Va detto con chiarezza. Siamo di fronte a una svolta storica nella vita repubblicana italiana. Il 25 settembre le destre italiane, grazie a una nefasta legge elettorale che non consente il voto disgiunto, potrebbero vincere le elezioni e mettere sotto ipoteca la nostra democrazia costituzionale… Dopo la tragedia della pandemia, dopo la criminale invasione russa dell’Ucraina, dopo l’aumento drammatico della povertà, dopo gli allarmi inascoltati per l’ambiente, ecco quindi un’altra possibile importante emergenza: quella democratica. Un’emergenza che chiama tutte le persone democratiche e progressiste ad assumersi le proprie responsabilità. Rischiamo di vivere sotto un governo illiberale di cui farebbero le spese milioni di persone senza lavoro e senza futuro; i diritti civili sarebbero via via ridotti; i programmi scolastici rivisti in ossequio alla trinità dio-patria e famiglia; gli immigrati per ottenere la cittadinanza costretti a imparare a memoria (è nel programma leghista) i nomi e le date delle sagre padane; l’autonomia differenziata messa tra i primi provvedimenti operativi con la sanità e i servizi sociali ridotti al rango di beneficenza per i poveri; il reddito di cittadinanza cancellato perché chi non trova lavoro vuol dire che non lo merita. Che tutto questo accadrà se vinceranno le destre mi sembra molto probabile. E che, secondo ogni sondaggio, le destre vinceranno a mani basse mi pare altrettanto scontato. Una simile prospettiva potrebbe già essere sufficiente per convincersi del fatto che la partita dei collegi uninominali si vince solo se non si disperde il voto con candidature improbabili. È stato già ben spiegato la preoccupazione delle conseguenze sulla nostra Costituzione di un cappotto elettorale: il cambiamento della Carta in senso presidenzialista e il probabile inizio di un altro ventennio. In fondo una parte di italiani non sosteneva che Berlusconi sarebbe durato poco perché aveva un partito di plastica? Quell’errore è stato devastante, ma ancora oggi c’è chi stenta a riconoscerlo. Del resto, abbiamo di fronte un esempio ancora più recente, quello del Papeete, quando Salvini fece saltare l’alleanza con i 5Stelle reclamando i pieni poteri. Anche allora c’era chi diceva andiamo alle elezioni, se il popolo vuole Salvini lasciamo il paese a Salvini. Poi, per fortuna, il Parlamento decise di dar vita a un governo giallorosso (o giallorosa) e abbiamo affrontato la tragedia della pandemia seguendo la scienza anziché la vandea antivaccinista, così come abbiamo combattuto nelle sedi europee riuscendo a conquistare la fetta più grande della torta degli aiuti. Governo perfetto il Conte2? Tutt’altro, ma senza dubbio viveva e garantiva uno spazio politico democratico. Oggi, dopo la forzatura del governo del presidente (Mattarella-Draghi), e l’accozzaglia di unità nazionale, siamo dentro una crisi politico istituzionale. Una crisi drammatica. Un regalo enorme alle destre, che ci portano alle elezioni in piena estate, inaugurando un altro inedito della storia italiana. Dobbiamo tenere i nervi saldi e usare la testa, allontanando vie di fuga verso il rassicurante lido della terra promessa che non c’è e che non sarà più facile raggiungere in una società sovranista. La tentazione di non giocare la partita contro un avversario forte e agguerrito, capace di contare su un vasto consenso popolare (annoverando tra le sue fila addirittura il 40 per cento di iscritti alla Cgil, di fede leghista), pronto a prendersi il paese e le sue istituzioni, è molto diffusa nel frastagliato mondo italiano. Fortissimo poi è il richiamo della foresta: lasciamo che le destre si impadroniscano del paese (tanto anche Letta e compagnia sono di destra) e finalmente mettiamoci insieme, uniamo le nostre debolezze e cerchiamo di costruire una coalizione per una lunga marcia all’opposizione dentro un’Italia reazionaria. È un ragionamento che fila se si è convinti che tra Meloni e Letta in fondo non ci sia poi una grande differenza. Io invece penso che siano ragionamenti totalmente sbagliati e pericolosi. Per varie ragioni. Innanzitutto, ritengo che la differenza tra Letta e Meloni c’è, ed è netta, sia dal punto di vista politico che culturale. Il Pd è un partito centrista, governativo, in buona parte neodemocristiano, con sparute e minoritarie figure di cultura socialista post-comunista. E comunque progressista. Meloni e Salvini, al contrario, sono espressione delle peggiori destre europee, e contano tra i propri sostenitori tutte le organizzazioni di estrema destra (prima di andare al seggio bisognerebbe prendere la pillola Vox: il torvo, pauroso discorso della leader di FdI alla tribuna del partito franchista: sono una donna, sono una madre, sono cristiana… Tutt’altro che un esempio di libertà femminile). Il segretario del Pd, purtroppo, sta dando una mano all’esito di svolta autoritaria, grazie alla scelta di una coalizione che esclude il M5Stelle per imbarcare personaggi di un mondo confindustriale, con la pazza idea di conquistare l’elettore di una destra liberale moderata, non considerando che sulla bilancia potrebbe pesare di più il piatto della perdita dei voti democratici. Questo futuro torvo per l’Italia ha soltanto una barriera che può fermarlo: l’unità elettorale di tutte le forze democratiche e progressiste. Nelle simulazioni sul voto realizzate dall’istituto Cattaneo, il trio Berlusconi-Meloni-Salvini come già detto, vince a mani basse sempre. Tranne che in un caso: l’alleanza che va dal Pd al M5Stelle. Una possibilità, reale, concreta, perché sono proprio i numeri a dire che un fronte di centro-sinistra largo potrebbe raggiungere il 40-45 per cento necessario per competere sia nel maggioritario che nel proporzionale, sia alla Camera che al Senato. Una alleanza democratica che dovrebbe inglobare Letta, Renzi, Calenda, Di Maio, Conte, Fratoianni, Bonino, Bonelli, Bersani sembra davvero una “mission impossible”. Come si possono mettere sotto un’unica sigla persone che non sarebbero disposte neanche a prendere un caffè insieme? Quali punti programmatici potrebbero tenere su un fronte comune forze e partiti diversamente orientati? So bene che si tratta di un’impresa ardua. Ma si deve almeno tentare. Oltretutto la legge elettorale non prevede l’obbligo di programmi comuni, né l’indicazione del premier, ma solo alleanze elettorali. In ballo è il domani, il futuro democratico del paese che, da un giorno all’altro, potrebbe ritrovarsi a fianco di Orban e di Le Pen sulle tematiche più divisive, razziste, patriarcali e sovraniste. E non ha davvero senso giocare una partita sapendo di perdere in partenza. Non porta a nulla una sconfitta con onore. Queste destre non fanno prigionieri. Si tratta della battaglia più dura che deve affrontare il nostro mondo democratico e progressista. Per ulteriore chiarezza: non mi piace per niente il tanto peggio tanto meglio. Per chi ha memoria, una volta dicevamo “moriremo democristiani”. Adesso c’è il pericolo di morire governati dai reazionari. Per questo dovremo scendere, tutte e tutti, insieme in campo per sventarlo…
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