore attenzione alle fasce più deboli, nella difficilissima fase di uscita dall’emergenza, il governo Draghi ne abbia estremo bisogno. Come dimostrano anche i segnali poco rassicuranti arrivati ad esempio nella fase di elaborazione del decreto Semplificazioni, e del prolungamento del blocco dei licenziamenti. Del resto, anche chi lo critica, deve riconoscere che Letta in questi pochi mesi ha rinnovato la segreteria del partito, cambiato i due capi gruppo e riconquistato al suo partito una maggiore autonomia di iniziativa e di proposta – su immigrazione, giustizia e fisco e anche sull’occupazione raccogliendo la spinta dai sindacati sul tema del mantenimento del blocco dei licenziamenti. In queste ore i sindacati ribadiscono a Governo e Confindustria: “Non siamo disposti a subire lo sblocco dei licenziamenti”. Sono fatti che non si vedevano  dai tempi della cattività giallorossa. Letta lo ha capito, ma soprattutto dovrebbero farlo anche gli altri big del partito: dovrebbero capire che comportarsi con uno stile troppo misurato improntato alla responsabilità e correttezza di stare in un governo (palesemente di falsa) unità nazionale, non scalda il cuore di nessuno, men che meno della base del Partito democratico…

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