Politica: Partitocrazia senza Partiti e privi di politica. Comunque vadano le cose tra Letta e Conte, per il Pd è tempo di rifarsi una vita…

Dopo la settimana più pazza mai vissuta dalla politica italiana… che ha visto rieleggere Mattarella al Quirinale e rilanciare Draghi a Palazzo Chigi, mostrando così l’evanescenza dei nostri partiti mai così divisi tra loro e al loro interno in una totale e pressoché irreversibile crisi… Siamo una Partitocrazia senza Partiti. Nelle convulsioni a cui assistiamo in questi giorni non c’è l’ombra di idee e proposte: è una guerra di trincea, cioè di logoramento. I vari “clan” politici cercano di attestarsi su posizioni vantaggiose più che proporre novità. Come non hanno saputo trovare una soluzione per il Quirinale che non fosse la conferma di un dignitoso status quo, così è poco credibile che partiti evanescenti e spesso screditati siano in grado di ricostruire il sistema e addirittura riformarlo. Infatti “il triangolo rotto” tra Partiti, Società e Stato domina la scena politica. D’altra parte, lo spettacolo della rissa a destra e, sull’altro versante, della spaccatura finale tra i Cinque Stelle comporta la crisi parallela delle due coalizioni. Probabilmente una vera e propria scomposizione quale non vediamo da quasi trent’anni. Chi e come sarà in grado di incollare i cocci, al momento non è dato sapere. Corriamo tutti i  pericoli di una politica debole. Il problema italiano è proprio questo che convivono partiti deboli, istituzioni rappresentative fragili e governi la cui impotenza può essere occultata o attenuata per un breve periodo solo se a Palazzo Chigi siede una personalità molto forte e autorevole. Con Sergio Mattarella ancora al Quirinale e Mario Draghi ancora a Palazzo Chigi l’Italia ha guadagnato forse qualche mese di tregua. Prima che si trovi di nuovo a fare i conti con tutte le sue inadeguatezze, prima che i corvi ricomincino a volteggiare intorno ai palazzi gravemente lesionati, alle istituzioni fragili e malate della Repubblica. Non ci si faccia ingannare. Succede quando la politica, fatta l’ennesima brutta figura di fronte alla opinione pubblica, non sa a che santo votarsi. È allora che evoca improbabili riforme (l’elezione diretta del presidente della Repubblica è in questo momento la più gettonata). State certi che non se ne farà nulla. Tutti sanno che nell’Italia dei veti incrociati non esistono le condizioni politiche per introdurre innovazioni, non dico risolutive, ma nemmeno sensate. C’è quindi una ragione di più per procedere quanto prima al varo di una vera legge elettorale proporzionale, con una soglia di sbarramento e con tutte le norme anti-trasformiste di cui Enrico Letta il leader del Pd ha ricominciato a parlare con tempismo discutibile, ma è la sostanza che conta. Il Nazareno sembra intenzionato a evitare una coalizione preventiva col Movimento 5 stelle, come sottolinea a riguardo Giuseppe Provenzano uno dei vice di Letta. Infatti, con una legge proporzionale, il Partito democratico potrebbe rafforzare la propria identità e tornerebbe in auge una pratica politica fatte di organizzazione, territorio, comizi e porta a porta. Rafforzare i Partiti e riportare la politica al centro della loro discussioni. Non è facile stabilire chi dica la verità tra Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Mi riferisco, naturalmente, a quanto accaduto nella drammatica serata che ha preceduto l’elezione di Sergio Mattarella. Tutti abbiamo sentito Letta dichiarare, appena uscito dall’incontro con i leader della Lega e dei Cinquestelle, che non c’era ancora una decisione definitiva su nessun nome, e un minuto dopo Matteo Salvini dire che il nome c’era eccome, ed era quello di una donna, e infine Conte rilanciare la candidatura di Elisabetta Belloni, con tanto di campagna social e benedizione ufficiale di Beppe Grillo. Subito seguito dai tweet entusiasti di Giorgia Meloni. Tutti, il giorno dopo, abbiamo sentito Letta, in conferenza stampa, difendere Conte come le vittime di certe relazioni disfunzionali, arrivando addirittura a sostenere che in tutti i passaggi cruciali della trattativa il «campo largo» avrebbe dato una grande prova di unità. E abbiamo sentito Conte, poco dopo, scandire testualmente, parlando di sé in terza persona: «Questa trattativa è stata condotta addirittura a tre, nonostante Conte fosse stato delegato dalla coalizione a incontrare Salvini (ah sì? ndr), ma siccome so che il Partito democratico è giustamente una comunità di persone che ha la sua complessità, ho chiesto io stesso al segretario Letta di affiancarmi in questi incontri, e quei nomi sono stati condivisi, da giorni, da Pd, Leu e Cinquestelle, non c’è stata nessuna invenzione, sono gli stessi nomi che giacevano lì da giorni, in piena trasparenza». Non è facile, dicevo, stabilire chi dei due, tra Letta e Conte, dica la verità, ma forse non è nemmeno utile. Il punto è che, comunque siano andate le cose e di chiunque sia la colpa, sarebbe ora che il Pd prendesse atto della realtà: troppo  tempo è stato speso in un dibattito che ha coinvolto il Segretario in carica e i militanti del Partito democratico sul tema delle alleanze… forse sarebbe meglio che una volta per tutte rinunciassero ad una alleanza strategica coi 5stelle abbandonando ogni ulteriore ipotesi di coalizione permanente con costoro, e provasse come dire, a “rifarsi una vita”. Una ragione di più per procedere quanto prima al varo di una vera legge elettorale proporzionale, senza premi di maggioranza e dunque senza coalizioni precostituite, con una soglia di sbarramento che garantisca dalla proliferazione dei partiti e con tutte le norme anti-trasformiste di cui Letta ha ricominciato a parlare sempre con un tempismo discutibile, ma è la sostanza che conta. Questo è quello che c’è da fare oggi, guardando avanti e pensando all’interesse dell’Italia. E non c’è altro da aggiungere. Chi però fosse interessato anche a quanto accaduto nel recente passato può continuare a leggere lo stesso. E stupirsi con me del fatto che al termine di una trattativa in cui è ormai acclarato quanto ciascun leader abbia provato a fare il doppio e il triplo gioco, anzitutto ai danni del proprio partito, per finire di fatto commissariato dalle correnti e reso inoffensivo dai franchi tiratori, vi sia una sola formazione in cui la questione, dopo, non sia stata nemmeno sollevata. In tutti i principali partiti e in ogni schieramento i dirigenti hanno chiesto, come si dice in questi casi, una franca discussione interna (persino nel Movimento 5 stelle, dove Luigi Di Maio ha denunciato apertamente il comportamento di Conte), con l’unica eccezione, pensate un po’, del Partito democratico, a onta del suo nome. Si dirà che nel Pd nessuno (che balla!) mette in discussione l’operato del segretario per la semplice ragione che il Pd, a differenza degli altri, da questa partita è uscito vincitore, il che è senza dubbio vero. Resta il fatto che tanto il Segretario dei democratici quanto il loro «punto di riferimento fortissimo» Giuseppe Conte sono finiti in grande confusione e hanno fatto del loro meglio per scongiurare questo risultato, e per un soffio non hanno consegnato a Salvini la più insperata e immeritata delle vittorie. Che tutto questo non meriti non dico una discussione, ma almeno un chiarimento, un onesto scambio di vedute, una chiacchieratina piccina picciò, che ribadisca rispetto alle stesse correnti del Pd, che un pensiero articolato non significa che ognuno dice ciò che crede… minando l’autorevolezza del Capo a cui si è dato pieno mandato di trattare con alleati e avversari, ciò sinceramente, mi pare un altro segno di come i partiti siano ridotti, e di quanto anche l’auspicato processo della loro rigenerazione e rifondazione legato alla riforma proporzionale sia certo necessario, ma anche assai arduo…

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