Politica: può sembrare paradossale, ma al Pd serve un congresso vero, che discuta anche l’aspetto reputazionale del suo gruppo dirigente in un modo anche drammatico…

“Una doppia Opa ostile sul Nazareno, come accaduto in Francia, rischia di sgretolarlo. Il Pd è passato da essere partito solido ai tempi pre-Lingotto ad un partito liquido. E ora rischia di diventare gassoso, quindi di scomparire”. Ha ragione D’Alema in una recente conversazione sul Corriere della Sera: “Fratelli d’Italia ha vinto perché il Pd è il partito più novecentesco d’Italia…”. “Stefano Bonaccini, o chi per lui, non potrà sostituirsi al vero dilemma del Pd: finirà per  sciogliersi? O riuscirà a fare un congresso  “costituente”… al momento nel percorso delineato nell’Assemblea del 19 novembre  scorso, restano ancora le primarie per scegliere il nuovo segreterio/a. Sarà sufficiente questo per rilanciare il partito? Oppure continuerà il tormentone se il Pd deve allearsi con Conte o con Calenda?”. Così Paolo Franchi, uno dei più autorevoli commentatori politici italiani, editorialista del Corriere della Sera, già direttore del Riformista e scrittore (“Il Pci e l’eredità di Turati”, il suo ultimo lavoro per La nave di Teseo) secondo cui all’orizzonte i dem devono guardarsi dal rischio-Francia. Ovvero, quello schema in cui il Partito Socialista francese è stato “attaccato” da una doppia Opa ostile che ha poi spianato la strada all’avvento di Macron. Questa sottolineatura a quali considerazioni porta? Direttamente ad un altro quesito: Bonaccini è l’ultimo treno per il Pd? Faccio salvo il mio personale giudizio su Bonaccini. Lo considero un buon amministratore, la sua esperienza da presidente della Regione Emilia-Romagna lo fa apprezzare trasversalmente nel mondo degli amministratori locali. Quindi sindaci e altri, ma non vedo in lui alcun carisma o fascino politico. Ma, ciò che mi lascia più perplesso di questo congresso è che mi resta totalmente oscuro il procedimento con cui il Pd va verso questa assise, non tanto rispetto alle tappe e alle modalità fissate e nemmeno rispetto ai tempi; ma rispetto a quella che è la sostanza della questione. Il percorso avrebbe dovuto essere letteralmente opposto: non prima i nomi e poi, con andamento anche parallelo, un eventuale dibattito politico. E ancora le primarie? Se c’era una volta in cui le primarie proprio andavano tolte di mezzo era questa: prima andava fatto un congresso con tesi contrapposte e, sulla base di questo, identificare i candidati. Mi riferisco al fatto di verificare nella discussione, se esistano ancora le condizioni politiche per stare tutti assieme sotto lo stesso tetto. La candidatura di Bonaccini è sicuramente una candidatura forte e questo mi pare evidente, ciò che manca a monte è il punto di caduta e la strategia per rilanciare il partito. Qual è il punto che si vuole ancora celare? Forse che nonostante lo sperticarsi di Letta, nel dire che nulla è scontato, nella realtà è tutto già deciso rispetto a chi lo sostituirà, persino colui o colei che andranno al ballottaggio nelle primarie? Ma veramente il Pd pensa che la risalita passi da un Partito ridisegnato sempre più sui territori e gli amministratori locali, guidato quindi da un presidente di Regione e sostenuto dai sindaci. “Il rilancio del Pd adesso passa soprattutto dalla forza creativa, innovatrice e credibile dei sindaci italiani”, diceva Nardella, ieri da Milano, presentando il suo libro con Beppe Sala. Credo che tutti se ne rendano conto e credo che nessuno sia così stupido da non vedere il dato della realtà: ma insomma qui c’è un partito che si ritrova in una condizione particolare. Qualcuno evoca lo spettro del Partito socialista francese e di come è finito. Non solo un partito che si estingue, ma che si estingue in presenza di una doppia Opa ostile. Calenda e Conte che qualche mese fa, hanno già spianato la strada all’avvento della Meloni. Mentre in Francia è stato impedito quello di Le Pen.  Al Pd sta invece, accadendo questo: quanto più si divide tra chi vorrebbe allearsi con Calenda e chi vorrebbe allearsi con Conte, tanto meno si parla di idee e tesi. Ma solo di chi correrà per diventarne il prossimo segretario… e le autocandidature vanno aumentando di giorno in giorno. Tutto ciò accentua il rischio di sgretolare ulteriormente il Pd. Si rischia quindi di bruciare più candidati per scegliere con una modalità discutibile (le primarie) l’ennesimo segretario, senza tuttavia sciogliere il nodo identitario del Pd. D’altronde, appare sempre più certo che il Pd non è in grado di dire cosa sia, al momento; quindi, non è in grado di scegliere con chi allearsi: è su questo scenario già desolante si può aggiungere una ulteriore pennellata di nero: la prima conseguenza è proprio quella di essere svuotato di contenuti e strategia, non solo elettoralmente, ma anche idealmente da Calenda da un lato e da Conte dall’altro. Al di là dei singoli, su cui potremmo discutere, sì, insomma sono quelli che, senza dimenticare Renzi che è innegabilmente capace, hanno – pur non uscendo vittoriosi dal voto del 25 settembre – ancora un po’ di iniziativa politica. Si pensi alla Lombardia dove c’è un centrodestra moderato con una storia e una tradizione, che si incrocia con altre storie a cominciare da quella del riformismo milanese. Lo scontro in questa dimensione, vede possibile che un pezzo dell’elettorato residuo del Pd milanese possa votare per la Moratti… aiutando la sconfitta di Majorino. E anche le elezioni per la Regione Lazio, non sono affatto tranquille. Ecco come il partito potrebbe essere esposto ad una doppia fuga, se non addirittura tripla. Sarebbe svuotato del tutto. Certo, per questo servirebbe che ci fosse una sinistra forte. Non dimentichiamo che è successa una cosa abbastanza clamorosa: non più tardi di sette mesi fa si parlava della scomparsa dei cinque stelle. Oggi sono quasi alla pari con il Pd grazie a un voto che viene dall’elettorato deluso della sinistra… anche se proprio qui da noi, la discussione politica è incentrata sul fatto se in Italia, ci sia ancora o meno, un vero partito di sinistra… In Francia c’è con Melenchon, c’è anche in Inghilterra con i Laburisti, che se domani si votasse, potrebbero vincere alla grande. C’è anche in Germania con la Spd che, seppur con mille problemi, governa dopo il tramonto della Merkel. Per cui il Pd dovrebbe giocare a carte scoperte e provare a definirsi, anche se le carte sono basse e si rischia di scoprire un due di picche, di essere ancora lui il partito della sinistra italiana e chiarire come sarà la sua opposizione al primo governo di destra insediatosi in Italia che – ieri ha presentato la sua finanziaria, giudicata come una: “Manovra del tirare a campare. È la prudenza ragionieristica di chi non vuole rischiare perché non sembra avere una visione strategica su dove portare il Paese, di chi dà pochi spiccioli in troppe direzioni perché non ha la forza di scegliere. Con l’effetto di scontentare tutti” –  sarà un’opposizione fatta sui contenuti – lavoro, salari, diritti contrattuali e sociali, assieme a quelli civili – di una ritrovata e rinnovata sinistra. A cosa va quindi incontro il Pd adesso? Anche perché per compiere una traversata nel deserto occorre ripartire da idee e battaglie valoriali che sembrerebbe che nessuno si appresti a fare nel congresso, parlando solo genericamente di tornare nei territori e fare politica dal basso. Che significa in concreto? Un congresso, in questo momento, dovrebbe essere un congresso anche doloroso, con prese di posizioni forti e soprattutto che abbia come punto di partenza un momento altrettanto forte: il padre di questa linea. infatti,  dovrebbe oltre che raccontare, dal Lingotto a oggi, la storia del gruppo dirigente del Pd e fare ammenda. Mandando a casa quei dirigenti che non hanno più alcuna reputazione… non solo cambiare il Segretario. I congressi non sono delle agorà, ma sono momenti, anche duri e persino drammatici, in cui si confrontano visioni e idee, che danno o tolgono la leadership. Il Pd anziché già fare i nomi di chi potrebbe essere il nuovo segretario o la nuova segretaria. Già si chiacchera molto, che lo scontro finale sarà tra Bonaccini e la sua ex vice presidente in Emilia Romagna, Elly Schlein. E qualcuno al Nazareno nota con ironia che dietro Schlein e Bonaccini si stanno già dando battaglia due capicorrente di lungo corso che vengono entrambi dalla Dc: Franceschini e Guerini. Quindi il Pd  dica, una volta per tutte, che partito è, e soprattutto quel che vuol essere. E, se vuole evitare un’altra fatale possibile scissione, chiarisca se la matrice socialista sarà ancora o meno una opzione presente nella sua  politica…

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito
0

Aggiungi un commento