Politica: la Costituzione, bellezza. I limiti al potere di Meloni e il ricatto democratico dei governi di coalizione…

Dopo le incomprensioni dei giorni scorsi, oggi Silvio Berlusconi incontrerà Giorgia Meloni a Via della Scrofa, la sede di Fratelli d’Italia. Il chiarimento tra i due dovrebbe far cadere gli ostacoli verso la nascita di un esecutivo di centrodestra. Ottimista il leader della Lega Matteo Salvini. Fiduciosi i colonnelli FdI Crosetto e Lollobrigida che dice: “Giorgia non conosce il rancore”. Però “no a governi anomali, meglio il voto”. Ma vediamo di far chiarezza su una questione rilevante. Il nostro sistema parlamentare non consente alla leader del primo partito di fare ciò che vuole, ma invece esalta la capacità di mediazione che la presidente di Fratelli d’Italia fino ad ora ha dimostrato di non padroneggiare. E quindi Giorgia Meloni è assolutamente «ricattabile», altro che. Dal punto di vista politico – va specificato – perché non è chiaro se in questa lotta nel fango tra lei e Silvio Berlusconi ci siano altri elementi da film noir. È ricattabile cioè nella misura in cui tutti i capi di governo di coalizione lo sono. A qualcuno potrà essere piaciuta la controffensiva dialettica di Meloni al pizzino del Cavaliere ma la realtà è che lei non è affatto assoluta, come se il popolo l’avesse incoronata: sarà una normale presidente del Consiglio di una coalizione formata da tre partiti e dunque la sua sorte dipenderà da mille variabili e una di queste sarà proprio l’umore degli alleati Berlusconi e Salvini. Se per una ragione o per l’altra Forza Italia volesse staccare la spina potrà farlo in ogni momento, il che significa che Giorgia non è onnipotente. Non vuole essere sicuramente come Mariano Rumor ma deve ben sapere che non non è nemmeno Benito Mussolini, tanto per fare un nome. C’è qui un equivoco di fondo nella percezione del risultato elettorale che scaturisce da un non risolto rapporto tra mentalità maggioritaria e prassi proporzionalista: nel primo caso il leader vincente è sicuramente il dominus della situazione; nel secondo è un coordinatore dei vincitori. Poiché il nostro sistema elettorale alla fin fine premia molto il primo arrivato, il senso comune del Paese dice che Giorgia Meloni è quello che è Emmanuel Macron in Francia (che poi pure lui ha i suoi problemi con il Parlamento), e invece così non è. Il nostro non solo è un sistema parlamentare ma per di più imperniato sul multipartitismo, che non consente incoronazioni ed esalta invece per l’appunto la capacità di mediazione. Ma così dice qualcuno, sei sempre sotto “ricatto”. Meloni, dunque, può alzare la voce a favore di telecamere quanto vuole ma la realtà è la solita, dannata capacità di fare politica, cioè appunto di mediare, comporre, risolvere. Da questo punto di vista lei non ha una grossa esperienza alle spalle e sembrerebbe neppure l’indole. E infatti una volta è estremista una volta è attenta a non dividere: da quest’ultimo punto di vista è apprezzabile la nota sull’anniversario del rastrellamento degli ebrei nel Ghetto di Roma in cui cita, condannandolo, il termine nazifascista. Ma  non è tutto risolto… chissà se quando si presenterà l’occasione di parlare solo di fascismo sarà ugualmente netta. Ma per tornare ai limiti del potere di Meloni, c’è da dire che secondo attendibili indiscrezioni la compagine di governo non dovrebbe essere poi molto meloniana: i suoi fedelissimi, Francesco Lollobrigida, Giovanni Donzelli, ovviamente Ignazio La Russa non ci saranno, ci sarà Guido Crosetto ma non è detto che si troverà un posticino per Fabio Rampelli, e dunque il Consiglio dei ministri sarà dominat dalla Lega con i suoi pesi massimi (Matteo Salvini, Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli più Gianmarco Centinaio e forse Erika Stefani). Poi ci saranno i berlusconiani Antonio Tajani e forse Maria Alberta Casellati, Interni e Sanità vanno a due tecnici, di cui uno Matteo Piantedosi, al Viminale, buon amico del leader della Lega. Per un paradosso tipico della politica italiana Meloni rischia dunque di essere abbastanza isolata nel suo governo e perciò estremamente ricattabile. E soprattutto non dispone nemmeno di una maggioranza fortissima in Senato, lo si è vista sul primo voto, quello per La Russa, che ha evidenziato tutte le difficoltà della coalizione uscita vincitrice 25 settembre. Nel voto su La Russa si è visto che è bastata un’incursione di una quindicina di senatori dell’opposizione – e Renzi, ormai dice chiaramente di voler in contropartita il Copasir – e comunque si giudichi quel passaggio – è bastato per creare un clima da Far west e sicuramente anche per questo, Antonio Polito sul Corriere prevede che  «sta cominciando un’altra legislatura di battaglia, nervosa, carica di tensioni» e, di incognite non legate solamente ai problemi politici e caratteriali interni alla maggioranza ma anche al riflesso che il nuovo governo potrà avere su una parte dell’opinione pubblica già molto tesa e preoccupata; e su Bruxelles che certo non farà sconti sulla politica economica e tantomeno sui diritti. Farà bene a non perdere il controllo, questa premier inesperta e nervosa. E alla fine ricattabile…

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