In Italia il problema principale della politica è dato dalla personalizzazione della stessa, tanto nel modo di farla (da parte dei politici) quanto nel modo di raccontarla (da parte dei giornalisti). E’ che si personalizza molto e in realtà si fa pochissima politica e tanti discorsi inutili. Il risultato è che la politica è quasi sempre la stessa, e l’unica cosa che cambia spesso sono le persone. E anche quelle fino a un certo punto: più che cambiare, diciamo che si danno il cambio, che è un po’ diverso. Prendiamo l’esempio di Enrico Letta. Già dal primo giorno del suo ritorno, l’informazione ufficiale e non (i social), continuano a chiedersi e a chiedere (non sempre è chiaro a chi… forse a noi?) qual è la differenza con Nicola Zingaretti? E quale problema politico è stato risolto dal loro avvicendamento? E la domanda successiva riguardava se Letta avrebbe rincontrato Matteo Renzi? E cosa ne sarebbe scaturito, visto quanto era accaduto sette anni fa tra i due. Letta prefigura una coalizione con il M5s in cui il presidente del Consiglio lo esprime il partito che prende più voti. E intanto in tv esponenti del Partito democratico continuano a difendere il governo precedente se si può dire: assai più dell’attuale. Quasi quasi, si stava meglio quando si stava peggio. Dalle parole del discorso di Letta all’assemblea che lo avrebbe incoronato segretario, praticamente all’unanimità, mi era sembrato di poter cogliere un significativo riposizionamento del Pd su due questioni non marginali, e ovviamente legate tra loro: il rapporto con il governo Draghi e quello con i Cinquestelle o qualunque cosa Giuseppe Conte finirà per guidare, ammesso e non concesso che esca vivo dal ginepraio grillino. Poteva piacere o non piacere, ma era una spiegazione logica. Essendo Zingaretti il leader che aveva tentato in ogni modo di difendere il governo Conte e il progetto di alleanza politica Pd-M5s che aveva voluto costruirci attorno, una volta cambiato il governo e saltato quell’equilibrio, sembrava logico, cioè nella logica politica delle cose, che saltasse anche Zingaretti. Sicuramente questo era il principale obiettivo di sua ‘Signoria Matteo Renzi’, assieme all’archiviazione del troppo “piacione” Giuseppe Conte. A ulteriore conferma di una simile ricostruzione dei fatti arrivavano poi le parole di Letta, quando in assemblea sottolineava di considerare il governo Draghi il governo del Pd (dunque non la meno peggiore delle alternative disponibili, dopo l’irresponsabile e disgraziatissima decisione di mettere in crisi il meraviglioso esecutivo precedente), ma ancor più quando precisava di volere prima ricostruire il centrosinistra in quanto tale, per poi avviare una discussione dall’esito non scontato con il nuovo soggetto politico guidato da Conte (o quel che sarebbe venuto fuori dal ginepraio di cui sopra). Il guaio è che una simile strategia è durata giusto il tempo di prendere i voti in assemblea. La sera stessa, ospite di Fabio Fazio, Letta ha dichiarato infatti a sorpresa (ma no dai, non è proprio così…) di puntare a una legge elettorale maggioritaria, preferibilmente sul Mattarellum, con tanti saluti alla legge proporzionale che fino al giorno prima il Pd aveva definito indispensabile – dopo il taglio dei parlamentari – per evitare addirittura pericoli per la democrazia e l’equilibrio dei poteri. Pochi giorni dopo, nell’ambito della classica trafila di incontri che sempre caratterizza l’estenuante costruzione di una coalizione maggioritaria, croce e supplizio del centrosinistra dal 1994 a oggi, il neosegretario del Pd ha incontrato Conte, formalmente a capo di nulla, privato cittadino senz’altro ruolo pubblico che quello di professore in aspettativa, riservandogli onori e promesse di intesa assai più impegnative di quelle riservate a ogni altro alleato. Infine, e siamo già agli ultimissimi giorni, Letta ha spiegato che a decidere la leadership della coalizione (e dunque, come impropriamente ci siamo abituati a dire, la candidatura alla Presidenza del Consiglio), saranno gli elettori. In pratica: il partito che prenderà più voti esprimerà anche il capo del governo. Prefigurando così un centrosinistra di cui Conte e i Cinquestelle saranno parte organica, costitutiva, a pari titolo di ogni altra forza politica. In questo quadro, non deve stupire che molti dirigenti del Partito democratico, compresi illustri membri della Segreteria, continuino ad andare in televisione per difendere il governo Conte assai più che il governo Draghi. Ultimo esempio, per citarne uno solo: Sandra Zampa ex sottosegretaria alla Salute del governo Conte 2, restata senza poltrona nell’attuale compagine governativa, che martedì scorso a Otto e mezzo, a domanda sui problemi dell’esecutivo con le vaccinazioni, risponde che c’è stato un «errore di comunicazione» nel parlare di «cambio di passo», mentre il problema è sempre e solo che ci sono poche dosi, motivo per cui il passo non cambia e tutto quello che può fare Draghi è alzare il telefono per protestare, «né più né meno come avrebbe fatto Conte» (piccola nota per i lettori più distratti: a usare l’espressione «cambio di passo» in relazione ai vaccini è stato proprio Mario Draghi, nel solenne discorso pronunciato a Fiumicino il 12 marzo). Ma se le cose stanno così, torniamo alla domanda da cui eravamo partiti: qual è la differenza di fondo tra il Pd di Letta e quello di Zingaretti? Solo una, a quanto pare, e a tutto vantaggio di Zingaretti: che almeno ufficialmente la sua linea prevedeva una legge elettorale proporzionale, in cui ciascun partito sarebbe andato con il proprio simbolo, il proprio programma e i propri candidati, e a decidere eventuali alleanze, di fatto, sarebbero stati gli elettori… Sì, perché le cose stanno esattamente al contrario di come di solito ce le raccontano: Infatti, è con il proporzionale che le alleanze, almeno indirettamente, le decide l’elettore con il voto, mentre con il maggioritario gli si presentano belle e pronte, tanto che partiti con lo zero virgola acquistano sul governo potere di vita e di morte (quegli stessi partiti che con il proporzionale non supererebbero la soglia di sbarramento e non entrerebbero nemmeno in parlamento). Esempi? Italia Viva… Azione, + Europa, Articolo 1, i Verdi! E se adesso tutto questo discorso sulla legge elettorale vi pare una divagazione di secondaria importanza, cari amici e prima o poi probabili elettori… pensate bene a come i politici personalizzano la politica e come i giornalisti facciano altrettanto nel raccontarla. Ma cosa ci deve aspettare in fondo dalla politica e dagli uomini del Pd se non ricostruire un centrosinistra da contrapporre al destra-centro di Meloni, Salvini e Berlusconi e che possa possibilmente tentare di vincere le elezioni politiche quando saranno nel 2023. L’obiettivo resta questo indipendentemente dal Governo Draghi, che sta provando a far cambiare il passo alla vaccinazione di massa necessaria al nostro paese per riaprire in sicurezza la maggior parte delle attività economiche… che forse sarebbe già bene dire chiaramente agli italiani, che però non potranno essere uguali a prima, dovendosi adeguare a indirizzi generali (tracciati nel Recovery Plan) e più conformi a produrre una ricchezza, che garantisca alle generazioni più giovani, un sopravvivenza dignitosa in un mondo cambiato (non solo dalla pandemia) ma anche dai rapporti di forza di una nuova cartina geopolitica, che vede nuovi soggetti salire alla ribalta dell’economia mondiale (Cina, India e altri Paesi che si denominavano fino a poco tempo fa “non allineati”). Certo a virus reso endemico dalla la vaccinazione del maggior numero di italiani a partire da quelli più a rischio per l’età, l’apericena con uno spritz a testa sarà pressoché garantito a tutti. Tranquilli! Ovvero, il primo dei cambiamenti che dovremmo considerare e chiedere alla politica italiana è di dismettere quella sorta di “vocazione minoritaria” che la condiziona ormai da trent’anni e che spinge gli italiani a guardare solo il proprio ombelico (prevalentemente singolarmente) come fosse l’unica cosa che conta al mondo. Dandosi invece una prospettiva di far sintesi su cosa serve complessivamente al Paese e a tutti gli italiani… smettendo di guardare alla politica che discute: di un centrosinistra con dentro o fuori i grillini e se Letta dice che ci può stare pur caratterizzando diversamente il Pd in alcuni ambiti e contenuti sui diritti civili… allora c’è chi dice subito che tanto valeva tenersi Zingaretti (e il proporzionale) in modo che così, saremmo certi di trovare comunque in lista Luigi Di Maio, Laura Castelli o magari Conte e anche Rocco Casalino candidati nel nostro collegio e sotto le insegne del centrosinistra… cosa che solo accennata fa inorridire Matteo Renzi dicendo che sull’alleanza coi 5 Stelle è in disaccordo con Letta come lo fu a suo tempo con con Bersani e poi con Zingaretti… Sia chiaro lui è disposto a governare con tutti pur di esserci e essere in posizione predominante e possibilmente senza verifiche elettorali, che lo contino nel peso reale che ha nel Paese. Hei! Ancora? ma per quanto ne dobbiamo riparlare? Ma e’ veramente questo il problema politico italiano? Totò ci direbbe: “ma ci faccia un piacere…”
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