Politica: cosa ci dice l’astensionismo? La Democrazia è sfiduciata: se i ceti popolari credono che votare sia inutile. L’8 e 9 giugno si vota in Europa…

Il 46 per cento degli italiani pensa che oggi votare sia poco utile perché i politici non si preoccupano della volontà del popolo. Un dato di delusione e scollamento verso la democrazia rappresentativa che è molto marcato nei ceti popolari e tra le persone di età compresa tra i 30 e i 50 anni… Nella giornata della Festa della Repubblica è utile tornare a scandagliare che cosa è la democrazia per gli italiani. Complessivamente, con uno sguardo al globo, per il 34 per cento la democrazia, come sistema di governo, sta subendo una fase di arretramento, di regressione. La maggioranza dell’opinione pubblica (51 per cento) ha una percezione più statica, di stabilità nell’affermazione dei sistemi democratici, mentre solo il 15 per cento pensa che in questa epoca il modello democratico sia in una fase espansiva. Il senso della democrazia, per la maggioranza relativa degli italiani, si condensa in due concetti: il governo e lo stato devono trattare tutte le persone allo stesso modo (44 per cento) e i politici devono prendere decisioni considerando le opinioni dei cittadini (43 per cento). Per il filosofo John Dewey «la democrazia non è solo una forma di governo, ma un modo di vivere basato sulla fiducia nella capacità dell’uomo di prendere decisioni sagge e giuste». Una visione che risuona in alcune sottolineature che aleggiano nell’opinione pubblica. La prima si concentra sulla democrazia come possibilità di partecipare al processo decisionale da parte di tutti i cittadini (32 per cento); la seconda si focalizza sul diritto di voto e sulla possibilità di votare per il candidato di propria scelta (31 per cento); la terza si concentra sulla sfida sociale che è posta a tutte le democrazie: essere un sistema che consente a tutti i cittadini di avere un tenore di vita adeguato (30 per cento) e, sempre al 30 per cento, quanti sottolineano che essa deve offrire maggiori opportunità di partecipazione al processo decisionale pubblico. Infine, democrazia, per il 25 per cento degli italiani, vuol dire rispetto e protezione dei diritti delle minoranze e, per il 21 per cento, la possibilità da parte dei cittadini di protestare, marciare nelle strade e dissentire. Come direbbe Jürgen Habermas: «In democrazia non è sufficiente che i cittadini abbiano diritti politici formali, ma occorre che siano posti in condizione di esercitarli effettivamente». E questa esigenza la ritroviamo in alcune delle sottolineature presenti nei diversi segmenti sociali. Tra i giovani delle Generazione Z, ad esempio, quel 21 per cento che sottolinea la possibilità da parte dei cittadini di protestare, marciare nelle strade e dissentire, sale al 30 per cento. Nei ceti popolari quel 30 per cento che rimarca il ruolo della democrazia come sistema che consente a tutti i cittadini di avere un tenore di vita adeguato, vola al 41 per cento. Ma qual è lo stato di salute della nostra democrazia? Apparentemente la maggioranza del paese condivide la massima di Winston Churchill: «La democrazia è il peggiore dei sistemi, eccezion fatta per tutti gli altri». Non a caso per l’82 per cento il sistema democratico è il miglior modello di governo. Ma sotto la cenere covano le braci della contraddizione. Il 46 per cento degli italiani pensa che oggi votare sia poco utile perché i politici non si preoccupano della volontà del popolo. Un dato di delusione e scollamento verso la democrazia rappresentativa che è molto marcato nei ceti popolari (56 per cento) e tra le persone di età compresa tra i 30 e i 50 anni (55 per cento). Non a caso la maggioranza degli italiani continua a spingere per nuove forme di partecipazione diretta. Per il 66 per cento devono essere i cittadini a decidere che cosa è meglio per il paese e non solo il governo. Una spinta particolarmente presente tra i giovani under 30 anni (71 per cento) e nei ceti popolari (78 per cento). All’interno del paese sono ben presenti, seppur minoritarie, pulsioni autoritarie. Il 37 per cento ammicca alla possibilità di essere guidati dal famigerato “uomo forte”, che non deve preoccuparsi del parlamento o delle elezioni. Una spinta che lambisce fortemente le rive dei ceti popolari (48 per cento) e porta alla luce una delle profonde sofferenze dei sistemi democratici contemporanei. Non a caso, il 32 per cento degli italiani, inizia ad accarezzare l’idea che altri sistemi politici, più autoritari, potrebbero essere altrettanto validi del sistema democratico. Nel giorno della Festa della Repubblica è utile prendere visione della complessità dello stato della democrazia nel nostro paese. Uno stato di salute marcato da profonde incrinature, con dinamiche perniciose e virus autoritari presenti nelle viscere della società. Un quarto del paese strizza ancora l’occhio alle idee del fascismo. Il 50 per cento degli italiani ritiene anacronistico parlare di fascismo e il 35 per cento pensa che il fascismo abbia fatto anche delle cose buone. Addirittura, il 9 per cento degli italiani vorrebbe un leader forte che non debba preoccuparsi del Parlamento e delle elezioni. Il prossimo week end, si voterà in Europa e l’astensione (l’ultima volta nel 2019 fu ben del 46%) si farà ancora una volta notare. Infatti, si pensa e si dice, che l’Europa avrà un futuro solo se saprà combattere contro le enormi disuguaglianze. L’iniqua distribuzione delle opportunità e delle ricchezze è uno dei problemi più importanti. Parafrasando una delle frasi più famose di Marx possiamo dire che oggi lo spettro che si aggira per il mondo è quello della disuguaglianza. Per gran parte dei cittadini di 29 paesi analizzati da Ipsos Global Advisor quello dell’iniqua distribuzione delle opportunità e delle ricchezze è uno dei problemi più importanti. Ne sono convinti il 51 per cento degli italiani, ma anche il 52 dei francesi, il 53 degli spagnoli e il 56 degli ungheresi. Dello stesso avviso sono il 43 per cento dei tedeschi, il 41 degli inglesi, il 40 di americani e belgi, nonché il 37 per cento degli svedesi. A livello globale i paesi in cui le disuguaglianze sono avvertite in modo più cogente sono Indonesia (79 per cento), Brasile (74), Colombia, Turchia e Thailandia (70), Sudafrica (69), Messico (63), Perù (62) e Corea del Sud (60). Per una buona parte dei cittadini stati e governi si stanno impegnando poco sul tema. Il bisogno di fare di più per contrastare le iniquità e le fratture sociali è avvertito dal 42 per cento di italiani, irlandesi e belgi. Oggi più di ieri vale il monito di Robert Dahl: «La democrazia è un processo, non uno stato. È divenire, non essere». Essa ha radici che non vanno date per scontate, ma vanno sempre alimentate e innaffiate, per non far inaridire le fronde del sistema democratico…

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