Politica: Salvini è ancora affetto dalla ‘sindrome del Papeete’. Sogna Mosca in mezzo all’incubo di un Paese senza bussola, creando nuove turbolenze per Draghi…

Lo dice Giovanni Orsina. Politologo e direttore della Luiss School of Government: “Il viaggio a Mosca, se davvero venisse fatto, sarebbe senz’altro un problema enorme per l’Esecutivo. Un partito che è in maggioranza e che conduce una politica estera autonoma durante un conflitto, in questa forma, rischia di fare un danno grave all’intero Paese”. E su questo ultimo anno di governo Draghi che dovremo pensare? “Salvini mi sembra ancora affetto da una sorta di ‘sindrome del Papeete’. Si sente come quello che, nel 2019, ha vinto alla lotteria, senza però essere mai riuscito ad incassare la vincita”. Così chiosa Giovanni Orsina, nel ripercorre le tappe che hanno portato il leader del Carroccio a dichiarare di voler fare un viaggio a Mosca per tentare una mediazione sul conflitto in Ucraina. “Salvini è fatto così – dice ancora il politologo – prima che nei contenuti, è populista nel metodo”. Siamo dunque all’ennesimo spot propagandistico a fini elettorali? Fatemi dire una cosa che personalmente penso: che questa del viaggio a Mosca, conoscendo ormai Salvini (in politica da oltre un ventennio) è un’uscita che ricalca esattamente il suo modo di fare politica, il suo sforzo costante di mettersi al centro dell’attenzione pubblica. Ma finché si citofona alla famiglia del quartiere degradato, il danno è relativo. Quando si assumono posizioni che riguardano la politica internazionale, la cosa si fa parecchio più seria… e voglio dirlo chiaramente per quel che possa contare quel che penso, dico e scrivo: Salvini è tutto tranne che un politico e men che meno una persona seria! Ecco un altro punto di tensione fra centrodestra (Lega – FI) e l’Esecutivo, che si aggiunge alle turbolenze di queste ultime settimane sul “Ddl Concorrenza”. Di cui, il vero nodo è legato ai balneari. Una porzione di attività economiche, che per il centrodestra, probabilmente rappresenta un bacino elettorale. Detto questo, sarebbe stato assurdo aprire una crisi di governo sulle concessioni agli stabilimenti in un momento delicato come questo. Momento nel quale per altro l’opinione pubblica chiede stabilità. Ora pare che però si sia trovata una quadra. Siamo a circa due settimane dal referendum sulla Giustizia, attraverso il quale si gioca una partita molto importante, visto che la credibilità della magistratura presso l’opinione pubblica è ormai ai minimi storici. Mi spiace doverlo dire, ma credo che i referendum non andranno bene. Mi sembra difficile che possa raggiungersi il quorum. Ma, anche in questo caso, si ritorna al tema di partenza. Un’eventuale debacle sarà ascritta a Salvini. Un problema ulteriore da gestire per lui. Alla luce di questa situazione e al netto dell’ultimo “strafalcione” sul viaggio a Mosca, che lo ha visto in bilico sull’andare o meno in Russia, visto che a partire dalla Meloni: “Salvini a Mosca? Importante non dare segnali di crepe in Occidente”, a seguire Letta: “Salvini a Mosca?  E’ fuori da qualunque regola”, coi mogugni anche nella Lega Zaia, Fedriga e Giorgetti: “…bisogna muoversi di concerto con il governo”.  Nette le parole di Di Maio: “Draghi parla con Putin!” Dunque con tutti contro. Solo la stampa nazionalista russa copre «il Capitano» commentando: «Lo stanno costringendo a rinunciare».  E’ ormai chiaro che la Lega ha un grossissimo problema: “…non ha il pulsante per far sparire Salvini – come commenta Alessandro De Angeli su Huffpost –  l’affaire del viaggio a Mosca, stava avvenendo all’insaputa del suo stesso partito, se potessero Giorgetti, Zaia e Fedriga (ma non solo) lo cambierebbero anche subito. Ma la riflessione nella Lega si aprirà dopo le amministrative, sul Nord non sulla Russia”. Quindi dopo tutto ciò, qual è lo scenario che si può prevedere per questa coda di legislatura per il governo Draghi? Un ultimo anno molto turbolento, ma non a tal punto che venga giù il castello. I partiti non possono strappare, sono troppo deboli. La mia impressione è che comunque si arriverà alla fine della legislatura, seppur attraverso un percorso accidentato. Salvini sogna Mosca in mezzo all’incubo di un Paese ormai da tempo senza bussola. Dopo la tornata amministrativa di metà giugno, referendum sulla giustizia compresi, si viaggia verso le elezioni politiche. Con schieramenti lacerati, no-Draghi contro atlantici, alleanze innaturali, primarie immaginarie e il coperchio di una nuova legge elettorale sulla pentola che bolle. Il ministro della Salute e numero uno di LeU, Roberto Speranza, assicura a sua volta che Giuseppe Conte, alla fine con tutti i suoi distinguo, rispetto alla maggioranza di cui fanno parte i 5stelle non farà la crisi. Il non detto è che in quel caso limite, il suo partito non seguirebbe i Cinquestelle e anche il Pd prenderebbe le distanze. Si può aggiungere che neppure Matteo Salvini alla fine strapperà, nonostante gli improvvidi annunci di viaggi a Mosca o Ankara. Una diplomazia parallela, quella del leader leghista, che forse risponde a logiche elettorali, anche se è difficile credere che le urne si riempiano in virtù di simili azzardate mosse. Ma che certamente mette in imbarazzo quella ufficiale rappresentata da Mario Draghi, che con Putin ci parla davvero. La diplomazia, cioè, di un Paese membro della Ue che è schierato contro l’invasione russa in Ucraina e lavora non solo per la pace – quella che però “deve stabilire Zelensky” – ma anche per attenuare alcune delle sue conseguenze più gravi come l’emergenza alimentare. Spiazzare Palazzo Chigi in questo momento non solo non è possibile ma neppure conviene, e questo Salvini lo sa benissimo. Anche per averlo imparato a proprie spese sul Ddl concorrenza, sul fisco e a breve (coi referendum) pure sulla giustizia. Tutti dossier su cui si sono scaricate le tensioni dell’ex binomio gialloverde (con alcune spurie incursioni di altri partiti della maggioranza) ma che alla fine sono o stanno per essere condotte in porto da Super Mario a prezzo certo di qualche compromesso assai al ribasso, ma senza che il treno dell’esecutivo corra o abbia mai corso seri pericoli di deragliamento… Che significa tutto questo? Che la confusione sotto il cielo della politica è massima e che tuttavia la situazione, al contrario di quel che auspicava Mao Tsedong, è tutt’altro che eccellente. Il perché è semplice. Il governo Draghi, nato sull’onda del pericolo Covid e sulla necessità di “mettere a terra” il Pnrr, ha via via mutato connotati e si è trovato ad affrontare la guerra in Ucraina che mette a rischio non solo i confini europei ad Est ma minaccia di squassare alla base alcuni dei pilasti della way of life occidentale. Col Recovery da attuare (e va ricordato che l’Italia beneficia del livello di fondi più alto di tutti) e con i cannoni che tuonano, provocare una crisi che minaccia di precipitare in elezioni anticipate in autunno con la legge di bilancio da allestire, rappresenterebbe un’ondata di irresponsabilità che nessuna forza politica, forse nemmeno d’opposizione, intende cavalcare. Però c’è un dopo, che si avvicina a grandi passi. Dopo la tornata amministrativa di metà giugno, referendum sulla giustizia compresi. E soprattutto dopo le elezioni politiche del prossimo anno. Ben sapendo che gli attuali schieramenti di centrodestra e centrosinistra sono profondamente lacerati al proprio interno e che il vero buco nero italiano è la governabilità sfuggente e apparentemente irraggiungibile, alcuni politologi (ma non solo loro) hanno cominciato a ragionare su possibili nuove alleanze: i no-Draghi da una parte, cioè Berlusconi, Conte e Salvini; e gli “atlantici” dall’altra, ossia Pd e Fdi. Alleanze innaturali, soprattutto l’ultima, e che risulterebbero impossibili con l’attuale sistema elettorale. Per cui è partita un’altra, doppia, tendenza: da una parte la spinta a cambiare in senso proporzionale il sistema di voto di modo che ciò che è impossibile in campagna elettorale diventi un obbligo ad urne chiuse; e dall’altra a lasciare tutto come sta viste anche la difficoltà di arrivare ad intese su un terreno così delicato, e perciò spingere Enrico Letta e Giorgia Meloni a correre da soli, in una torsione maggioritaria che dovrebbe far rivivere l’archetipo politico di 25 anni fa. Non è un caso che in questa direzione si avventurino personaggi come Giuliano Ferrara. Tutto questo però non aiuta a diradare la confusione, anzi la accresce. Come pure l’idea di primarie comuni nel Campo Largo (ma fino ad un certo punto) tra Pd e M5S. Si parte dalla Sicilia ma c’è già chi vorrebbe esportare l’esperimento nel Lazio, dove risulterebbe piuttosto surreale immaginare costituency unitarie laddove ci si divide fino allo scontro totale su un termovalorizzatore… La verità è che nessuno sembra possedere la necessaria lungimiranza per immagine in che direzione far viaggiare il Paese una volta chiuse le urne e l’esperienza di Draghi. Le convergenze politiche si strutturano sulla base di progetti e visioni comuni sul futuro. Al momento, ognuno sembra procedere per conto suo. Mettere il coperchio della riforma elettorale su una pentola che bolle forse non è la mossa più adeguata. Ma frutto di un pensiero del tutto magico è immaginare di lasciare andare le cose su un piano inclinato sperando che ancora una volta ci salvi lo Stellone. Piuttosto, assomiglia alla ricetta per il disastro…

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