Politica: Salone del libro. Il caso Roccella e l’intolleranza alternata dei fan di destra e sinistra…

Da una parte ci si scandalizza perché a Torino la Ministra non è stata accolta con gli applausi per le sue tesi antiabortiste, dall’altra si loda la “polizia morale” che limita la libertà di parola (ricordo a tutti che cosa è la polizia morale in Iran: le pattuglie in divisa verde che vanno a caccia delle «malvelate». Tutto nasce dall’hisbah, concetto del Corano, che invita ad apprezzare ciò che è giusto e disprezzare ciò che è sbagliato per rendere migliore se stessi e quel che ci circonda). La retorica radicale della sinistra è l’alibi che alimenta il surreale vittimismo della destra. Il Pd non ha preso le distanze dalla contestazione all’insopportabile ministra della Famiglia: una strategia per radicalizzare il suo elettorato che però offre un regalo a un Esecutivo Meloni, incapace di governare e che è campione mondiale di chiusura mentale e intolleranza. In mezzo, anzi altrove: c’è la ragione di chi diffida degli uni e degli altri… Mica ci voleva un genio per immaginare come si sarebbero posizionati gli schieramenti degli opposti “urlatori” a proposito del “Caso Roccella”, l’ex radicale radicalizzata in involuzione Family Day che l’altro giorno, a Torino, ha subìto le urla di un gruppo di eccitatissimi contestatori, che si è messo di mezzo per mandare in vacca la presentazione del libro della Ministra. E che doveva succedere? L’ovvio, appunto. Da destra strilli contro lo squadrismo rosso, e da sinistra la celebrazione del popolo che resiste al fascismo dilagante a Torino. La realtà (e la decenza), in mezzo: anzi altrove. Perché, per un verso, almeno per ora non esiste il diritto di un Ministro a una platea composta in silenzio nella convinzione che la donna che abortisce è un’assassina e che i figli dei genitori omosessuali crescono scostumati. E perché, per altro verso, non esiste, anche se essi lo pretendono, il diritto dei manipoli democratici di trasformare il Salone del libro nella terza Camera del ddl Zan. Così, almeno rischia di apparire, la linea scelta da Elly Schlein e dalle sue principali collaboratrici che consiste nel giustificare comunque le rumorose contestazioni e di accusare il governo di “autoritarismo” in quanto incapace di “tollerare il dissenso”. O per meglio dire, è proprio “allergico” al dissenso, chiosa così la vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo. Ora è pur vero che la destra ha approfittato dell’incidente per fare un po’ di vittimismo, nonché per scagliarsi contro il direttore uscente, Nicola Lagioia. In sostanza ha strumentalizzato l’episodio come un altro tassello della campagna contro l’egemonia culturale della sinistra. Tuttavia, questo rende singolare la mancanza di qualsiasi critica del vertice del Pd verso chi ha dato fuoco alle polveri, togliendo la parola a una persona le cui tesi pur sgradite in materia di famiglia, maternità surrogata, aborto, eccetera, ha comunque il sacrosanto diritto di parlare. Infatti, una critica all’impedimento a parlare della Ministra avrebbe reso assai più convincente la polemica contro la politica della destra, in base al vecchio adagio per cui “sono contro le tue idee, ma mi batto perché tu possa esprimerle”. La verità è che il gregge affidato alle cure della madre bianca e cristiana crede sinceramente che la vittoria elettorale sia il presupposto di una restaurazione del consenso tramite decretazione Dio-Padre-Famiglia con accredito in Rai o appunto al salone torinese, mentre la Sinistra ritiene che ogni ambito del discorso pubblico debba essere presidiato, pena il collasso del sistema democratico. Alla fine, checché ne abbiano detto in contrario, ai destrorsi non dava fastidio l’intendimento oggettivamente sopraffattorio di quella contestazione, ma il fatto che “l’aria nuova” di una manifestazione finalmente sottratta secondo loro al “giogo comunista” non fosse destinataria dell’entusiasmo monopolizzante che si deve alle decisioni irrevocabili. E per quanto nel Pd abbiano fatto mostra, assolvendo quegli urlatori, di appellarsi al neutro canone liberale e costituzionale secondo cui il potere deve sopportare di essere contestato, la verità è che essi proteggevano non il fatto in sé, ma soltanto l’orientamento becero di quei contestatori di impedire si parlare a un esponente del governo, pensando l’idea, che la nobiltà democratica della contestazione risiedesse solo nell’impresentabilità democratica della Ministra Roccella, che quindi si meritava tale incursione… mi paiono due “belle culture” a confronto… a rimetterci alla fine è proprio la democrazia.

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