Politica: Quirinale, è il Colle il grande sogno di Berlusconi. La sua gaffe su Mattarella rivela, anche ai più distratti, il vero obiettivo di queste elezioni e rischia di diventare l’incubo di Meloni…

La leader di Fratelli d’Italia ha provato a smorzare con calma olimpica la frase del Cavaliere contro Mattarella. Sa che per arrivare a Palazzo Chigi dovrà concedere qualcosa al capo di Forza Italia, ma la situazione potrebbe sfuggirle di mano. Silvio Berlusconi inchioda l’Italia a un eterno passato fatto di sorprese, burlesque, assalti ai tribunali, deputati di giorno che si trasformano in avvocati nel pomeriggio, telefonate in questura per liberare la “nipote” di Mubarak, weekend passati nelle dacie di Vladimir Putin, Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, fino alla sua vittima finale (Mario Draghi). Ventotto anni dopo la sua discesa in campo, e nove dopo la sua uscita forzata dal Parlamento in seguito a una condanna per frode fiscale, l’Immortale Cavaliere ha fatto un sogno e lo vuole realizzare. Un Grande Sogno… che nulla a che a fare con quello del reverendo Martin Luter King. Un sogno che è un incubo per una parte di italiani e lo è forse anche per Giorgia Meloni, che potrebbe subire la nemesi biblica di voler introdurre nella Costituzione l’elezione popolare del presidente della Repubblica. E trovarsi tra i piedi la candidatura di un quasi novantenne, come prezzo da pagare per andare a Palazzo Chigi. Ed ecco apparire per l’Italia un futuro prossimo distopico. Tra un paio di anni questa riforma entra in vigore, l’attuale inquilino del Quirinale gentilmente sloggia. Ma Berlusconi è generoso: «Guarda caso, potrebbe anche essere anche lui (Mattarella) il nuovo Capo dello Stato eletto direttamente». Interessante quel anche lui, perché dovrebbe vedersela con Lui, l’Immortale. Come nelle serie televisive, dove c’è un personaggio al quale gli spettatori sono talmente affezionati che la produzione e gli sceneggiatori lo fanno rinascere nella serie successiva con acrobatiche trovate, mettendo a dura prova la sospensione dell’incredulità narrativa. Lui ovviamente fa finta di cadere dal pero e il coro berluscones ripete che il capo in fondo ha detto una cosa del tutto ovvia. L’ex presidente del Consiglio è perfettamente consapevole di che cosa vuole fare e quale sarà la traiettoria tracciata quando ha deciso di far cadere il governo Draghi, accodandosi alla destra divoratrice dei molli e melliflui moderati del centrodestra. Ma l’ambizione del leader di Forza Italia, costruita con l’uno-due Draghi-Mattarella, potrebbe costargli cara ed essere utilizzata bene dal punto di vista comunicativo sia da Letta sia dal tandem Calenda-Renzi. Certo, vuoi mette la soddisfazione di ritornare in pompa magna al Senato, dal quale è stato allontanato dopo la sentenza Mediaset e dopo gli umilianti lavori sociali a imboccare anziani a Cesano Boscone. Era il 9 maggio del 2014. L’anno precedente, il 6 ottobre 2013, la Giunta per le immunità di Palazzo Madama aveva votato la decadenza da senatore dell’ex presidente del Consiglio. Poi i problemi al cuore, i ricoveri al San Raffaele, ma nel 2019 oltre mezzo milione di italiani lo hanno rieletto al Parlamento europeo. È la prima vera riabilitazione, alla faccia di tutti i nemici. Ora le elezioni del 25 settembre gli consentiranno di varcare di nuovo il portone di Palazzo Madama. Una rivincita alla grande, ma il suo Grande Sogno non è quello di fare il presidente di quell’aula. Troppo poco per chi fino a qualche mese fa si era di fatto già candidato alla presidenza della Repubblica. «Escludo nella maniera più assoluta di candidarmi alla presidenza del Senato», ha detto in un’intervista a Radio Capital. E se Mattarella si dimetterà in seguito alla riforma presidenziale, correrà per farsi eleggere dal popolo della libertà? «Guardiamo al presente, il futuro è nelle mani degli dèi». E nelle mani del centrodestra, che tra qualche anno dovrà fare i conti con un quasi novantenne (il 29 settembre Berlusconi compirà 86 anni). Sarebbe il coronamento di una carriera, un predestinato, l’unto del Signore, come una volta Berlusconi definiva di sé stesso. Ma una grana per Giorgia Meloni. Il presidenzialismo potrebbe essere per lei lo scoperchiamento del vaso di Pandora, la fuoriuscita di tutti gli animal spirits. La presidente del Consiglio in pectore fa finta di niente, non si mette a fare l’esegesi delle parole di Berlusconi. Mostra la calma olimpica di chi già si vede proiettata a Palazzo Chigi, la forza tranquilla di chi ha tutto sotto controllo, ma sa che il Cavaliere ha commesso un fallo pesante. Che forse ha rivelato un piano spartitorio tra i tre leader del centrodestra. Fonti della coalizione giurano che così non è. Non è un caso, fanno notare, che la stessa leader di Fratelli d’Italia abbia detto che «il presidenzialismo è una riforma seria, anche economica: grazie alla stabilità si riesce a dare fiducia agli investitori». E che Ignazio La Russa abbia frenato, ricordando che «al 99% la parola finale sarà dei cittadini» con il referendum confermativo. L’ex ministro della Difesa non crede che il centrodestra vincerà con i due terzi degli eletti. Quindi, «è prematuro parlare di Mattarella». Anche perché non è il caso di mettersi contro chi al Quirinale dovrà incaricare di formare il governo a chi nel simbolo ancora mantiene l’antica fiamma dei repubblichini di Salò, che riscalda la memoria del Duce. Al solo pensiero a Mattarella viene un coccolone. Se il centrodestra otterrà i due terzi dei seggi ne approfitterà sicuramente per tentare il colpaccio, sul modello ungherese. Come spesso accade con i bambini e con le persone di una certa età, Silvio Berlusconi ha ripetuto in pubblico quello che i suoi alleati avrebbero preferito rimanesse tra le mura di casa. Intervistato su Radio Capital, il leader di Forza Italia ha dichiarato candidamente che all’indomani della riforma presidenziale Sergio Mattarella dovrebbe dimettersi. Le ragioni per cui Berlusconi tiene così tanto alla riforma presidenzialista e ha tanta fretta di vedere riaperta la corsa al Quirinale sono piuttosto scoperte – evidentemente è ancora convinto di poter ambire all’incarico – ma non sta certo qui l’aspetto decisivo della questione. Chiunque dovrebbe essere in grado di unire i puntini e giungere a questa conclusione: se il centrodestra raggiungerà effettivamente quella maggioranza dei due terzi dei seggi che gli consentirà di modificare la Costituzione senza passare dal referendum, ne approfitterà per fare subito cappotto, riscrivendo le regole del gioco a proprio vantaggio e provando a catturare tutte le cariche istituzionali e le autorità di garanzia, che è esattamente quello che ha fatto Viktor Orbán in Ungheria. E comincerà proprio dalla carica istituzionale più importante di tutte. Se questo sarà possibile, per la prima volta nella storia d’Italia, lo si dovrà all’effetto combinato del taglio dei parlamentari, del maggioritario e della strategia errata del Partito democratico nei confronti del Movimento 5 stelle (di cui la scelta di approvare il taglio dei parlamentari è stato uno dei momenti culminanti), strategia che alla fine ha portato l’Italia alla campagna elettorale più squilibrata e dall’esito più scontato di sempre. Sentire ora il Pd lanciare l’allarme per le sorti della democrazia e il rischio di deriva ‘orbaniana’ è seppur tardivamente politicamente realistico. Pensando che in primis, proprio il Pd si è dichiarato strenuo sostenitore del maggioritario e quando il grosso del partito (alla buon’ora) si è convinto della necessità di una legge proporzionale, era già tardi per trovare in parlamento i numeri per riformare la legge elettorale e mettere in sicurezza il nostro sistema istituzionale che garantisce l’equilibrio della nostra Democrazia; secondo, perché si tratta dello stesso Partito che nel tentativo di costruire una alleanza strutturata all’indomani dell’accordo con il Movimento 5 stelle, e dopo avere votato contro per ben tre volte, insieme con un nutrito gruppo di parlamentari e di opinionisti che ancora in questi giorni rilanciavano analisi tese a dimostrare proprio l’insussistenza di qualsiasi rischio orbaniano, benediceva la scelta di votare il taglio dei parlamentari, senz’altro adeguamento istituzionale. Il che obiettivamente non fa di nessuno di loro il migliore portabandiera di una simile causa. Per non parlare di Matteo Renzi, che ancora pochi giorni fa, in varie interviste, rilanciava proprio il presidenzialismo. È un fatto certo che fino a ieri Letta, una piccola parte del gruppo parlamentare del Pd e una larghissima parte dei suoi padri nobili e intellettuali di riferimento sbagliando hanno continuato imperterriti a ripetere i soliti ritornelli sul bipolarismo, il maggioritario e la governabilità con cui già venivamo rintronati quotidianamente, da trent’anni, da un’ampia ed eletta schiera di sapientoni… Ora, le “ingenue” parole di Berlusconi confermano dunque una volta di più che all’indomani del voto la destra tenterà il colpaccio, e sarà tanto più forte in quanto potrà utilizzare gran parte degli argomenti e delle dichiarazioni del passato usate dal polo avversario. Ma la battaglia per difendere l’equilibrio e la divisione dei poteri dagli epigoni di Orbán, sarà verosimilmente la battaglia decisiva della prossima legislatura e ancorché disperata tenterà di arginare una sconfitta elettorale annunciata… certo faticherà di più, per via dei tanti errori che hanno di fatto spianato la strada alla destra-centro della Meloni Salvini e del sempiterno Berlusconi…

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