Politica: la politica sembrerebbe non contare più niente. Cosa fare per conquistare i voti degli astenuti? Tutte le opposizioni parlano ai ceti svantaggiati. E ai moderati (specie estinta) chi ci parla?

Parte prima…

La politica non conta più niente! Siamo al centro di mutamenti epocali che la marginalizzano sempre più. Per decenni ha infiammato il cuore di generazioni intere e ora la politica non conta nulla. Il giudizio è volutamente forte, ma d’altra parte è ormai una costatazione presso che quotidiana. La mia impressione, è che nella discussione politica ci accaniamo tanto sugli equilibri interni dei partiti dal Pd, ai 5 stelle, se parliamo di opposizioni, ma seppur in diverso modo, ciò vale anche per quanto riguarda la maggioranza… la gente, oggi come d’altronde ieri, soprattutto diciamo la povera gente, alla politica chiede una cosa sola: una reale prospettiva di crescita economica che dia posti di lavoro e soprattutto che siano retribuiti decentemente. Però, anche questa richiesta di per sè chiara, alla politica pare eccessiva. Infatti, le variabili da cui dipende il nostro futuro non sono più sotto il controllo dei singoli governi. A sentire la politica, ma anche le critiche che a essa si rivolgono, parrebbe invece ancora di sì. Ad alimentare questa illusione sono innanzitutto proprio i politici che, volendo essere eletti o rieletti, tendono a fare troppe promesse. In Italia è già da tempo che va così! Prendiamo le grandi promesse dei vari governi partiamo da quelli di Mario Monti ed Enrico Letta, con l’obiettivo del contenimento e risanamento del debito solecitati dalle regole dell’UE, ma soprattutto guardiamo all’esecutivo di Matteo Renzi. Nel concreto oggi, è cambiato poco o nulla, se guardiamo i numeri di finanza pubblica e l’andamento del Pil. Ogni anno, nei vari Def, quei Governi continuavano a stimare una ripresa che non si è materializzata mai. Prendiamo per l’appunto il governo di Matteo Renzi, che sicuramento ha incarnato più di altri questa, sì, questa ‘illusione’ di una forte ripresa di crescita economica: in quanto seguiva un pensiero che avere alla testa un leader giovane e spigliato, per il solo fatto di suscitare un forte consenso, potesse essere anche capace di incidere davvero nell’andamento dell’economia… obiettivo che era e …resta una pia illusione. Molti, di noi, avevano salutato quell’esperienza anche sotto spinta di una possibile ripresa di partecipazione popolare un vero e proprio ritorno di un anelito di democrazia crescente, sì insomma, la rinascita della Politica con la ‘P’ maiuscola. Sappiamo invece com’è finita. Abbiamo capito che il punto non è quindi la bravura o l’incapacità del Presidente del Consiglio. Ma allora cosa conta davvero? Se siamo al centro di mutamenti tali che rendono ormai la politica marginale. In tutti questi ultimi anni… facciamo qualche esempio: abbiamo assistito all’ascesa mondiale di un’applicazione come Uber, in pochi anni, ha scardinato i sistemi protetti di trasporto locale. Nessuna politica di liberalizzazione avrebbe potuto fare altrettanto. Eppure, se prendiamo qui da noi, i tanti luddisti contemporanei che stanno in parlamento… ossia seguaci, di fatto, di quel Nedd Ludd che, nell’Inghilterra del ‘700, guidava alla distruzione dei telai, perché avrebbero tolto posti di lavoro nella nascente industria tessile. Sì, i nostri luddisti moderni, dai banchi di Camera e Senato, pensano di bloccare le app che consentono di dare idee su come ristrutturare casa anche ai non architetti o opporsi alle aperture domenicali dei centri commerciali, mentre assistiamo allo svilupparsi della sharing economy, l’economia della condivisione, con esperienze come Airbnb, che ridisegnano completamente il mercato del lavoro. La piattaforma che permette di reperire alloggi e che sta mandando in rovina gli alberghi? Oppure prendiamo il sistema di Amazon Mechanical Turk, che permette di vendere a cottimo prestazioni intellettuali. Al confronto le innovazioni del Jobs Act sono state minuzie. Inoltre, questa politica che, ha visto e vede l’inesorabile declino dei partiti, quelli che il Politologo Piero Ignazi chiama «i leviatani». Sinistra e destra non rappresentano più alcuni ceti, tanto che per primo proprio Renzi chiese i voti di tutti, non solo quello di alcuni segmenti sociali. Idem i suoi concorrenti, è la logica del partito pigliatutto. Come dice Ignazi, i partiti hanno reagito alla perdita di senso, derivata dalla caduta del Muro di Berlino, inserendosi negli apparati pubblici. E sono diventati Casta, incistandosi nello Stato. Salvo poi afflosciarsi appena i finanziamenti pubblici hanno iniziato a diminuire. Partiti evanescenti, tanto che proprio il sindaco di una città di provincia, come Firenze, poté scalare agilmente quello importante, di un partito come il Pd. Diciamocelo senza infingimenti, un partito solido non sarebbe stato così facilmente scalabile. Ed ecco così anche l’ascesa e poi la tenuta in questo decennio del M5s, un partito senza un vero apparato, che ha certificato la fine dei partiti tradizionali. Quindi, seguendo questa analisi, ci troviamo con partiti deboli, politica ininfluente nella peggior crisi dal 1929. Non c’è di che stare allegri. Anche perché pensare anche a una nuova crescita è, alla fine, una grande illusione. Un’altra illusione? Sì, basterebbe guardare al nostro enorme debito pubblico… con quasi 3000 miliardi di debito, l’Italia, o meglio la politica dove pensa di poter portare il nostro Paese?! Alcuni economisti, come Larry Summers, parlano di una possibile “stagnazione secolare”: l’equilibrio macroeconomico che si è rotto, con la recessione iniziata nel 2008 (e in realtà ancora non finita), richiederebbe una politica monetaria capace di mandare tassi di interesse reali molto in negativo, ma non è possibile. E servirebbero politiche di redistribuzione delle risorse che i governi non vogliono fare tanto che, sempre più spesso, vengono concepiti veri e propri ribaltoni delle stesse Costituzioni fondative… nel tentativo di governi (di fatto di minoranza) di stabilizzare rappresentanze insufficienti e competenze mancanti per affrontare l’avventura di governare quel che è sempre meno governabile, ovvero l’umore mutevole di un elettorato ormai disilluso. Lo vediamo in Italia ma recentemente in Portogallo, in un certo senso anche in Germania, ma direi ormai in molti paesi in Europa come in altre parti del Globo. Alcuni economisti però avevano sempre sostenuto che ai problemi della crescita avrebbe risposto la tecnologia. È da tempo aperto sulla questione un grande dibattito. Negli ultimi decenni l’innovazione ha sicuramente creato più posti di quanti ne facesse perdere: negli anni Ottanta, non era difficile formare un impiegato di banca per imparare a usare i primi sistemi informatici. Ma oggi l’automazione fa scomparire completamente professioni come quelle degli autisti o dei librai, ci sono intelligenze artificiali che danno diagnosi mediche, Facebook sta facendo esperimenti per dare una forma di assistenza sanitaria. Quelli che riescono a adeguarsi alle nuove potenzialità della tecnologia sono pochi, punte di eccellenza in vari settori. Quale sarà il destino degli altri? Uno studio recente di Oxford fa una previsione apocalittica: il 47% dei lavori attuali negli Stati Uniti non ci saranno più fra venti anni. In Europa i numeri sono analoghi se non più ampi. Non si salva nessuno toccherà anche categorie fino ad oggi privilegiate come i giornalisti… che non sono più al sicuro. L’esempio è la “pistola fumante” la rivista Wired, ha pubblicato due cronache sportive, una scritta da un giornalista e una da un software. Nessuno è riuscito a indovinare qual fosse la versione «umana». E Facebook sa intercettare meglio i gusti degli utenti, anche riguardo alle notizie, di quanto i desk dei giornali riescano a fare, disegnando le pagine su un’ipotetica lista di preferenze del lettore. Si cominciano a leggere su recenti libri spiegazioni di come la politica non conti più, perché si è creato uno straordinario contropotere digitale. Facebook, Google, Amazon ormai hanno dimensioni sovrastatale e si danno compiti che un tempo appartenevano agli Stati, dalla promozione dell’istruzione a quella della cultura. Il socialnetwork di Marck Zuckerberg ha annunciato già da qualche tempo di avere il miliardesimo utente: quanti governi possono contare su una base popolare così estesa? Ma se la politica diventasse inutile, si potrebbe dire ormai “ancillare”, cosa resta da fare? Poche cose, ma sicuramente rilevanti. Tutelare chi è vittima del cambiamento, e sono tanti, usando la spesa pubblica e un Welfare state che va difeso il più possibile. Poi può usare il suo potere di fissare le regole, per indirizzare l’innovazione in modo che non produca troppi danni sociali. Si può anche provare a fermarla (o meglio rallentarla) con i lacci della burocrazia, ma non ha mai veramente funzionato. E poi può cercare di offrire, con soldi pubblici, la migliore istruzione possibile ai cittadini. La conoscenza e le competenze sono l’unica vera assicurazione sulla vita nel mondo che si sta disegnando. Però i limiti della politica sono anche quelli della società. I luddisti non sono solo in Parlamento, ci sono in ogni angolo del Paese, quando si deve aprire una centrale elettrica, un termovalorizzatore, una ferrovia. Talvolta con più di qualche ragione, ma molte altre volte sono davvero gratuite… all’insegna del: “non nel mio giardino!” In fondo, l’idea che la politica sia peggiore di noi è assolutoria. È la classe dirigente che sappiamo produrre e la società è fatta di tanti pronti a cercare rifugio nelle corporazioni e nelle loro protezioni anziché migliorare il Paese. Anche se… e bisogna saperlo a differenza di altre generazioni, cui era consentito sbagliare… e la citazione è obbligatoria: “…i babyboomer, potevano pretendere il 18 politico all’università, studiare pedagogia o filosofia, andare in India a fare le loro esperienze esistenziali, sapendo poi che, al rientro, la famiglia o lo Stato gli avrebbero trovato qualcosa da fare… mentre la generazione di chi ha oggi fra 30-40 anni, ha già le cicatrici del precariato e sa di non poter sbagliare in quanto: “La politica non serve a niente perchè non sara il palazzo a salvarci” titola e scrive Stefano Feltri nel suo ultimo libro.  Ecco qui detto “in soldoni” perché gli italiani non vanno più a votare (e se non cambia il paradigma politico continueranno a disertare le urne). Secondo gli analisti e i sondaggisti si tratta di un fenomeno che non può che rafforzarsi ulteriormente se non arriveranno novità vere capaci di ristabilire la fiducia degli elettori…

(continua)

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