La domanda è tutt’altro che retorica e men che meno ingenua. Viene posta da più di uno dei protagonisti della nostra vita economica politica e sociale… Già, proprio così, l’interrogativo è formulato da coloro che dovrebbero dare la risposta! Beppe Severgnini dalle pagine del Corriere della Sera ci ricorda che: “È in arrivo una campagna elettorale molto tempestosa” e che quello che si può fare è “cercare risposte a domande precise”.
Da anni soffia il vento della crisi. Un vento forte che ha provocato alte onde nella vita economica, politica e sociale del Globo e anche del nostro Paese. Forse è giunto il momento di non analizzare più la forza del vento, ma di guardare cosa questa forza ha cambiato… per dirla ancora con Severgnini, bisogna prendere atto che: “Non è cambiato il vento: è cambiato il mare”. E tra le onde, adesso, ci siamo tutti, si veramente tutti quanti. Ecco il perché non esistono più domande retoriche o domande ingenue. I cambiamenti intervenuti nel lungo decennio della crisi, esigono rispetto alle domande chiare che pongono, ancor più chiare risposte soprattutto da parte di coloro che, si proporranno al governo del nostro Paese… Sono i Partiti che nella campagna elettorale già da tempo iniziata dovranno darle. Ma vedrete che gran fatica, faremo tutti noi per ottenere risposte chiare e significative. A partire dalla legge con la quale voteremo, alle conseguenti e contraddittorie alleanze e alla debolezza del quadro di governo che conseguentemente ne deriverà. D’accordo il mondo è diventato ancor più complicato… ma l’Italia non può permettersi mesi di ulteriori incertezze senza risposte precise ai problemi della gente perché a primavera si voterà. Soprattutto, oggi che il rientro dalle vacanze di inizio settembre si apre con una buona notizia per l’economia italiana: la ripresa ha subito un’accelerazione e si rivela più robusta delle aspettative. Da qualche mese le previsioni del tasso di crescita del prodotto interno lordo sono state riviste continuamente al rialzo e si attestano oggi all’1.5% per il 2017. Ancora pochi mesi fa quella stima indicava un tasso tra lo 0.8 e l’1%. Chiaramente l’economia italiana è riuscita ad ancorarsi alla ripresa mondiale e gli scenari peggiori sembrano essere stati sventati. Tuttavia la fragilità della nostra economia nonostante il suo miglioramento, come da più parti si segnala, rimane ancora tutta intera e, sarebbe un errore abbassare l’attenzione sui temi della nostra crescita. Occorre sempre più capirne le cause e definire i” pilastri per una strategia di più lungo periodo. Si, bisogna stabilire delle priorità e i pilastri di un piano pluriennale per la crescita economica del Paese. Una crescita in cui gli elettori possano riconoscere la complementarità tra le scelte economiche prospettate e i possibili risultati ottenibili sul piano sociale… o per meglio dire nella loro vita di tutti i giorni e nelle sue prospettive. Ecco, proprio questi dovrebbero essere i temi della prossima stagione politica e delle elezioni che verranno. L’Italia dopo trent’anni di crescita stabile e allineata con i maggiori partner europei, ha iniziato dagli anni Novanta un periodo di lento declino a cui si è aggiunto l’effetto della grande crisi che ha comportato una distruzione fisica oltre che del nostro tessuto produttivo anche di tanto capitale umano nel nostro mondo lavorativo che vanno ricostruiti. Per affrontare il problema della crescita potenziale è dunque necessario capirne le cause che hanno determinato il deterioramento della sua qualità in termini di efficienza generale del nostro sistema. E questa, non era e non è legata, solo alla flessibilità e ai costi del lavoro… unico refren “produttività e costo del lavoro” sul quale è stato fondato il cliché della crisi economica italiana. Si, ecco le parole chiave, una sorta di ritornello che stava a significare, che la crisi economica italiana nasceva dalla rigidità e dalle tutele sociali del mondo del lavoro che rendevano non competitivo il sistema Italia… Ricordiamoci che: “non è cambiato il vento è cambiato il mare”. E oggi, abbiamo quindi bisogno non solo di più investimenti e di flessibilità del lavoro, ma anche di migliorare la capacità di innovazione, rinnovando anche la nostra l’imprenditorialità nata e rimasta alquanto “stracciona”, ma anche l’efficienza delle istituzioni e complessivamente la qualità del lavoro e del capitale. C’è bisogno di investimenti, innovazione e soprattutto anche di un migliore sistema educativo che quello che abbiamo ormai “fa acqua da parecchie falle”. Come mostrano gli studi dell’Ocse, l’Italia ha uno dei i più bassi numero di iscritti all’Università tra i Paesi avanzati, un‘alta percentuale di laureati che non trovano lavoro e — che è l’indicatore più allarmante — circa un terzo dei giovani tra 20 e 24 anni che né studiano, né lavorano. Tutto ciò a fronte di una diminuzione consistente di spesa nel settore educativo avvenuto negli ultimi anni. Per essere in grado di formare una forza lavoro capace di operare in un’economia dinamica centrata sull’innovazione, abbiamo bisogno di un programma di qualificazione del nostro sistema educativo che vada dalle scuole primarie fino all’università. Se l’obbiettivo è tornare a crescere in media al 2%, cioè al ritmo che l’economia italiana ha avuto tra inizio anni Settanta e inizio anni Novanta, c’è bisogno di un’operazione di grande discontinuità con il nostro passato. Il traino della domanda mondiale o piccole misure di ritocco non bastano più. Sapendo soprattutto che le nostre risorse non sono certo illimitate… Per questo bisogna che la Politica sappia stabilire delle priorità e i pilastri di una politica economica e di una rinnovata società… abbandonando campagne elettorali in cui si fan solo …promesse.
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