Politica: la politica sembrerebbe non contare più niente. Cosa fare per conquistare i voti degli astenuti? Tutte le opposizioni parlano ai ceti svantaggiati. E ai moderati (specie estinta) chi ci parla?

Parte seconda…

Ma perché l’onda sempre più alta dell’astensione appare ormai ineluttabile? Perché la gente non crede più nel voto? Come riconquistare la fiducia? Le risposte a queste ci permettono di leggere in controluce l’umore politico di questo nostro Paese. Ferve la discussione a destra e a manca su come si conquistano gli elettori. Si conquistano con un mix di proposte efficaci e convincenti per un pubblico vasto ma non indifferenziato, di dirigenti politici affidabili, empatici e competenti, e di macchine organizzative e comunicative ben strutturate. Questo insieme di condizioni, qui presentato in termini molto essenziali, ha consentito successi storici in Europa. Pensiamo al trionfo del “new” Labour guidato da Tony Blair, giovane, accattivante leader di un partito rinnovato nella dirigenza e nelle idee, affiancato da una squadra mitica di spin doctors. In Italia, solo Silvio Berlusconi, grazie a risorse personali uniche, è riuscito a far scendere in campo, una armata politico-comunicativa di grande efficacia coniugando il mito dell’efficientismo meneghino con l’estraneità al teatrino della politica, il moderatismo anticomunista e le pulsioni populiste con il miraggio liberale-liberista: il tutto riassunto e sublimato nella sua persona. Ora di fronte al “grande vuoto” creatasi con un profondo disincanto per la politica che ha colpito milioni di cittadini quale percorso virtuoso dovrebbe intraprendere il Pd di Elly Schlein? Il M5S e i restanti “cespugli” dell’opposizione? Partiamo dalla leadership nel Pd. L’abbrivio folgorante di Schlein vincitrice a sorpresa delle primarie e l’assalto ficcante al governo sulla vicenda Cutro avevano messo la segretaria sulla rampa di lancio. L’incidente della intervista a Vanity Fair – il riferimento all’ armocromia – ne ha intaccato l’aura. Uno di quei piccoli inciampi che però bastano ad incrinare l’autorevolezza di una leadership. Poi Schlein ha risalito la corrente: manifestazioni riuscite, intese con Landini e con Conte (esibendo qui grande spirito di sopportazione), focus su alcuni temi mobilitanti, dal salario unico alla sanità. Eppure, manca ancora qualcosa. Non si tratta del persistere delle correnti, quanto della individuazione di una nuova classe dirigente. Il Pd dispone di un personale politico di dimensioni e qualità non paragonabili a nessun altro partito grazie alla storia delle sue formazioni generatrici e alla presenza pluridecennale nelle amministrazioni locali. Questo ampio bacino consente una circolazione della élite: oltre a personalità di lungo corso senza adeguata valorizzazione, vi sono schiere di politici sperimentati a livello locale. Queste sono le nuove leve da valorizzare. Con una classe dirigente rinnovata, ma non sprovveduta, il Pd è meglio attrezzato per andare alla conquista degli elettori. Già, ma chi privilegiare? Curiosamente alcuni osservatori hanno invitato Schlein a corteggiare il mondo delle imprese e/o dei “moderati” che si troverebbero tra i resti di Forza Italia. Strani ragionamenti. Intanto il mondo delle imprese ha abbandonato da tempo Berlusconi, al quale sono rimasti fedeli soprattutto casalinghe e pensionati. In secondo luogo, chi si è posizionato a destra, seppure non all’estrema destra come Lega e Fratelli d’Italia, non attraversa il Rubicone politico per andare a sinistra. Al massimo, alcune briciole andranno ad Azione o a Italia Viva. Ma è poca cosa, come ha dimostrato il fiasco della candidatura Moratti alle regionali lombarde – che qualcuno a sinistra aveva caldeggiato con la sponsorship Pd per l’iper-berlusconiana ex ministra…! È poi curioso che si inviti il Pd a occuparsi del ceto medio visto che il bacino sociale di riferimento del Pd è composto, da un lato, dalle professioni liberali e dai dipendenti ad alto livello di istruzione, entrambi attratti dai diritti civili di cui il partito è paladino; e dall’altro, dal ceto medio e medio-basso, e dagli operai sindacalizzati. Semmai sono i ceti sottoprivilegiati, e in molti sensi “periferici”, che sfuggono al Pd e si orientano verso il M5s e, in gran parte, all’astensione. La prateria da conquistare è popolata da chi non vota più, molti dei quali votavano un tempo a sinistra. Ma per raggiungerli il Pd deve manifestare una forte carica innovativa, intessuta di proposte tranchant, evocative di futuro diverso. E veicolate in maniera coinvolgente e passionale. In sostanza un messaggio di cambiamento radicale. Un esempio? Il programma del welfare state del Labour party nel 1945, con la quale venne mandato a casa nientemeno che il vincitore morale della Seconda guerra mondiale, Winston Churchill… Ora, secondo Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè il fenomeno dell’astensionismo è fisiologico e inarrestabile a meno che si verifichi un’inversione a 360 gradi dell’offerta politica. La risposta al «perché non si va a votare?» data da Weber è tanto semplice quanto tranchant: «Si disertano le urne perché il voto non conta nulla. Quindi o ci sarà un potente cambio di paradigma e l’offerta politica diventerà consistente, rientrando in sintonia con l’elettorato, oppure anche alle prossime europee e alle altre elezioni sia quelle ‘amministrative e comprese anche le prossime elezioni ‘politiche’, ci sarà un’astensione sempre più forte». Ma in che cosa gli italiani si sentono veramente traditi? Da promesse elettorali non mantenute? «due esempi: fino al 2018-2019 il primo problema per gli italiani erano gli immigrati, e quello era un tema che in termini di mantenimento delle promesse non costava nulla e quindi era relativamente facile mantenerle. Poi nel 2020 con la pandemia il primo problema è diventato la salute e quindi la sanità. Quella invece costava e tanto, ed è stato quindi fatale non stare ai patti e crollare nella fiducia degli italiani. Poi ora, si pensi solo che tra il 55 e il 60 per cento degli italiani sono contrari alla guerra e all’invio di armi in Ucraina. Sono quindi per caso rappresentati da questo governo? Governo che proprio a causa dell’astensione è stato scelto soltanto dal 20 per cento degli elettori… sì, proprio così, solo da un quinto degli elettori». Quindi che cosa succederà, C’è bisogno di novità vere? «Assolutamente sì. I 5 stelle lo erano, ma come si è visto non lo sono più, i leader è dai tempi di Renzi che non si vedono più. Poi c’è stato Salvini e anche per lui ora c’è la parabola discendente. C’è da confidare nella fantasia italiana che ha inventato tutto e il contrario di tutto in politica o giù di lì: dal fascismo al comunismo sino al leghismo passando per le Brigate rosse. Presto poi ci si dovrà produrre nella ricerca di un nuovo leader che sostituirà la premier attuale che verrà lentamente ridimensionata dai fatti: finita la mano draghiana della provvidenza che calmiera le bollette ed estinto il reddito di cittadinanza tutto sarà necessariamente da reinventare». Ancora qualche dato e conseguenti riflessioni. Antonio Noto, direttore dell’istituto Noto sondaggi e membro del Consorzio Opinio Rai, precisa che la bassa affluenza alle urne non è un problema di questo o quel partito, ma di tutti. «La bassa affluenza al voto (41,7% in Lombardia e 45,4% nel Lazio) ha riguardato gli elettori di tutti i partiti: non c’è infatti nessuna forza politica nazionale che avrà più voti, in valore assoluto, rispetto alle elezioni politiche di settembre scorso. La disaffezione si concentra tuttavia in misura maggiore in quei partiti che non sono ritenuti vincenti alle elezioni regionali, come se una parte dell’elettorato non si recasse alle urne quando percepisce che il candidato della sua coalizione non ha chance di vittoria. Questo accade quando la formazione del consenso non è influenzata da variabili ideologiche. Il motivo della scarsa affluenza sarà da approfondire ma nel corso degli ultimi dieci anni l’affluenza alle elezioni amministrative è stata sempre molto bassa. In questa tornata elettorale il calo di affluenza è stato dunque drastico ma la tendenza viene registrata da tempo, non è quindi una sorpresa». E Antonio Noto aggiunge: «L’astensionismo è un prodotto indiretto del fatto che la campagna elettorale è stata breve e sottotono, senza grande coinvolgimento dei leader nazionali. Quindi l’elettorato non ideologico, quello meno fidelizzato non è stato attratto ed è rimasto distante. Non si può nemmeno escludere che una quota parte non fosse nemmeno informata sul voto». Lorenzo Pregliasco cofondatore e direttore di Youtrend precisa: «Nel Lazio abbiamo avuto la peggiore affluenza di sempre, in Lombardia la terza elezione più bassa di sempre dopo quelle di Lazio e Emilia-Romagna del 2014. Siamo quindi di fronte a un tracollo di partecipazione al voto che ha ragioni strutturali dovute al fatto che negli ultimi anni evidentemente è in grande crescita il numero di persone che sentono che il loro voto non incide e quindi pensano che non valga più la pena di votare. Poi ci sono anche ragioni più contingenti come la percezione delle istituzioni che sono viste lontane dai cittadini e le elezioni regionali che non vengono percepite importanti a livello politico quanto un voto nazionale. Poi si è votato poco più di un anno fa per le politiche producendo novità importanti la prima volta di una donna Presidente del Consiglio e a Capo di uno schieramento chiaramente di destra destra (il centro moderato è praticamente scomparso) questi fattori messi insieme spiegano la tenuta dei sondaggi di Giorgia Meloni… e il dato clamorosamente basso di chi ha votato per la Regione, che assume caratteristiche macroscopiche proprio a Roma, città dove è andato a votare solo il 33,1 per cento: neanche uno su tre. Questa astensione ha danneggiato chiaramente maggiormente il centrosinistra nel Lazio e questo è un dato che emergeva già prima nelle nostre analisi sulle correlazioni fra trend d’affluenza e risultato passato». E veniamo alla fine del discorso, dunque in politica: esistono ancora i «moderati?» Non c’è più alcun dubbio che i così detti «moderati» sono diventati il grande mistero e l’oggetto del desiderio della politica italiana. Si è sempre detto e scritto (non so con quanto criterio) che le elezioni si vincono al centro, conquistando quelle fasce di votanti che non professano adesioni ideologiche o di partito e che si schierano valutando nel merito le proposte e le leadership in campo. Dando per scontato che questi elettori siano una fetta importante degli italiani che si recano alle urne… Sicuramente fu così nella prima Repubblica. Forti i dubbi, che così fosse anche nella seconda Repubblica. E Oggi, ci sono sicuramente, a riguardo, alcune riflessioni aggiuntive da fare: la politica nell’epoca digitale vive sempre più di «bianco e nero», le sfumature sono diventate un’eccezione. La propaganda si nutre di estremismi, posizioni ultimative, soluzioni facili (che poi soluzioni non sono) a problemi complessi. Vale in Italia ma anche nel resto del mondo (vedi gli Stati Uniti con Trump, la Gran Bretagna con Johnson ma anche l’Argentina di Milei o l’Olanda con Wilders, solo per citarne alcuni). na tendenza che rappresenta l’esatto contrario del moderatismo. Un moderato sa che i programmi vanno verificati nella realtà; che il mondo è complesso e difficilmente può essere cambiato a colpi d’ascia ma solo con gradualità e realismo; che il bene e il male non stanno tutti da una parte. I moderati hanno (avevano) una forte disponibilità all’ascolto e al confronto delle idee, non considerano (consideravano) gli altri come obiettivi da abbattere se non la pensano (pensavano) come loro. Hanno (avevano) una forte repulsione per la propaganda e le ricette illusorie. La domanda obbligata è: «esistono ancora leader con queste caratteristiche e maggioranze elettorali disposte a seguirli?» Purtroppo, non sembra di scorgerli all’orizzonte. Questa presa d’atto può gettarci (come sempre più spesso accade) nell’assoluto sconforto. Ma non si può fare altro che lavorare pazientemente, perché alla politica sia restituita serietà e agli elettori non ci si rivolga come fossero dei partecipanti a un interminabile show…
(fine)

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