Politica: costruire l’alternativa. L’opposizione a Meloni è molto debole e ora il rischio è che il governo si trasformi in regime…

Il Partito democratico è in pausa e pensa al congresso, i grillini sono grotteschi, il Terzo Polo non ha numeri sufficienti. È arrivato il momento di organizzarsi sul serio per evitare che la destra si prenda tutto il palcoscenico… L’opposizione al tempo di Giorgia Meloni, questo è il problema. Se davvero quello della leader di Fratelli d’Italia è il governo più a destra della storia della Repubblica, coerenza vorrebbe che l’opposizione si mostrasse pronta, unita, reattiva, popolare e credibile. Ma nessuno di questi aggettivi si attagliano all’opposizione di oggi. Anzi, va detto una volta per tutte: le opposizioni, al plurale. Tra Partito democratico, Carlo Calenda e Movimento 5 stelle non si vede infatti, almeno per ora, un serio denominatore comune. Anzi, in questi primi giorni di legislatura, l’opposizione ha inscenato uno spettacolo penoso sulle attribuzioni delle cariche istituzionali, la replica in sedicesimo dell’insipienza con cui si è presentata al voto. La realtà è chiara. Tra i tre soggetti dell’opposizione non solo non c’è concordia politica ma piuttosto disistima (Calenda e Renzi nei confronti di Giuseppe Conte e viceversa) o scetticismo sulle capacità altrui (tutti verso tutti) ed è logico che la responsabilità maggiore di questa situazione ricada sul partito più grande, il Partito Democratico, che in questa fase nella testa ha un solo problema, quello di salvare la pellaccia sia in senso politico sia sotto il profilo personale dei suoi dirigenti e sotto dirigenti.  Anche per questo, le opposizioni non sono reattive né pronte, tra l’altro non avendo nemmeno uno straccio non diciamo di programma comune ma nemmeno un minimo di convergenza sui problemi più seri; e quanto alla popolarità è evidente che l’avvocato del populismo e del “pacifismo imbelle”, avrebbe detto Jacques Maritain, sia in risalita laddove Enrico Letta dà l’impressione di aver totalmente esaurito la spinta propulsiva anche dal punto di vista personale. Nessuno sa quanto durerà il Meloni 1, può darsi poco. Ma le opposizioni serie (Pd e Terzo Polo) faranno bene a disporsi a una traversata più lunga perché Meloni dà l’idea di voler impiantare una vera battaglia per l’egemonia che non è solo banalmente lotta di potere ma conquista di posizioni più avanzate sul terreno della formazione delle coscienze: di qui l’insistenza sulla Nazione, sui Patrioti, sulla Famiglia, su una certa idea di Cultura come veicolo per declinare a destra i suddetti concetti. I segni di questa operazione di egemonia si rintracciano già nel lessico, nella denominazione dei ministeri, nelle figure ideologicamente reazionarie come Eugenia Roccella (Famiglia), Giuseppe Valditara (Pubblica istruzione e “merito”), Gennaro Sangiuliano (alla Cultura) guarda caso dicasteri molto allusivi a una politica valoriale e culturale. Insomma, questi vanno presi sul serio, senza la solita presunzione dei migliori, la consueta spocchia dei professionisti della politica di una sinistra ammaccata che già si intravede nella definizione di Anna Ascani, «governicchio». E poi, soprattutto, c’è la questione della credibilità. Ha scritto, con la consueta esattezza nella scelta delle parole, Gianni Cuperlo: «Abbiamo perduto la reputazione». La reputazione: cioè quella precondizione, nella vita e nella politica, che serve per fare le cose, una precondizione che al tempo stesso riguarda la sfera politica ma anche quella morale. Se non hai la reputazione non sei, giustamente, da prendere in considerazione. Ed è questo il male oscuro del Pd, essersi giocati quel profilo di credibilità, onestà intellettuale, disinteresse personale che fece la fortuna della sinistra italiana, al di là delle posizioni politiche. Parlando dei democristiani, una volta Alfredo Reichlin, importante dirigente del Partito comunista italiano, disse: «La gente li disprezza perché la gente sa tutto…». Non era poi esattamente così, visto che li votavano. Ma oggi quella frase si attaglia più al Pd che agli altri partiti se non altro perché dal Pd la gente si aspetta di più. La reputazione è anche avere ricette forti, risposte convincenti, e saperle comunicare: da quest’ultimo punto di vista o il Pd si mette al lavoro o continuerà a perdere voti, essendo stato l’ultimo comunicatore efficace Matteo Renzi, dopo di lui il deserto, e non è colpa solo di Letta. Al tempo di Giorgia Meloni, che comunica eccome, bisognerebbe cambiare marcia. Studiare, elaborare, aprirsi. Calenda, piaccia o non piaccia, lo fa. Il populismo di Conte non è in grado di impensierire un governo come quello che sta per nascere perché non ha proposte serie. Il Pd è fuorigioco per almeno cinque-sei mesi, finché non troverà un segretario, una linea, un gruppo dirigente e una nuova mentalità. Il Terzo Polo ha annunciato che contrasterà il governo Meloni nel merito: può essere una sfida interessante. Ma certo è un po’ poco. Ora che tutto il palcoscenico è per lei, per Giorgia, le opposizioni ne approfittino per darsi una regolata. Non sarà facile. Ma da qui passa la robustezza del sistema democratico che senza opposizione fa presto a diventare regime.

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento