Politica: l’avanti a casaccio del governo Meloni. Stop al superbonus 110 e la solita tripartizione delle opposizioni…

Il repentino stop al superbonus 110 per cento ha suscitato polemiche nel settore edilizio e ha diviso ancora di più le posizioni di Terzo Polo, Partito democratico e Movimento 5 stelle. Tre partiti, tre linee. Anche la questione del superbonus diventa l’ennesima metafora della divisione delle opposizioni, la conferma di una Babele politica che si staglia ogniqualvolta si presenti un problema concreto sul quale assumere una scelta politica chiara. Com’è noto il governo ha varato un decreto che blocca gli sconti in fattura e le cessioni dei crediti per le ristrutturazioni degli edifici, demolendo in sostanza il provvedimento tanto caro al Movimento 5 stelle voluto appunto dal governo Conte 2. Non è chiarissimo perché il governo si sia mosso come un elefante in una cristalleria dalla sera alla mattina con un decreto improvviso e non preparato con le parti in causa, che infatti sono scatenate nella protesta: può darsi che sia il nuovo stile meloniano quello di sparare ad alzo zero per poi ripiegare, d’altronde questa strana tattica dello “stop and go” l’abbiamo già vista con il decreto sui rave, sul reddito di cittadinanza o sulla vicenda dei benzinai. Un blitz che oltre a suscitare polemiche roventi con il mondo dell’edilizia immediatamente fatte proprie da Forza Italia (che minaccia addirittura di non votare il provvedimento se non ci saranno «correttivi») ha squadernato le diverse visioni nelle opposizioni con i contiani furibondi, Carlo Calenda che plaude alla Meloni e il Partito democratico che si va a collocare in mezzo su una linea che condanna il governo per il metodo più che per il merito. Come infatti ha spiegato Antonio Misiani, il problema dei crediti incagliati e il rischio per l’occupazione nel settore edile sono molto seri ma serve «un tavolo» e non «decisioni unilaterali». Il che appare ragionevole ma sfugge un poco alla domanda di fondo: quella misura di Conte era giusta o no? Perché se non era giusta, allora il Governo ha comunque smosso le acque. Si può sostenere che il Superbonus 110 per cento sia stata una misura rovinosa, per le ragioni spiegate tante volte da Mario Draghi, e si può sostenere al contrario che sia stata una scelta giusta, con gli argomenti usati tante volte da Giuseppe Conte: nella libertà di espressione rientra a pieno titolo il diritto di avere torto, nonché quello di scegliersi i propri punti di riferimento come meglio si crede. Tanto è vero che sia tra i partiti sia tra gli opinionisti non sono mancati i sostenitori di entrambe le tesi, con tutte le possibili sfumature intermedie. C’è però un solo partito in Italia che abbia tentato di dare ragione, contemporaneamente, sia a Draghi sia a Conte – come del resto ha cercato di fare anche su tutto il resto – ed è, ovviamente, il Partito democratico. Tra tanti discorsi astratti su identità e valori della sinistra che ne appesantiscono il dibattito congressuale, suggerirei ai dirigenti del Pd di concentrarsi un momento anche su questo non piccolo paradosso. Calenda invece è andato dritto: «I bonus hanno generato una spesa per lo Stato di circa 120 miliardi di euro, più o meno duemila euro a cittadino. È folle che un Paese rimborsi il 110 per cento di un investimento a chiunque e poi non abbia le risorse per garantire a tutti i cittadini sanità e istruzione». Sono considerazioni non dissimili da quelle del ministro Giancarlo Giorgetti che ha parlato di una «politica scellerata», e tuttavia la decisione del Governo non sembrava all’ordine del giorno, anche perché non molto tempo fa Fratelli d’Italia dichiarava di essere pronta a «migliorare le agevolazioni edilizie» e comunque doveva aspettarsi i maldipancia forzisti. Fatto sta che la premier, che ha presieduto il Consiglio dei ministri di giovedì da casa sua – a quanto ha spiegato Palazzo Chigi colpita da «sintomi influenzali che persistono» che l’hanno costretta ad annullare tutti gli impegni – ha chiuso sul nascere la discussione dopo che da via XX Settembre le avevano fatto presente che la spesa stava andando «quasi fuori controllo». Ma non sono le forzature nella tempistica da parte della presidente del Consiglio a cogliere le opposizioni impreparate: il problema è a monte. Nel senso che su questo provvedimento, insieme al reddito di cittadinanza, Giuseppe Conte si è giocato, parzialmente vincendola, la campagna elettorale e se non è stato travolto lo deve essenzialmente a questi due provvedimenti di stampo populistico-demagogico, esattamente agli antipodi del rigore di Mario Draghi che non a caso sparò a zero sul superbonus pur essendo impedito dal toccarlo; infatti, oggi il “draghiano” Terzo Polo esulta. In effetti con questa misura lo Stato ha speso tantissimi soldi pubblici. Troppi, secondo molti esperti e anche secondo Draghi prima e Giorgetti adesso. Per parte sua il Pd non può non star dietro alle proteste del mondo dell’edilizia e dei sindacati del settore e certo non può fare clap clap al governo (basta e avanza la surreale polemica Letta-Orlando sui “complimenti” a Meloni). Ci si trova insomma davanti a tre opposizioni che hanno tre linee, una tripartizione che ha una qualche analogia su un tema completamente diverso come la questione ucraina. La consolazione è che la maggioranza è divisa anch’essa. Consolazione magra, perché come si fa a lavorare nelle contraddizioni altrui quando ce l’hai a casa tua?

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