Perché la politica non attrae più…

Oggi: dire “partiti” significa dire “sfiducia“ e “discredito”.
A scatola chiusa e ormai senza alcun beneficio del dubbio: se si può scegliere, si vota contro un partito o contro un suo candidato. Se non si può scegliere, ci si tura il naso; o, sempre più spesso, non si vota.
Qualunque cosa, purché non siano i partiti!!?? L’agonia (in Italia, tra governo e risultati delle primarie ed elettorali ) o la cattiva salute (in molti Paesi occidentali) di quella che era stata la creatura privilegiata della politica del Novecento: il “partito”, è diventato una questione politica di prim’ordine… In passato ‘motore della politica’. Nonostante il pregiudizio della superiorità del “tutto”, sulla “parte”, che lo ha fatto definire spesso come fazione… nella storia il partito è stato un potente motore della politica; per non parlare della polis, di Roma, del comune medievale, è attraverso i partiti che, dalla metà del Seicento, in Inghilterra, e poi in tutta Europa, passa la socializzazione alla politica. Mentre si forma lo Stato moderno, in parallelo i partiti sono il canale attraverso cui si affermano gli interessi materiali e morali dei protagonisti della società, sia delle élites borghesi che lottano per il potere politico, sia del popolo che entra sulla scena della storia. È alla fine del XIX secolo che si formano i partiti di massa – dapprima socialisti, in seguito anche cattolici; e questi non sono più soltanto canali d’espressione degli interessi di parti della società, ma hanno anche forti finalità politiche, dettate da ideologie talmente cogenti che spesso il partito si presenta non come portatore di un’opinione ma come incarnazione di una verità. Il partito di massa è caratterizzato inoltre da una complessa organizzazione interna (dominata da professionisti della politica, secondo la “legge ferrea delle oligarchie”). Sono i partiti di massa il cuore della politica del Novecento: sia in quanto partiti che occupano lo Stato come “partiti unici”, sia in quanto partiti democratici, che in quanto snodo fra il popolo e le istituzioni, sono il perno dello Stato sociale. I partiti sono dunque una sintesi di interessi, progetti, organizzazione; e sono più affini che estranei rispetto allo Stato (come del resto aveva colto Gramsci), poiché hanno nello Stato – nella sua critica, nella sua riforma, nel suo controllo – il loro orizzonte teorico e pratico; sono l’elemento dinamico e partecipativo della politica moderna. E oggi, insieme a questa deperiscono. Per diversi motivi: per la loro corruzione e rapacità, certamente; ma anche per la diffusa percezione della loro inutilità in contesti in cui la politica è caratterizzata dai lampi dell’eccezione, dall’emergenza, e i partiti – organizzazioni burocratiche – devono cedere il passo al Capo e al suo decisionismo; o ancora perché il consenso non passa più attraverso la mediazione dei partiti ma attraverso l’immediatezza di un abile messaggio populistico; o infine perché sopra la politica si afferma la tecnica, e solo agli esperti, e non più ai politici, viene concessa fiducia. Infine, perché chi protesta contro l’ordine, o il disordine, del mondo non trova più nei partiti una sponda, una voce, una consonanza; perché chi vuole fare politica si sente costretto a vedere nei partiti un ostacolo, e ad abbracciare l’antipolitica. Insomma, tanto per chi è interno alla idea della fine della politica, quanto per chi crede nel rinnovamento della politica, i partiti fanno parte del problema e non della soluzione… Inoltre, appare ormai chiaro ai più che a riguardo s’interrogano: dove sta il potere oggi? Non certo più nei partiti …sta altrove!? L’interrogativo è presso che obbligato, visto che il problema è l’eclisse della politica nella sua forma moderna: progettuale ed emancipativa. Non e per caso, infatti, che insieme ai partiti deperisce anche lo Stato, sia pure con diversa velocità e secondo diverse linee. Entrambi, Stato e partiti, non sono più il cuore e il cervello del potere. Che risiede per l’appunto altrove. Nelle banche, nei mercati, nelle agenzie di rating e nelle istituzioni della governance economica internazionale. E ciò spiega, tra l’altro, perché la politica non attrae più i migliori. Perché mai dovrebbero votarsi a un’attività comunque subalterna? Così, mentre la sovranità degli Stati si inchina alle logiche sovranazionali dell’economia e della finanza, e cerca di amministrare le conseguenze locali di strategie che nascono fuori dallo Stato e lo sovrastano: ciò che resta dei partiti assomiglia sempre più a un insieme incoerente di agglomerati di potere e di affari, a cordate di carrieristi, che legittimano la propria sopravvivenza come ceto politico facendo a meno di organizzazione e di idee, e rappresentando, a livello lobbistico, gli interessi della più disparate categorie…
Cosa si può fare?
Sembrerà paradossale: ma l’alternativa è solo un forte ritorno della politica, una reazione a uno sviluppo delle nostre società sottratto al controllo e alla partecipazione dei cittadini. Non c’è altra possibilità!!! Ma anche questa esigenza – che pure circola nella società e ne permea praticamente tutti gli ambiti, seppur non maggioritariamente – è disattesa. E anche questo appuntamento, negli ultimi tempo sembra mancato dai partiti che soffrono la concorrenza di movimenti antipartiti, antipolitici, ovvero populisti e anche estremistici preda di fanatismi identitari e anche religiosi nonché da fondamentalismi nazionalistici). Guidati da leader, o da leaderini più o meno affabulatori. Appare comunque sempre più evidente che la eventuale nuova volontà dei cittadini di ricostruire il nostro assetto civile non può, se vuole essere vitale, limitarsi a fare affidamento su queste forme di aggregazione politica, come non può farlo sui partiti tradizionali e su ciò che ne resta. La rinascita e la trasfigurazione dei partiti, la loro riforma radicale (a cui certo non potranno essere estranee, oltre alle idee, anche forti personalità disposte a impegnarsi direttamente in politica), resta l’unica via – anche se sempre più stretta – perché la politica possa tornare a essere spazio di partecipazione, di inclusione attiva, di consapevole e condivisa libertà…

“E’ sempre tempo di Coaching!”

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