Politica: Sinistra, un problemino per nulla semplice da risolvere. Il crollo dell’importanza del Lavoro…

Prima parte…

Il dibattito sulla crisi della sinistra è in corso da anni, così come da anni sono sotto gli occhi di tutti le tendenze che certificano questo declino, basti analizzare a questo proposito gli andamenti elettorali della maggior parte dei partiti socialisti e socialdemocratici europei degli ultimi anni. Tuttavia, quando si entra nel vivo del confronto attorno alla diagnosi di questa crisi e alle terapie per uscirne, emergono ancora letture contrastanti e dissensi di fondo, che investono la questione stessa del senso di una Sinistra oggi: quale deve essere la sua funzione nelle società contemporanee, quali le pratiche che devono caratterizzarla, quali i suoi soggetti di riferimento, i suoi programmi, le strategie per invertire la rotta di questa parabola di declino… Per quasi due secoli, dalla rivoluzione industriale in poi, il Lavoro è stato al centro della storia politica, economica, sociale, almeno in Occidente. Da qualche decennio non è più così. Quanto è avvenuto non richiede particolari dimostrazioni; la storia e la realtà, prima ancora dell’abbondante bibliografia, sono lì a dimostrarlo. Di fronte a questo imponente ribaltamento storico sembrerebbe naturale porsi la domanda se la “centralità” passata del Lavoro debba essere data definitivamente per superata, oppure se, sfrondata dagli eccessi ideologici e assolutistici, possa ancora costituire un riferimento fondativo per le forze Sindacali e i Partiti di sinistra. Purtroppo, la domanda, così essenziale per il futuro di queste forze, appare quanto mai trascurata a livello teorico, implicitamente ritenuta improponibile, comunque mancante della possibilità di una risposta a breve. Eppure, è evidente che il crollo dell’importanza del lavoro ha avuto e continua ad avere impressionanti conseguenze politiche e sociali: un forte declino del Sindacato, la scomparsa del legame partito-lavoratori che aveva caratterizzato la politica della sinistra, crisi del lavoro come legame sociale e fattore di identità collettiva, approcci al lavoro sempre più soggettivi e differenziati. È pur vero che negli ultimi anni si è ripreso a parlare di Lavoro, ma il motivo non scaturisce dalla volontà di rilanciare il suo valore “politico”, bensì a causa della mancanza di Lavoro; non, dunque, da una posizione di forza, com’era nella tradizione del movimento operaio, movimento nato per essere protagonista della stessa trasformazione sociale, ma da una condizione di debolezza, volta sostanzialmente a chiedere interventi sociali e assistenziali allo Stato per strati  di lavoratori bisognosi. L’immagine che emerge in questi anni recenti è purtroppo quella preconizzata profeticamente da Hannah Arendt: “una società del lavoro senza più lavoro”. È quindi azzardata l’ipotesi di un rilancio del valore “politico” del lavoro? In campo sociale le idee marciano sulle gambe degli uomini e che solo un vasto accumulo di esperienze e di studi potrà fornire risposte soddisfacenti agli interrogativi odierni, personalmente ritengo necessario e comunque utile tentare di stimolare il dibattito sulla questione. Come già accennato, partiamo da una parola: Sinistra. Cosa indica, oggi, e quali interessi dovrebbe rappresentare questa ‘parte’ per poter essere definita tale? Da com’è messa la sinistra, non solo in Italia ma in Europa e nel mondo occidentale, credo che si tratti di una parola oggi politicamente debole, deteriorata e forse ormai neutralizzata. Difatti, molti affermano: “non c’è più la sinistra, non c’è più la destra”. In realtà, le due postazioni contrapposte esistono ancora, e si vanno sempre più radicalizzando nelle loro espressioni e linee politiche. Però, nella concezione generale questo termine non evoca qualcosa di preciso, tant’è vero che coloro che si reputano di sinistra preferiscono dirsi genericamente “progressisti”. Bisognerebbe fare uno sforzo creativo per inventare un’altra parola forte come quelle di una volta: “socialismo”, “socialdemocrazia” (lasciando perdere “comunismo” che è foriero di paure e pare francamente liquidato dalla Storia per quel che nella realtà ha rappresentato). Parole comunque forti, appunto, e riconoscibili, capaci di trasmettere un’identità. Mentre, oggi, quando parliamo di “sinistra” è necessario spiegare che cos’è, che cosa vuoi, da che parte stai. In molti abbiamo ormai compreso, che vivere in una società capitalistica significa vivere in una società divisa. E un tempo, la divisione si esplicitava attraverso le grandi classi sociali. Per esempio, il Partito Comunista era il partito della classe operaia, almeno fino a Enrico Berlinguer perché successivamente questa posizione si diluirà. Oggi, la classe operaia non è certo scomparsa, ma il punto è che gli operai non fanno più classe, non fanno più parte di un’organizzazione. E anche la classe contrapposta si è molto frantumata. Insomma, con la fine del capitalismo industriale la differenza radicale, la contrapposizione di classe si è molto indebolita… e la domanda è diventata cos’è “il lavoro dopo la fine del lavoro”. Ultimamente, vado convincendomi di una cosa: c’è una doppia crisi a sinistra, dell’alto e del basso. In primis, una crisi di classi dirigenti. Il ceto politico della sinistra (Partiti e Sindacato) ha subito un’involuzione lenta, graduale, quasi definitiva. Parliamo di dirigenti che non possono più vantare un riferimento reale, sociale, di classe, un punto di vista di parte. Inoltre, il vero difetto dei Partiti è di non essere ‘partito’, ma piuttosto un movimento di opinione. Perché un partito è un’organizzazione di parte, non un’organizzazione che fa l’interesse generale… quello (mi si permetta) fingono di farlo i capitalisti. Poi, c’è anche una crisi di popolo. Abbiamo un mondo del lavoro frantumato e preda di un disorientamento politico di massa, visibile a occhio nudo ad ogni elezione. Ormai gli elettori, vittime di una comunicazione sfacciatamente demagogica, votano inseguendo le ultime novità; prima si è andati dietro a Berlusconi, poi a Grillo, poi a Salvini, adesso è il turno di Giorgia Meloni. Personalmente io nella mia lunga esperienza di sindacalista, non sono mai stato uno spontaneista. Nel movimento operaio vigeva una distinzione tra i luxemburghiani che preferivano partire dalla spontaneità delle lotte e i leninisti, i quali ritenevano che bisognasse prima creare un soggetto politico (un partito) in grado di guidare le lotte e dopo, quando possibile, una frattura rivoluzionaria. E allora, penso che ripartire dal basso, come molti generosamente vogliono fare, dai luoghi di lavoro (sempre più micro) dalla partecipazione diffusa, dal civismo, dalle primarie, dall’opinione pubblica, sia insufficiente. Oggi, il popolo è stato spodestato dalla “gente”, unificata virtualmente attraverso i social e la funzione di questi, non è quella di orientare ma di disorientare. Quindi, sono convinto che bisogna partire dall’alto. Per rimettere il Lavoro al centro dell’agenda politica. Risulta vitale costruire una classe dirigente forte, decisa, che riscopra prima di tutto la propria parzialità dentro questa società sempre più divisa, e la rivendichi e su questa base riorganizzi un fronte di parte proprio mediante il conflitto sui temi caldi dell’agenda sociale. Tuttavia, qui, vediamo riemergere il problema grande e insolubile: dove sono questi uomini e queste donne capaci di fornire un orientamento alle masse? Vediamo: tutti i candidati che hanno partecipato al congresso del Partito democratico hanno detto di voler mettere al centro della propria agenda politica il Lavoro. Eppure, il Partito Democratico oggi, è il quarto partito fra i lavoratori. Quando e perché è crollato questo legame e, soprattutto, come ricostruire una “connessione sentimentale” con la classe lavoratrice e con il blocco sociale storico della sinistra che è …il Mondo del Lavoro? Dunque, la domanda è impegnativa perché il mondo del lavoro è oggi profondamente cambiato e va ulteriormente e sempre più velocemente cambiando. Questo non da oggi, ma ormai da molti decenni. Dobbiamo fare sempre riferimento e ritornare a quella svolta del capitalismo moderno avvenuta dagli anni Ottanta in poi. A metà degli anni Settanta, si fece corrispondere la famosa riunione della cosiddetta Trilaterale (Stati Uniti, Europa, Giappone) alla fine del grande Novecento politico. Irruppe l’idea dell’andare oltre e questo comportò il deperimento del capitalismo connotato dalla centralità della grande industria e la nascita di un capitalismo a centralità tecno-finanziaria, e quindi la fine, con il neoliberismo, dell’intervento statale in economia e del welfare. La reazione ai trent’anni gloriosi, dal ’45 al ’75, si materializzò in una forte contestazione delle conquiste dei lavoratori fin lì raggiunte. La Trilaterale cominciò a parlare di un eccesso di domande che bisognava arginare, poiché si trattava di rivendicazioni troppo avanzate, troppo pericolose. Da quel momento, il tramonto del capitalismo industriale segnò la fine della centralità operaia e, di conseguenza, il mondo del lavoro si frantumò in tanti rivoli. Non più il lavoratore salariato al centro di un blocco sociale. È cresciuto il lavoro nei servizi, è cresciuta la figura del lavoratore autonomo che ha avute tante generazioni (di prima, di seconda, di terza); è riemerso l’esercito di riserva che è stato ed è tutt’ora fondamentalmente rappresentato dal precariato, dai contratti a tempo determinato. Cioè il mondo del lavoro è molto difficile da riunificare e il sindacato lo sa bene. Si pensi alle grandi fabbriche, oggi mutate in luoghi post-industriali. Pensiamo ai grandi capannoni della Fiat dove oggi si organizzano la fiera del libro, convegni intellettuali, mostre d’arte. Dell’antica concentrazione operaia non vi è più traccia. Tra l’altro, in Italia è emersa la rete di piccole e medie industrie, ossia di un lavoro orizzontalmente stratificato che risulta arduo unificare. Il sindacato quindi fa grande fatica, e non a caso, ormai, anche le stesse CGIL, CISL e UIL sono più sindacati dei pensionati che dei lavoratori attivi. E se fatica il sindacato a rappresentare il mondo del lavoro figuriamoci un partito politico… Già, eppure questa riunificazione non è impossibile. Appare impossibile perché né il sindacato né il partito si impegnano veramente in un’azione che miri a riunificare questo mondo del lavoro, bensì lo rappresentano così com’è: stratificato e disperso, a volte in modo espressamente corporativo. Ma questo non basta, perché così il lavoro non conta, così il lavoro non ha forza. Oggi si dice: non esiste il lavoro, esistono i lavori. Una pluralizzazione che implica una operazione di neutralizzazione. Prendiamo ancora una volta questo Pd che è ancora (pur dopo l’ennesimo congresso post batosta elettorale …in gran tempesta). Qualcuno pensa di risolvere il problema proponendo di inserire la parola “lavoro” nel nome del partito. Una decisione di buon senso, forse anche utile, ma sicuramente non risolutiva. Ma ecco che subito si è scatenato il putiferio del: “queste sono categorie novecentesche, così facendo torniamo indietro, c’è odore di comunismo”, ecc. ecc.! Al contrario, in quanto tra le persone normali il lavoro è ancora centrale nelle loro vite. Voglio dire, le famiglie di cosa parlano a casa? Del lavoro che c’è e del lavoro che non c’è, della condizione di precarietà che attanaglia i loro figli, del lavoro femminile che è del tutto minoritario, del salario che non è sufficiente per arrivare alla fine del mese. Di questo parla, di questo vive una famiglia! Piuttosto, sarebbe necessario comprendere dove e come vivono coloro che classificano il lavoro come un qualcosa di vecchio e superato… Il Pd ha celebrato il suo congresso. Ci aspettavamo un cambio radicale. È cambiato per l’ennesima volta il Segretario. Hanno eletto (per la prima volta) una Segretaria Elly Schlein che è stata subito esposta dalla “carta stampata” i Media e i Social  “al tiro al piccione” divenuto il principale sport nazionale per un’opinione pubblica divisa in “tifoserie” poco pensanti e molto fegatose… Nel Pd restano comunque evidenti le crepe in un gruppo dirigente di lungo periodo e dal destino politico sempre più discutibile e precario… sembra già scordata la promessa che dopo il congresso e il cambio di Segretario si sarebbe avviata una vera fase costituente della Sinistra per una definitiva rottura con il passato e le sue debacle? E il Sindacato? “Così non va! Il governo di Destra è contro il Lavoro e i lavoratori dipendenti… ma il sindacato come si è detto, resta debole rispetto ad una rappresentanza di un “mondo del lavoro” sempre più ‘atomizzato’ e che lo vede minoranza”…
(continua)

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: riceverai una risposta oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuita

0

Aggiungi un commento