Politica: Economia. Svalutazione salariale. L’Italia è più competitiva perché gli stipendi non si adeguano all’inflazione…

La crescita economica del nostro paese è trainata dalle esportazioni che beneficiano di costi ormai sempre più vicini a quelli dei Paesi verso cui una volta si delocalizzava per le condizioni più convenienti. Ogni ombra di recessione è stata ormai dissipata. Il timore che l’invasione dell’Ucraina, l’aumento dei prezzi, specie quelli energetici, avrebbe fermato la ripresa post Covid facendo ricomparire il segno meno ha attraversato gli economisti e le cancellerie per alcuni mesi, ma almeno nel caso dell’Italia è stato fugato. È una buona notizia, così com’è buono il fatto che secondo la Commissione europea il nostro Paese nel 2023 godrà di una crescita dell’1,2 per cento, superiore a quella media europea, cosa che per decenni non è quasi mai avvenuta. Superiore al +0,7 per cento francese o al +0,2 per cento tedesco, per esempio.

Dati Commissione europea

Questo fenomeno è avvenuto grazie a un miglioramento di 9 decimali delle previsioni rispetto alle stime della stessa Commissione dell’autunno. Ma da dove nascono questi progressi? È indispensabile chiederselo, visto che in passato in Europa si sono viste crescite del prodotto interno lordo molto diverse tra loro, guidate da bolle speculative o dalla spesa pubblica (con conseguente aumento del debito) o dalle esportazioni più che dalla domanda interna, o ancora, viceversa, da un sano ed equilibrato sviluppo, che coniugava aumento della produttività, degli investimenti, dei consumi e dei salari. Non tutte le crescite sono sostenibili allo stesso modo. Quella di cui beneficerà l’Italia nel 2023 sembra essere il risultato di un buon incremento degli investimenti, che saliranno del 2,6 per cento, contro una media Ue dello 0,8 per cento e una dell’Eurozona dell’1 per cento. Ad andare meglio del previsto tra l’altro non sono tanto quelli nell’edilizia, come negli ultimi anni, ma quelli nelle attrezzature e nella strumentazione.

Dati della Commissione

Non solo, determinante sarà il grande miglioramento delle ragioni di scambio, ovvero del rapporto tra i prezzi dei beni esportati e quelli dei beni importati. Aumenterà del 4 per cento contro una media europea del 2,9 per cento, e, soprattutto, contro la previsione di un calo dell’1,9 per cento.

Dati Commissione europea

Il calo del prezzo delle materie prime, grazie al fallimento della strategia di Putin di strozzare l’Europa, ormai molto meno dipendente dalle sue forniture, sta beneficiando l’Italia, così come la Germania, più degli altri Paesi europei e non. Al punto che se il confronto è con le stime autunnali della Commissione Ue l’Italia è prima: nessuno ha visto migliorare le previsioni più di essa, +5,9 per cento, sopra la media anche il progresso negli investimenti. Sono queste due componenti, investimenti e competitività verso l’estero che hanno reso il miglioramento della nostra crescita più forte di quella che si è vista altrove.

Dati della Commissione europea

Bene, ma da come si sono originate queste dinamiche senz’altro positive a un primo sguardo? Un indizio viene dall’andamento dei consumi. Nel loro caso non solo vi sarà un aumento solamente dello 0,1 per cento, inferiore alla media europea, ma, dato significativo, non si nota neanche un miglioramento delle stime di sei mesi fa, che vedevano anch’esse un misero +0,1 per cento.

Dati della Commissione europea

E non potrebbe essere altrimenti visti i numeri delle retribuzioni reali, ovvero dopo l’inflazione. Nel 2023 diminuiranno dell’1,9 per cento. Solo in Cechia i dati sono peggiori. Scenderanno, a causa del carovita più veloce degli stipendi, anche in Francia e Germania, ma molto meno, dello 0,4 per cento.

Dati della Commissione europea

Questa riduzione contribuirà ad approfondire il calo del costo del lavoro reale, anch’esso tra i più significativi d’Europa.

Dati della Commissione europea

In questo caso, come in quello dei consumi, la variazione rispetto alle previsioni autunnali è invece inferiore a quella di gran parte degli altri Paesi del Vecchio Continente o degli Stati Uniti e del Giappone.

Dati della Commissione europea

La crescita italiana è dovuta solo in parte al calo dei prezzi dell’energia, perché a incidere è soprattutto la riduzione di altri costi, ovvero degli stipendi in termini reali. In sostanza come i Paesi poveri, in crisi, come la Grecia nell’ultimo decennio, stiamo acquistando competitività tramite una sorta di svalutazione salariale. Se è vero che sono trent’anni che le retribuzioni di fatto non crescono ora siamo di fronte al segno meno. Non a caso, come già accaduto in altre realtà, a trascinare la nostra economia sono quindi investimenti ed esportazioni, che beneficiano di costi ormai sempre meno distanti da quelli dei Paesi verso cui una volta si delocalizzava, quelli dell’Est, per esempio. La crescita della produttività può essere ottenuta tramite l’aumento del valore intrinseco di ciò che si produce, che diventa più innovativo e competitivo a livello di prodotto, oppure tramite una riduzione dei suoi costi. È quest’ultima strada quella che stiamo seguendo, e non potrebbe essere altrimenti visto che ricerca e innovazione continuano a passare in secondo piano. In fondo lo sapevamo, date le condizioni strutturali del nostro sistema produttivo era inevitabile che accadesse, l’inflazione sta facendo il lavoro sporco che governi e imprese non potevano fare, a loro ora basta non aumentare gli stipendi quanto il carovita.La speranza è che prima o poi il calo demografico, l’aumento dell’occupazione e quello delle esportazioni, almeno in alcuni settori, rendano indispensabile, per ovviare alla carenza di personale, sia aumentare gli stipendi sia innovare.

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