Che succede nella politica italiana? La Premier Meloni e il capo dei Cinquestelle si stanno preparando ognuno a modo suo alla vittoria di Donald Trump, così come fa anche Salvini. Il riposizionamento politico a destra (e a Est) lascerà l’Italia e il Pd col cerino in mano. E forse sarebbe il caso di parlarne… Probabilmente non si è ancora capito bene che cosa sta succedendo al derelitto quadro politico italiano, tra voti infami al Parlamento europeo sull’Ucraina, miserie spartitorie sul cda Rai, e occhi dolci a Elon Musk. Lo smottamento in corso non si può certamente cogliere leggendo i giornali del consueto teatrino politico o guardando i talk show che si dividono tra chi spiega che Giorgia Meloni è la reincarnazione di Mario Draghi e chi giudica lucidissima la strategia antifascista di Elly Schlein centrata sul rapporto strategico con Giuseppe Conte. In realtà, a me sembra, che sta succedendo esattamente il contrario di ciò che raccontano i quotidiani e i salotti televisivi: Meloni si sta allontanando dal ruolo di statista occidentale presentabile, ammesso che il suo atlantismo sia mai stato genuino, e Giuseppe Conte sta progettando l’ennesima giravolta per stare più a destra, dove probabilmente lui e i suoi elettori si sentono più a loro agio (ricordate il governo giallo verde). Entrambi hanno in mente Matteo Salvini: Meloni come avversario interno da contenere, e Conte come gancio per tornare a essere rilevante. I due hanno in mente anche una data, il 5 novembre, per questo sia l’una sia l’altro non si vogliono far trovare impreparati in caso di vittoria (possibile, anche se meno probabile di due mesi fa) di Donald Trump il giorno delle elezioni in America. È questa la spiegazione del voto unanime dei partiti italiani contro l’articolo della risoluzione europea che consente agli ucraini di colpire le basi militari da cui i russi lanciano i missili contro i civili in Ucraina, con il Partito democratico nel ruolo di chi fa giochetti parlamentari per rincorrere i populismi Conte, Meloni, Orbán e Trump sulla linea dettata da Vladimir Putin, anziché seguire in modo lineare la posizione dei progressisti di tutto il mondo. Questa è forse la spiegazione dell’inedito tandem Meloni-Conte sulla Rai, al di là della scelta di Schlein di non partecipare al voto (il ruolo di Verdi e Sinistra, invece, in entrambi i casi è sempre quello, leninisticamente parlando, degli ‘inutili idioti’ alla fine filo Cremlino… la cosa che sgomenta è il fatto che ne sono ancora “inconsapevoli’). È questo il motivo per cui Meloni coccola il sodale di Trump, Elon Musk, ed è per questo che Conte non sceglie tra Kamala e Donald, come del resto nemmeno da premier giallorosso aveva scelto tra Trump e Biden, lasciando però intendere in entrambi i casi che di Trump è un buon amico, esattamente come Trump ha detto di esserlo di Putin davanti a un attonito Volodymyr Zelensky l’altro giorno a Washington. Col voto europeo sull’Ucraina e le maldestre dichiarazioni dei suoi ministri degli Esteri e della Difesa, con l’assenza fisica dal vertice G7 con Zelensky, con la cancellazione dal comunicato del governo del passaggio sulle armi a Kyjiv, con l’ostentata amicizia con Musk, Meloni ha bisogno di dimostrare a Trump che la sua partnership con Joe Biden non era affatto sincera, e che lei resta la nuova leader della destra sovranista e nazionalista d’Europa, mica come quell’inaffidabile di Salvini. Conte, invece, pensa di poter riattivare il rapporto idilliaco con Trump (do you remember Giuseppi?), per non parlare di quello con Putin (do you remember la sfilata dell’esercito russo lungo le strade italiane?). Oppure, non sembri un paradosso dopo le bordate che si sono scambiati nei giorni (e negli anni) scorsi Giuliano Ferrara e Marco Travaglio, si possono leggere le quotidiane pettinature alla premier Meloni sul già contiano-devoto Foglio per prefigurare un poliamoroso abbraccio sovranista e populista prossimo venturo (la vetta fantasy è stata raggiunta venerdì quando la prima pagina del Foglio spiegava in modo acrobatico che la grande amicizia Meloni-Musk rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese perché Meloni potrebbe dare alla Starlink di Musk, invece che a Tim, i soldi del Pnrr per portare internet in Molise, in Calabria e sugli Appennini). Il programma comune della prossima alleanza di destra nazional populista c’è già, e va dal posizionamento internazionale dell’Italia sul fuso di Mosca o di Trump, ammesso che sia diverso, al no alla maggiore integrazione politica ed economica dell’Europa federale, dal panpenalismo sulla giustizia ai decreti sicurezza, dal no al referendum sulla cittadinanza al deciso abbandono dell’Ucraina all’imperialismo russo, grazie anche alla tecnologia Starlink di Musk, la stessa per cui secondo il Foglio vale la pena investire i fondi del Pnrr, che secondo le ultime notizie provenienti dal fronte i russi usano per pilotare i droni iraniani lanciati per uccidere i civili ucraini. Tutto questo, ovviamente, mentre impediamo agli ucraini di usare le armi per colpire gli obiettivi militari russi e ci dimentichiamo che Musk staccò Internet agli ucraini quando si accorse che i droni di Kyjiv stavano per affondare la flotta russa sul Mar Nero. La possibile vittoria di Trump ha già avviato l’allineamento delle forze populiste, ma non è detto che questo riposizionamento si interrompa in caso di elezione di Kamala Harris, e sempre che Trump non scateni la guerra civile americana come provò a fare il 6 gennaio 2021 (leggete il formidabile saggio “Insurrezione” di Robert Kagan edito da Linkiesta Books per capire in che guai si trova l’America). Far finta di non vedere gli spericolati giochi di potere dei treccartari italiani è da incoscienti, perché la loro scommessa su Trump (e Putin) vuol dire spaccare l’Europa, costringerci a pagare con i nostri soldi la difesa continentale a discapito di sanità, scuola e pensioni, oppure consegnarci chiavi in mano alla Russia o alla Cina. L’Italia, al contrario di altri Paesi occidentali, non è riuscita a creare un’alternativa credibile al populismo, mentre l’unico partito costituzionale e repubblicano, il Partito democratico, sembra sempre più incapace di padroneggiare il fuoco che va autoalimentandosi nei due conflitti in corso, prodromi della terza guerra mondiale, forse ancora illudendosi di poter comunque dire sempre la sua… L’America è nei guai, ma noi e l’Europa di più. Gli americani almeno hanno a disposizione un’alternativa credibile al caos, noi no. Noi come sempre aspettiamo che arrivi la cavalleria a salvarci. Il 5 novembre sapremo se arriverà o se, un secolo dopo la prima famigerata esperienza, marceremo verso una ‘Seconda Era Illiberale Italiana’… Alcuni dettagli del nostro ‘casino politico’: I Cinquestelle tengono Italia viva fuori dall’alleanza in Liguria, mentre il Pd fatica a capire che deve fare. Chiaramente la destra ringrazia, e Matteo Renzi facendolo a bella a posto, dice che alle politiche si presenterà comunque contro Meloni, senza collegamenti col carrozzone M5S-Verdi. Dopo la Liguria, è probabile che la caccia a Matteo Renzi avrà un seguito in Emilia-Romagna e Umbria. Se è un reietto, lo è ovunque, no? – è la tesi di Giuseppe Conte, con l’accompagnamento in sottofondo di Fratoianni&Bonelli. E come si è riusciti a metterlo fuori dall’alleanza a sostegno di Andrea Orlando, non dovrebbe essere difficile ripetere lo stesso schema all’infinito (che goduria poi quando toccherà alla Toscana!), fino alle elezioni politiche. Ed ecco la contromossa di Renzi: Italia Viva alle politiche presenterà una lista di centrosinistra anche se non organicamente alleata nel “campo” Pd-M5s-Avs: «Io faccio una lista di centrosinistra. Contro la Meloni. Se il Pd non si vuole alleare, pace. Ma noi corriamo comunque su una linea riformista», ci ha spiegato Renzi… È comunque un ingresso formale nel centrosinistra? Un ritorno definitivo a casa dopo esserne scappato convinto dell’esistenza di un “bel sol dell’avvenire” che alla fine è tramontato sul Terzo Polo. Una lista riformista che vorrebbe comunque togliere voti al “campo” né largo né stretto targato Pd-M5s-Avs, una “nuova terza via” tra il Terzo polo equidistante da destra e sinistra per poi contrattare con gli uni e gli altri le proprie convenienze. Se la lista riformista prendesse i voti ed entrasse in Parlamento sarebbe divertente vedere se il campo largo avrà bisogno dei suoi i voti parlamentari per fare un governo Schlein, dato che tutto lascia prevedere, come da trent’anni, un Paese elettoralmente ancora diviso a metà, e un corpo elettorale con un 50% minimo di astensionisti. Cosa c’è quindi di nuovo dopo questa caldissima estate? Purtroppo, nulla! Il momento, quindi, non è dei migliori, checché ne pensino al Nazareno (il 24% resta il minimo sindacale). Sul Cda Rai non si è capito a cosa sia servito l’Aventino di Schlein se non lasciare mano libera al centrodestra e ai giallorossi Conte-Fratoianni. In Liguria si è indebolita sicuramente l’alleanza per Orlando, che non avrà più i voti di Italia Viva e Più Europa… ma nella chiarezza è sperabile che restino tutti quelli che con Renzi nel campo, sarebbero andati via aumentando l’astensionismo. Negli ultimi giorni, dunque, la geografia del centrosinistra si è aggrovigliata, la tensione è salita, i soliti sospetti accresciuti. Forse con effetti non esattamente balsamici sui potenziali elettori del centrosinistra. Marco Bucci e Giorgia Meloni ringraziano… ma bisogna dirlo con chiarezza le cose possono cambiare solo se l’alternativa si costruisce riportando al voto buona parte di coloro che non votano più… ricostruendo con loro un nuovo legame sentimentale sulle urgenze vere del Paese… altrimenti la storia andrà all’indietro …negando ogni futuro, a noi all’Europa al Mondo…
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